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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Roland Huntford

RACE. Alla conquista del Polo Sud

Cavallo di ferro, Pag. 416 Euro 23,00
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Ecco come un resoconto di viaggio diventa opera letteraria. I diari hanno sempre un loro valore, una loro poesia, in quanto scrittura spontanea. In qualche caso hanno un inestimabile valore storico o scientifico. O storico e scientifico insieme, come nel caso dei diari degli esploratori polari del 1911. Ma c'è qualcosa in più nel volume edito da Cavallo di Ferro nell'anniversario della corsa per la conquista del Polo Sud. Non mi soffermerò sull'aspetto tecnico, pure prezioso, del corredo di commenti, note, carte, foto, glossari e precisazioni di ogni tipo che consentono di ottimizzare le informazioni contenute nei diari. Voglio riferirmi invece particolarmente a ciò che rende il libro, nel suo insieme, opera letteraria particolarmente appetitosa. Si tratta dell'architettura dell'opera, del modo in cui Huntford assembla il materiale. I documenti utilizzati sono i diari dei due protagonisti della sfida, Amundsen e Scott, e, finora inedito, il diario di Olav Bjaaland, campione di sci e membro della squadra di Amundsen. L'introduzione di quest'ultimo elemento funziona come un vero lampo di genio, affiancando al protagonista della spedizione norvegese una sorta di Sancho Panza, più semplice e sanguigno, che fa da controcanto alle avventure del suo Capo. Non che Amundsen sia un donchisciotte, ché anzi eccelle in concretezza e sangue freddo, insieme alla naturalezza di un uomo abituato dalla nascita a muoversi nella neve. Più donchisciottesco è caso mai Scott, a capo della spedizione inglese, che denota una percezione romantica ed eroica dell'avventura. O tragica. Perché la presenza scenica di Scott, a prescindere dalla conclusione tragica della vicenda, ha qualcosa di shakespeariano, con la sua conflittualità, il suo oscillare nelle intenzioni e negli umori, il suo sentirsi perseguitato dalla sorte, e infine le sue ossessioni nei confronti dei rivali. Huntford confronta i tre diari giorno per giorno lungo tutto il procedere dell'impresa, agevolato dal fatto che le due spedizioni erano praticamente contemporanee e percorrevano due piste diverse ma poco distanti. Questo confronto puntuale ha l'effetto di accrescere l'emozione, dando il senso di una gara, ma anche quello di far risaltare la profonda diversità dei caratteri.

Scott era imbottito di ideali eroici; Amundsen voleva semplicemente raggiungere il Polo. Scott seguiva la tradizione romantica dell'eroismo come sofferenza; Amundsen veniva da una cultura che non vedeva alcun merito nell'esporre la vita e la salute del corpo a rischi non necessari.

A proposito di rispetto per la vita e la salute, può colpire l'oggettiva crudeltà esercitata dagli esploratori nei confronti degli animali: i pony di Scott, i cani di Amundsen, costretti a marce forzate nella neve che piaga le zampe, incalzati a colpi di frusta, uccisi appena risultano di intralcio nella marcia o in eccesso rispetto alle scorte alimentari. Usati alla fine come cibo per gli uomini (sì, anche i cani) e per i loro stessi simili. Questi comportamenti, raccapriccianti per la sensibilità moderna, dovevano apparire naturali ai protagonisti dell'avventura, come se fossero atti necessari e corrette operazioni "chirurgiche" da compiere senza cattiveria e senza rimorso, con una specie di innocenza spavalda.

Durante il mattino abbiamo scuoiato 10 cani, li abbiamo fatti a pezzi e serviti. Sembra che i sopravvissuti li abbiano trovati eccellenti. Nemmeno noi umani abbiamo disprezzato le bestie. Per cena abbiamo avuto delicatissime cotolette di cane. (Diario di Amundsen)

E' l'unico aspetto che Huntford rinuncia a commentare. Per il resto accompagna costantemente il lettore con i suoi commenti, e questo, oltre alla funzione esplicativa, aggiunge un ulteriore elemento letterario: perché egli non è affatto indifferente né imparziale. Da appassionato di esplorazioni polari (le sue note biografiche dicono che è il maggior esperto mondiale in materia) non può esimersi dal far notare continuamente il contrasto fra la serena adeguatezza di Amundsen e la superficialità presuntuosa di Scott, che decreterà la sconfitta di quest'ultimo.

E' evidente che questo libro, comunque lo si guardi, è pieno di passione. E di bellezza, perché i paesaggi evocati sono splendidi e terribili.

W., che era stato nel crepaccio, ha riferito che, a poca distanza da dove la slitta era caduta, sotto la superficie si apriva una cavità enorme che avrebbe potuto inghiottire tutte le slitte, equipaggio incluso (...) L'esiguo spazio sul quale adesso è piantata la tenda è circondato su tutti i lati da crepacci e baratri, e la tenda è sicuramente in mezzo ai più brutti. (Diario di Amundsen)

Crepacci, seracchi e sastrugi (da cercare sul glossario se occorre) diventano compagni abituali del lettore che si imbarca nel viaggio. E lo squarciarsi improvviso della nebbia offre talvolta lo spettacolo di colossali montagne,che inondate dal sole diventano una meravigliosa favola in bianco e azzurro (Amundsen).

Per quanto la storia sia nota, la lettura offre un'emozione continua e continui colpi di scena, a partire dal momento in cui, a sorpresa, Amundsen decide inaspettatamente di fare rotta verso sud anziché verso il Polo Nord, come era originariamente previsto. Ma c'era una cosa di cui l'esploratore era ben convinto.

Il Polo Sud era l'ultimo grande simbolo delle scoperte terrestri prima del salto nello spazio e del primo uomo sulla luna.



di Giovanna Repetto


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