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CLASSICI

Alfredo Ronci

Quel che succede in fabbrica: “Memoriale” di Paolo Volponi.

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Di tutto quello che è stato detto su questo libro (è considerato ormai da tutti come uno degli scritti fondamentali degli anni sessanta – e non solo), quello che mi ha parzialmente irretito (forse esagero, ma qualcosa di importante si è smosso) è stato il giudizio che ha rilasciato Elio Vittorini, a suo tempo: Struggente canto mammista, ben più di Tozzi e Salvatore di Giacomo messi insieme… di gran lunga il più bello e significativo dei romanzi italiani usciti nei primi sei mesi del ’62.
Ora, va benissimo che il libro sia di gran lunga il più bello del periodo e che si facciano dei confronti alti, ma mi si dice il perché sarebbe uno struggente canto mammista? O forse il termine mammista non è paragonabile al senso che si dà oggi e Vittorini ha visto delle cose che purtroppo a noi sono sfuggite?
In realtà Memoriale più che un atto di accusa contro la pianificazione industriale e il lavoro in fabbrica, è un originale esempio della crisi non solo politica, ma soprattutto psicologica che i lavoratori italiani subirono all’inizio dell’era di mercato. Che col canto mammista (per quanto la mamma del protagonista ogni tanto compaia) non c’entra assolutamente un tubo.
E’ la storia di un giovane che comincia a lavorare in una fabbrica con la speranza di una vita nuova, libera dai mali che lo hanno perseguitato fin dall’adolescenza oppresso durante il servizio militare e la prigionia (tornerà dalla guerra affetto da tubercolosi). Ed è anche la storia completa di tutti i tentativi di intervenire nella realtà, nella fabbrica e fuori, raccontata dallo stesso innocente protagonista, al quale l’angoscia dà una capacità d’interpretazione allucinante e nello stesso tempo prodigiosa. Diceva Pasolini: Io penso che nessuna voce di romanziere, in questi ultimi anni, abbia trovato la propria fisionomia con tanta precisione, con tanta purezza, con tanto potere di rivelazione.
In realtà, la prodigiosa capacità d’interpretazione del protagonista si trasforma in una battaglia contro quelli che lui reputa avversari, ma che in realtà sono dei fantasmi viventi. Si troverà a combattere innanzi tutto coi medici che lo costringeranno a curarsi dalla tubercolosi, una sorta di strumento attivo dell’angoscia del memoriale, ma soprattutto contro la personale idea politica che risulterà priva di ogni aggancio di sistema.
Si legge verso la fine del romanzo: Rimasi male; ma lui con semplicità aggiunse: “Non hai ancora capito? La classe operaia va frantumata e ogni ambizioso, ogni ladro, ogni imbecille diventa comodo.”
La sicurezza di Gualatrone mi sgomentò; mi tolse cioè ogni preoccupazione su Pinna ma me ne accese altre e più confuse su me stesso. Perché io non riuscivo a capire con quella chiarezza? Proprio mentre questa domanda si era composta nella mia mente, Gualatrone disse una frase che poteva essere la risposta: “Ma tu stai sempre per conto tuo.
Il protagonista è un uomo che dal suo infimo osservatorio, pur con tutte le limitazioni del suo caso, guarda a una cultura nuova, e per essa lotta anche se indirettamente e solo in nome della speranza, non avendo niente altro che lo sorregge. La fabbrica, il paesaggio, le persone, la folla, si specchiano nella sua mente, nella sua intimità che li deforma e quasi li uccide.
Qualcuno ricorderà che nel 1959 esce Donnarumma all’assalto romanzo reportage di Ottiero Ottieri. Bene, a questo punto si possono riscontrare dei punti di contatto tra le due opere? L’opera di Ottieri (al di là del fatto che il protagonista è un impiegato psicologo al servizio dell’azienda mentre nel romanzo di Volponi è soltanto un semplice individuo) mette in risalto l’industria che si vuole ampliare e di cui l’impiegato psicologo è forza trainante, industria fatta di ampi spazi e di open-space, ma di cui lo stesso protagonista, nelle scelte che deve fare, rimane fortemente invischiato.
L’uomo di Volponi, oltre a non avere le qualità decisioniste che in qualche modo potrebbero aiutarlo, è assolutamente un outsider, un intruso che è incompatibile con la natura circostante. E’ (quasi) un malato di mente, uno che è in grado di capire cosa sta succedendo, ma il suo incubo vede meglio della vista di quelli che si sono integrati nell’industria.
Non è saggio reagire col panico dinanzi alla nuova realtà sociale, ma Albino (il nome del protagonista) è un animale terrorizzato. Un individuo che crede che qualsiasi uomo, pur se contornato da qualità positive, può alla fine rivoltarsi contro.
A questo punto però ci si pone una domanda essenziale: ma la reazione psicotica di Albino è dettata solo dalla possibilità di mollare di fronte all’industria o è un male che si dispiega nonostante tutto?
In ogni caso Memoriale è un libro da conservare in una seria biblioteca.





L’edizione da noi considerata è:

Paolo Volponi
Memoriale
Garzanti



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