RECENSIONI
Lukha B. Kremo
Pulphagus® Fango dei cieli
Urania 1636 Mondadori, Pag. 220 Euro 6,50
Vincitore dell’ultima edizione del Premio Urania, questo romanzo ha il pregio di creare un microcosmo completo e coerente in un luogo che pur non essendo terrestre contiene, della Terra, tutti i peggiori incubi. I nostri incubi, quelli che puntualmente chiedono alla fantascienza di essere evocati ed esorcizzati, non sono sempre uguali, ma evolvono con i tempi. Gli alieni, l’atomica, i virus, e recentemente le minacce informatiche hanno dato corpo ai romanzi e ai film parallelamente al procedere della scienza e della società. Forse più subdola ma non meno incombente è la minaccia costituita dalla massa di rifiuti che aumentano senza sosta e che, a differenza del buoni rifiuti di una volta, sono scarsamente degradabili. Chi non ha provato angoscia alla vista delle strade cittadine trasformate in discarica, o alla notizia che nella “terra dei fuochi” si annidano rifiuti tossici? O ancora (e già questo sfiora la fantascienza) che nell’oceano sta vagando una massa galleggiante di rifiuti grande come un’isola? Ecco dunque un incubo moderno a cui l’Autore ha dato una soluzione ma anche, nello stesso tempo, dei risvolti inquietanti.
In un futuro non troppo lontano Pulphagus è il luogo destinato allo smaltimento dei rifiuti terrestri. Si tratta di un planetoide cavo, catturato e messo in orbita intorno alla Terra, dove i rifiuti vengono inviati per essere lavorati e riciclati. Visto da fuori non è nulla più che un sasso cosmico, ma all’interno è un luogo abitabile, anche se dire “abitabile” significa usare un eufemismo. Certo ci sono macchine e cantieri e operai e tecnici addetti alle lavorazioni, e per forza di cose ci sono famiglie e ragazzi che vi crescono. Ma la società che gestisce il pianeta non ha alcun interesse a creare infrastrutture che non siano direttamente produttive. Abbandonati a se stessi i ragazzi finiscono per riunirsi in bande che si combattono fra loro, assumere droghe e avventurarsi in giochi pericolosi. Alcuni di questi giochi sfruttano i fenomeni originati da un processo degenerativo auto innescato e autoalimentato a cui l’humus che ricopre il suolo è andato incontro nel tempo, ormai in modo irreversibile, come se la massa dei rifiuti si fosse trasformata in un brodo primordiale capace di dare luogo a nuove forme di vita. Ci sono i peli e le pustole, e voragini piene di acidi corrosivi.
Le pustole urticanti di Erewhon sono gorghi che regolano il passaggio dei fluidi tra il sottosuolo e la cavità interna. Non sono mortali se non sono attivi, però i muchi corrosivi residui non fanno certo il solletico, sciolgono la pelle e lasciano i capillari all’aperto e presto ogni lembo di carne si bagna di sangue.
Con grande sensibilità nei confronti della psicologia adolescenziale l’Autore segue l’iniziazione del giovane Shevek nell’ambiente doppiamente ostile del planetoide, dove la natura è avvelenata e insidiosa e i rapporti con i coetanei sono improntati alle dure leggi della strada. Ma il ragazzo è sveglio e un colpo di fortuna gli permette di trasferirsi sulla Terra al servizio di un ricco imprenditore. Questa è solo metà della storia, perché dopo sette anni il protagonista, ormai adulto, riparte per l’impresa più pericolosa: tornare nell’inferno di Pulphagus e, proprio come Orfeo, andare alla ricerca di una ragazza scomparsa e mai dimenticata.
Il romanzo è pieno di felici invenzioni, sia per quanto riguarda il mondo artificiale dell’asteroide che per l’evoluzione della società terrestre. L’elemento più originale è il particolare regime a cui sono soggette le parole. A parte quelle più semplici e di uso comune, le parole del linguaggio parlato sono soggette a copyright e pertanto hanno un costo, più o meno alto a seconda della loro ricercatezza. È interessante la ricaduta che questo ha sui rapporti sociali, perché la scelta delle parole rivela il censo dell’interlocutore, ma anche l’importanza che egli vuol dare all’argomento. In questo modo Kremo porta il lettore a esplorare le potenzialità di un nuovo codice comunicativo.
L’idea centrale resta comunque quella del magma dei rifiuti che va incontro a una sua inevitabile evoluzione diventando “altro” e acquistando una sorta di vita propria come una razza aliena. Non si può non pensare al “kipple” di Philip Dick, e sapendo che Kremo ha chiamato Kipple la sua casa editrice possiamo dare per certo che il riferimento (per quanto elaborato poi in forma autonoma) non sia casuale.
Per completezza d’informazione resta da dire che il volume contiene anche due racconti dello stesso Autore, Lo sguardo di Pulphagus® e Piano divino.
di Giovanna Repetto
In un futuro non troppo lontano Pulphagus è il luogo destinato allo smaltimento dei rifiuti terrestri. Si tratta di un planetoide cavo, catturato e messo in orbita intorno alla Terra, dove i rifiuti vengono inviati per essere lavorati e riciclati. Visto da fuori non è nulla più che un sasso cosmico, ma all’interno è un luogo abitabile, anche se dire “abitabile” significa usare un eufemismo. Certo ci sono macchine e cantieri e operai e tecnici addetti alle lavorazioni, e per forza di cose ci sono famiglie e ragazzi che vi crescono. Ma la società che gestisce il pianeta non ha alcun interesse a creare infrastrutture che non siano direttamente produttive. Abbandonati a se stessi i ragazzi finiscono per riunirsi in bande che si combattono fra loro, assumere droghe e avventurarsi in giochi pericolosi. Alcuni di questi giochi sfruttano i fenomeni originati da un processo degenerativo auto innescato e autoalimentato a cui l’humus che ricopre il suolo è andato incontro nel tempo, ormai in modo irreversibile, come se la massa dei rifiuti si fosse trasformata in un brodo primordiale capace di dare luogo a nuove forme di vita. Ci sono i peli e le pustole, e voragini piene di acidi corrosivi.
Le pustole urticanti di Erewhon sono gorghi che regolano il passaggio dei fluidi tra il sottosuolo e la cavità interna. Non sono mortali se non sono attivi, però i muchi corrosivi residui non fanno certo il solletico, sciolgono la pelle e lasciano i capillari all’aperto e presto ogni lembo di carne si bagna di sangue.
Con grande sensibilità nei confronti della psicologia adolescenziale l’Autore segue l’iniziazione del giovane Shevek nell’ambiente doppiamente ostile del planetoide, dove la natura è avvelenata e insidiosa e i rapporti con i coetanei sono improntati alle dure leggi della strada. Ma il ragazzo è sveglio e un colpo di fortuna gli permette di trasferirsi sulla Terra al servizio di un ricco imprenditore. Questa è solo metà della storia, perché dopo sette anni il protagonista, ormai adulto, riparte per l’impresa più pericolosa: tornare nell’inferno di Pulphagus e, proprio come Orfeo, andare alla ricerca di una ragazza scomparsa e mai dimenticata.
Il romanzo è pieno di felici invenzioni, sia per quanto riguarda il mondo artificiale dell’asteroide che per l’evoluzione della società terrestre. L’elemento più originale è il particolare regime a cui sono soggette le parole. A parte quelle più semplici e di uso comune, le parole del linguaggio parlato sono soggette a copyright e pertanto hanno un costo, più o meno alto a seconda della loro ricercatezza. È interessante la ricaduta che questo ha sui rapporti sociali, perché la scelta delle parole rivela il censo dell’interlocutore, ma anche l’importanza che egli vuol dare all’argomento. In questo modo Kremo porta il lettore a esplorare le potenzialità di un nuovo codice comunicativo.
L’idea centrale resta comunque quella del magma dei rifiuti che va incontro a una sua inevitabile evoluzione diventando “altro” e acquistando una sorta di vita propria come una razza aliena. Non si può non pensare al “kipple” di Philip Dick, e sapendo che Kremo ha chiamato Kipple la sua casa editrice possiamo dare per certo che il riferimento (per quanto elaborato poi in forma autonoma) non sia casuale.
Per completezza d’informazione resta da dire che il volume contiene anche due racconti dello stesso Autore, Lo sguardo di Pulphagus® e Piano divino.
di Giovanna Repetto
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