RECENSIONI
Enrico Baraldi
Psicofarmaci agli psichiatri
Stampa Alternativa, Pag.140 Euro 10,00
Mi chiedo se e quanto siano cambiati i tempi da quando "il dipendente dell'Enel", professor Giovanni B.Cassano dichiarava: Più approfondiamo l'uomo sul piano neurologico, più ci rendiamo conto che le sue scelte sono largamente determinate dalle caratteristiche funzionali delle sue strutture nervose; e che egli ha ben poche possibilità di sottrarsi alla sua costituzione, al suo temperamento. Come a dire che il paladino dell'elettroshock non conosce nemmeno il concetto di libero arbitrio, in compenso però ce lo vediamo ogni tanto bazzicare liberamente i salotti televisi senza che nessuno gli dica che quello che fa e predica appartiene al medioevo della psichiatria.
Ma forse aveva ragione Roberto Cestari che nel suo L'inganno psichiatrico (Sensibili alle foglie – 1994) affermava che gli psichiatri si sono macchiati di una tale serie di atrocità che qualunque persona di buon senso arriverebbe alla conclusione che la psichiatria è un movimento ideologico pseudoscientifico che deve essere ostacolato e fatto sparire per il bene dell'umanità.
Giudizio tranchant? Forse, ma sull'etica comportamentale della categoria spesso ci si sbatte il muso e quel che ne esce fuori, chissà perché, non è mai edificante e tanto meno scientifico.
Prendiamo questo libriccino di Enrico Baraldi. Lui è uno psichiatra che lavora a Mantova come responsabile del Centro Psicosociale ed è direttore artistico di "Rete 180, la voce di chi sente le voci". E' un'accusa, per nulla velata, attraverso una trama che ingloba anche sostanza noir (un anziano e sovversivo dottore che predica la fratellanza terapeutica e l'abolizione dei farmaci ed uno scienziato, tutt'altro che controcorrente, che è coinvolto in un brutale omicidio... ormai è un dato di fatto, anche se vuoi raccontar di mangimi per galline se non cospargi la materia di sangue c'è poco da fare) contro la potentissima casta dell'industria farmacologica.
Un vecchio motto di questa recita: E' bene avere una pillola che cura la malattia, ma è ancora meglio avere una pillola che va presa tutti i giorni (e guarda caso chi è sieropositivo carica pure la sveglia per rispettare la dose quotidiana di veleno da prendere). Prosit direbbe qualcuno. Ma è la tragica realtà di un condizione determinata anche dalla complicità di strutture apparentemente super partes (fra tutte l'Organizzazione mondiale della sanità). Baraldi, nella sua finzione romanzata, sguazza nel torbido: Diamo il Ritalin ai bambini troppo vivaci, e il Prozac a quelli troppo tranquilli! (pag.81). Oppure sfiora il problema dello "sfruttamento" non solo psicologico: E che i manicomi di molti paesi del mondo rappresentano vere e proprie imprese a economia chiusa dove, in nome di una mistificata ergoterapia, i malati producono forza-lavoro a bassissimo prezzo? Proprio questo è il motivo fondamentale per cui non saranno mai dimessi, il principio da cui derivano le diagnosi di cronicità. (pag.95).
Il romanzo in questione non è altro che il breve resoconto di uno psichiatra che si ritrova, mentre sta precipitando da un viadotto, a fare i conti con le proprie responsabilità professionali di fronte ai propri pazienti e, non vuol sembrare esagerato, di fronte all'umanità dolente.
Aveva ragione Franco Basaglia a dire che nessuno possiede l'arma che uccide il leone, perché non c'è farmacologia o indagine diagnostica o psicoterapia che è capace di risolvere la complessità di un'esistenza dolorosa.
E se cominciassimo a convivere più serenamente con le nostre contraddizioni?
di Alfredo Ronci
Ma forse aveva ragione Roberto Cestari che nel suo L'inganno psichiatrico (Sensibili alle foglie – 1994) affermava che gli psichiatri si sono macchiati di una tale serie di atrocità che qualunque persona di buon senso arriverebbe alla conclusione che la psichiatria è un movimento ideologico pseudoscientifico che deve essere ostacolato e fatto sparire per il bene dell'umanità.
Giudizio tranchant? Forse, ma sull'etica comportamentale della categoria spesso ci si sbatte il muso e quel che ne esce fuori, chissà perché, non è mai edificante e tanto meno scientifico.
Prendiamo questo libriccino di Enrico Baraldi. Lui è uno psichiatra che lavora a Mantova come responsabile del Centro Psicosociale ed è direttore artistico di "Rete 180, la voce di chi sente le voci". E' un'accusa, per nulla velata, attraverso una trama che ingloba anche sostanza noir (un anziano e sovversivo dottore che predica la fratellanza terapeutica e l'abolizione dei farmaci ed uno scienziato, tutt'altro che controcorrente, che è coinvolto in un brutale omicidio... ormai è un dato di fatto, anche se vuoi raccontar di mangimi per galline se non cospargi la materia di sangue c'è poco da fare) contro la potentissima casta dell'industria farmacologica.
Un vecchio motto di questa recita: E' bene avere una pillola che cura la malattia, ma è ancora meglio avere una pillola che va presa tutti i giorni (e guarda caso chi è sieropositivo carica pure la sveglia per rispettare la dose quotidiana di veleno da prendere). Prosit direbbe qualcuno. Ma è la tragica realtà di un condizione determinata anche dalla complicità di strutture apparentemente super partes (fra tutte l'Organizzazione mondiale della sanità). Baraldi, nella sua finzione romanzata, sguazza nel torbido: Diamo il Ritalin ai bambini troppo vivaci, e il Prozac a quelli troppo tranquilli! (pag.81). Oppure sfiora il problema dello "sfruttamento" non solo psicologico: E che i manicomi di molti paesi del mondo rappresentano vere e proprie imprese a economia chiusa dove, in nome di una mistificata ergoterapia, i malati producono forza-lavoro a bassissimo prezzo? Proprio questo è il motivo fondamentale per cui non saranno mai dimessi, il principio da cui derivano le diagnosi di cronicità. (pag.95).
Il romanzo in questione non è altro che il breve resoconto di uno psichiatra che si ritrova, mentre sta precipitando da un viadotto, a fare i conti con le proprie responsabilità professionali di fronte ai propri pazienti e, non vuol sembrare esagerato, di fronte all'umanità dolente.
Aveva ragione Franco Basaglia a dire che nessuno possiede l'arma che uccide il leone, perché non c'è farmacologia o indagine diagnostica o psicoterapia che è capace di risolvere la complessità di un'esistenza dolorosa.
E se cominciassimo a convivere più serenamente con le nostre contraddizioni?
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