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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Gisela Scerman

Piero Ciampi: una vita a precipizio

Coniglio, Pag. 190 Euro 14,50
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...prima o poi, inciampi in Ciampi...

Paolo CONTE



Qual'è il contrario di uno? Meno uno. E' la tragedia di tante persone "contro". Avere i piedi zozzi quando tutti ce l'hanno puliti. Perché tutti ce l'hanno puliti. Ma quella pulizia lì, dispiace. Siccome va assieme alla nera sporcizia di dentro. Che non si vuole condividere. E allora, zozzi. Co' 'e fette che piòttano che propio. Come le compagne nel '77. Non la dài? Allora non sei compagna. Allora sei una borghese. Allora te la dò. Allora sei una troia.

Dimentichiamo. Perché molti son cavalieri, gli Autori comparsi in quest'antologia di saggi, memorie, interviste dedicata al livornese Piero Ciampi, cantante in generale e noto in Francia come Piero Litaliano. Cavalieri e cavalieresse, e su su fino alla Matilde di Canossa della letteratura italiana, Fernanda Pivano. Siccome son venuti a spezzar lance, con eleganza di torneo, a favore del Sandro Penna del cantautorato nostrale. Compagno di spirito se non di frequentazioni del poeta perugino: come lui, isolato dalla sua specificità, dalla sua irriducibilità agli schemi - sia pure alti: de André -, dal carattere instabile della voce e del temperamento inequabile. E, in più, dal boccione. Dall'idea che il successo - come l'intendeva lui - fosse il fallimento come lo vedevano gli altri. (p. 39)

Molti cavalieri, dunque. E alcuni architetti, e questi ci salveranno. Gli ingegneri dei suoni salveranno i cantanti-poeti, come i restauratori rappezzano di nuova luce tavole e affreschi. Perché? E' una storia, ahimè, lunga e complicata. Provo a riassumerla, fidando nella pazienza del Lettore.

Centrale, s'è detto più volte - fino allo stremo - è il rapporto fra l'arte e la vita. Esso include il problema politico, ovvero dell'individuo nei confronti della comunità, e quello personale, ovvero della formazione d'una distinta persona all'interno d'un tempo determinato. L'estetica, il rapporto forma-contenuto, è la soglia di questi accordi e disaccordi - o concordanze discordanti. Se non sbaglio, Kant definiva il giudizio estetico meno che universale, siccome infondabile su criteri generali; ma più che individuale, poiché esso poteva venir condiviso da un gruppo - e anzi, l'estetica settecentesca e, credo, almeno in parte la precedente, si basava proprio sul gusto degli esperti. Si dà quindi il discorso sul bello come ibrido - anfotero, direbbero i chimici -, come confine e limite, tra quello della psicologia e quello della sociologia. E, ovvio, come superficie di contatto, membrana permeabile.

Preso atto di ciò, rimane tuttavia la disamina, che da null'altro può prender le mosse se non dal dato strutturale, del lavoro d'arte in quanto tale. Cioè: stabilito che La capanna dello zio Tom sia efficace anche perché l'Autrice era moglie del più esperto predicatore dell'epoca - e dunque s'intendeva di sermoni, e di cosa dirci e come dirlo, e pure di cosa tacere - e che rappresenta, del suo tempo, valori e ipocrisie, ragioni inerenti al testo non lo fanno diventare Moby Dick, anche se ebbe, del libro di Melville, più importanza, e forse, accademicamente, è meno "sgangherabile" (cfr. Eco).

Così: di Piero Ciampi sappiamo - chi ne sa qualcosa, e da questo libro - che fu un eccentrico, uno sradicato, un alcolista: un "maledetto", com'è banale dire (e non un "poeta maledetto", ma un "maledetto poeta"). Che cantava "male" canzoni tenere e disperate, senza rime, terzinato e ritornelli. E tutto questo è rilevante - a patto d'essere veicolo di motivi profondi e non inclusione in uno stereotipo. Si dice che possiamo leggere Omero anche prescindendo da ogni informazione sulla sua vita: ma come si faccia a dirlo è un mistero, visto che, non sapendo nulla di lui - nemmeno se sia esistito o era una cooperativa - nulla possiamo sapere del suo rapporto con l'opera, e con il pubblico. Difatti poi ci si trova davanti il cosiddetto "catalogo delle navi", lungo elenco degli armatori che fornirono la flotta per l'impresa degli Achei, e non si capisce perché ci sia - si suppone che Omero (o chi per lui) ce l'avesse messo per alzare un po' di grana con gli sponsores. Il che dà del Bardo ellenico una figura più sfaccettata dell'usuale scolastica, e nell'estetica si passa da Croce a Marx - en attendant Sade (vedi le descrizioni delle battaglie)?

Però Marco Lenzi, tecnico di cose musicali competente e agguerrito, nei suoi saggi spiega, con ogni chiarezza possibile quando si ragiona divulgando termini specialistici, come mai le canzoni di Ciampi arrangiate da Marchetti e da Reverberi siano notevoli da un punto di vista della confezione, tanto quanto lo sono - per altre vie - dal lato espressivo, umano e del pathos. Ecco perciò che l'architetto (il tecnico, l'esperto) non potendo afferrare se non come "antigusto" musicale l'economia e l'etologia del maudit, e lo sfondo contro il quale si disegnavano, rende ragione - e come bene - del modo in cui ciò selezionava un ambito melodico e accordale appropriato, non generico anche se magari fortuito (ma "le coincidenze, bisogna meritarsele", Truffaut).

Altro architetto - accidentale - è Gianfranco Mammi: che ritrova nell'effusione dei testi dello chansonnier livornese fieri accenti tra Malerba e Delfini, consonanze con Dylan Thomas, Jarry, Queneau, Svevo, Landolfi, Hasek, John Fante, Céline, Bukowski - " è incredibile quanti riflessi riesca a trasmettere la prosa (*) di Ciampi in poche righe di testo". (p. 158) E, soprattutto, nella voce acre di questo "genio dell'insuccesso" (ivi) si coglie la vicinanza con Boris Vian, e soprattutto con Luciano Bianciardi - nella Vita agra, c'è "una visione grandiosamente ciampiana". (p. 159)

Dunque, Ciampi era un imbriagone, ma architettato. Non ci sono tracce di "temi dell'ubriachezza" nei suoi brani. E però, non avesse fatto il giro disarmonico dei trani, non sarebbe stato "nella realtà" (cioè "fuori posto" (p. 83) rispetto ai furbacchioni). La realtà che è materia d'arte e d'autentico - e talvolta di vero. E tuttavia, talvolta il reale da solo non ce la fa, a essere autentico fino in fondo: gli serve che generi una parola altrettanto reale, che ne condivida cioè l'architettura. Forse qui è il talento: nell'aver l'arte della levatrice.

Beato chi ce l'ha. Beato chi se lo (tras)cura.



di Marco Lanzòl


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