RECENSIONI
Benjamin Fondane
Rimbaud la canaglia
Le Nubi, Pag. 240 Euro 15,00
Ugualmente lontano dal saggio critico e dalla biografia, questo saggio è esso stesso opera letteraria. Lo è per il linguaggio, per la visceralità, per le emozioni che esprime e che suscita, per la geniale parzialità. Chi lo leggesse perché appassionato di Rimbaud, potrebbe ritrovarsi, alla fine, appassionato di Fondane.
Dimora in questo libro una triplice presenza: quella tragica di Rimbaud, evocato con forza da Fondane, poi quella di Fondane, che parlando di lui parla profondamente di sé, e infine quella più discreta, ma determinante, di Gian Luca Spadoni, traduttore di un libro scoperto quasi per caso, su una bancarella di Parigi. Ed è palpabile l'emozione con cui quest'ultimo restituisce alla memoria l'opera di un Autore morto nel 1944 in un campo di sterminio.
Sul coinvolgimento personale di Fondane non abbiamo dubbi, dal momento che lui stesso ci informa nella prefazione:
Il ruolo del biografo non è quello di fare affidamento sui testi (...) ma di fare suoi i problemi, di assumerne l'esperienza personale, di modo che non risolva per gli altri le difficoltà che incontra, ma per sé, in sé e in quanto sé.
Nello stesso tempo però proclama le sue intenzioni di fedeltà a Rimbaud, rifiutando di strumentalizzarlo in qualsiasi maniera. Così nel Capitolo Venti:
Se volessi servirmi di Rimbaud con un intento spirituale qualsiasi, niente mi sarebbe più facile; e perfino nella sua negazione, la sua esperienza potrebbe essermi utile; la potrei rivolgere contro tutti i meccanismi che fabbricano certezze, dalla filosofia idealista alla scienza pura. A me interessa soltanto di non servirmi di Rimbaud ma, per quanto possibile, di assecondarlo; non saprei mentire in sua presenza; temo il suo potente rancore.
Del resto è chiaro che Fondane rifugge dalle biografie a tesi, quelle che vorrebbero trarre delle conclusioni, o ricercare un senso.
La vita, via via che riempie i grandi geni, ha così poco senso, che un uomo onesto non può che vedervi un enorme sperpero di energia.
E' con questo spirito che Fondane percorre le tappe della tragica avventura umana di Rimbaud: con onesta parzialità, e respingendo qualsiasi idealizzazione. Dalla "teoria del Veggente", quando Rimbaud credeva ancora alla missione provvidenziale del poeta, fino alla scelta del silenzio, concludendo con la "conversione" fra le braccia della sorella. Episodio questo di cui nega l'interpretazione normalizzante e consolatoria fornita dall'unica testimone.
Di Rimbaud racconta il rifiuto dell'Autorità, il rifiuto della Necessità e la rivolta contro la morte, la ricerca della sregolatezza e il disprezzo per il lavoro, lo sforzo di rendersi abietto e la bestemmia contro Dio. Ma racconta anche la fase in cui Rimbaud si butta a capofitto nel lavoro e sembra dominato dal super-io, che gli fa accettare la logica della Necessità cosmica, e infine cedere alla "ingordigia di Dio" che lo assilla. Ma Fondane nel suo studio, che come si diceva avviene più attraverso l'identificazione che attraverso l'analisi, arriva a concludere che tutte queste contraddizioni sono presenti simultaneamente, e che il vero Rimbaud può essere colto solo nei suoi momenti di crisi, dove la dualità appare interamente.
Intanto esplora affinità e differenze confrontando Rimbaud con Baudelaire, Kierkegard, Nietzsche, e tanti altri pensatori e scrittori, fino a scoprire una profonda fratellanza spirituale fra lui e Dostoevskij, di cui osserva che le Memorie dal sottosuolo non sono altro che il manuale dell'uomo tragico. E l'uomo tragico, secondo Fondane, è caratterizzato dall'orrore dell'essere, un orrore incurabile e senz'altro rimedio che la follia. Dunque Rimbaud è un folle, un malato, pur senza smettere di essere una "canaglia".
So bene che i filosofi hanno sempre scartato i malati e, più ancora, gli artisti come testimoni riprovevoli, avendo tutto l'interesse a falsificare i dati principali, - dice Fondane. - Ma rinuncereste alla testimonianza di Rimbaud perché malato?
di Giovanna Repetto
Dimora in questo libro una triplice presenza: quella tragica di Rimbaud, evocato con forza da Fondane, poi quella di Fondane, che parlando di lui parla profondamente di sé, e infine quella più discreta, ma determinante, di Gian Luca Spadoni, traduttore di un libro scoperto quasi per caso, su una bancarella di Parigi. Ed è palpabile l'emozione con cui quest'ultimo restituisce alla memoria l'opera di un Autore morto nel 1944 in un campo di sterminio.
Sul coinvolgimento personale di Fondane non abbiamo dubbi, dal momento che lui stesso ci informa nella prefazione:
Il ruolo del biografo non è quello di fare affidamento sui testi (...) ma di fare suoi i problemi, di assumerne l'esperienza personale, di modo che non risolva per gli altri le difficoltà che incontra, ma per sé, in sé e in quanto sé.
Nello stesso tempo però proclama le sue intenzioni di fedeltà a Rimbaud, rifiutando di strumentalizzarlo in qualsiasi maniera. Così nel Capitolo Venti:
Se volessi servirmi di Rimbaud con un intento spirituale qualsiasi, niente mi sarebbe più facile; e perfino nella sua negazione, la sua esperienza potrebbe essermi utile; la potrei rivolgere contro tutti i meccanismi che fabbricano certezze, dalla filosofia idealista alla scienza pura. A me interessa soltanto di non servirmi di Rimbaud ma, per quanto possibile, di assecondarlo; non saprei mentire in sua presenza; temo il suo potente rancore.
Del resto è chiaro che Fondane rifugge dalle biografie a tesi, quelle che vorrebbero trarre delle conclusioni, o ricercare un senso.
La vita, via via che riempie i grandi geni, ha così poco senso, che un uomo onesto non può che vedervi un enorme sperpero di energia.
E' con questo spirito che Fondane percorre le tappe della tragica avventura umana di Rimbaud: con onesta parzialità, e respingendo qualsiasi idealizzazione. Dalla "teoria del Veggente", quando Rimbaud credeva ancora alla missione provvidenziale del poeta, fino alla scelta del silenzio, concludendo con la "conversione" fra le braccia della sorella. Episodio questo di cui nega l'interpretazione normalizzante e consolatoria fornita dall'unica testimone.
Di Rimbaud racconta il rifiuto dell'Autorità, il rifiuto della Necessità e la rivolta contro la morte, la ricerca della sregolatezza e il disprezzo per il lavoro, lo sforzo di rendersi abietto e la bestemmia contro Dio. Ma racconta anche la fase in cui Rimbaud si butta a capofitto nel lavoro e sembra dominato dal super-io, che gli fa accettare la logica della Necessità cosmica, e infine cedere alla "ingordigia di Dio" che lo assilla. Ma Fondane nel suo studio, che come si diceva avviene più attraverso l'identificazione che attraverso l'analisi, arriva a concludere che tutte queste contraddizioni sono presenti simultaneamente, e che il vero Rimbaud può essere colto solo nei suoi momenti di crisi, dove la dualità appare interamente.
Intanto esplora affinità e differenze confrontando Rimbaud con Baudelaire, Kierkegard, Nietzsche, e tanti altri pensatori e scrittori, fino a scoprire una profonda fratellanza spirituale fra lui e Dostoevskij, di cui osserva che le Memorie dal sottosuolo non sono altro che il manuale dell'uomo tragico. E l'uomo tragico, secondo Fondane, è caratterizzato dall'orrore dell'essere, un orrore incurabile e senz'altro rimedio che la follia. Dunque Rimbaud è un folle, un malato, pur senza smettere di essere una "canaglia".
So bene che i filosofi hanno sempre scartato i malati e, più ancora, gli artisti come testimoni riprovevoli, avendo tutto l'interesse a falsificare i dati principali, - dice Fondane. - Ma rinuncereste alla testimonianza di Rimbaud perché malato?
di Giovanna Repetto
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