CLASSICI
Alfredo Ronci
Romanzo psicologico e “di parte”: “Tre croci” di Federigo Tozzi.
Nessuno ha mai detto, e forse sono l’unico ma con addosso mille dubbi e mille incertezze, che la visione negativa della vita, dell’esistenza dei personaggi dei suoi romanzi e dei suoi racconti, deriva quasi sicuramente anche dalle inquietudini e dagli accadimenti che Tozzi subì nella sua breve vita.
Tanto per dare qualche esempio: fu un pessimo scolaro (a 12 anni fu per la prima volta allontanato per scostumata indisciplina). Nello stesso anno perde sua madre, una donna fragile e consumata da sfortunate gravidanze. Non dimentichiamoci che da bambino si ammala di tifo e questa malattia se la portò dietro praticamente per tutta la vita. Malinconico e balbuziente è insofferente a qualsiasi disciplina, e nulla potranno, in tal senso, le preoccupazioni di suo padre (padre piuttosto ferreo che cercò le soluzioni più con le cattive che con le buone).
Di queste problematiche in un certo senso se ne fanno partecipi anche quelli (soprattutto critici letterati e scrittori) che in più riprese tenteranno la via di una qualificazione dello stile e dell’arte in genere di Federigo Tozzi. Non è un caso che a farne le spese di questa maleducazione tozziana è anche Carlo Cassola.
Cassola, ovviamente, parte dagli inizi (anche se la distanza temporale dei primi tempi e dagli ultimi è veramente sottile) e soprattutto dalla differenza che secondo lui c’era tra Con gli occhi chiusi e naturalmente Tre croci. Il primo è più poetico mentre il secondo è più epico. A questo punto mi accorgo che è necessaria una spiegazione generalissima: in che consiste la differenza tra le due fondamentali espressioni letterarie, la lirica e l’epica? (…) Allora, qual è la differenza? Che il poeta lirico parla di sé, mentre il poeta epico parla degli altri.
Mi perdoni Cassola (non lo può fare, certo), ma dopo aver sentenziato per varie pagine ci troviamo davanti all’aspetto determinante dell’arte di Tozzi. Si è proprio sicuri che nella narrativa dello scrittore toscano ci si avvedi di questa sottile differenza d’impostazione o forse, come intendeva Contini in Letteratura dell’Italia unita il Tozzi appare affrancato da ogni vera soggezione: il mondo gli si frange in laceranti schegge impressionistiche, crudamente giustapposte.
Tre croci è un romanzo scritto nel 1918 ma apparirà in libreria soltanto nel 1920 dopo la morte di Tozzi. In una piccola città di provincia, in questo caso Siena, si muovono tre fratelli, tutti impegnati nel portare avanti una libreria che però, nel corso del tempo, non pare più garantire la sopravvivenza economica. I tre fratelli faranno del tutto per salvarla, compreso la realizzazione di documenti falsi, ma alla fine saranno scoperti e quindi la pagheranno cara: prima con la decadenza economica, mentale e fisica, poi con episodi differenti tra loro, con la morte.
Onestamente non sappiamo di certo cosa appare di così diverso tra le opere del Tozzi. Tre croci è un romanzo modernamente psicologico, e nello stesso tempo un’epica saga del disastro di una famiglia, uno spaccato di vita italiana del passato che però, nemmeno stranamente, appare così contemporaneo.
In un passo del libro, dove Giulio, il fratello più grande dei tre e quello che poi alla fine si suiciderà, confessa i suoi problemi e le sue ansie, riusciamo meglio a capire le dinamiche psicologiche del Tozzi: La paura che io ho di sbagliare a prendere qualche decisione, l’impossibilità anzi di prenderla, è la causa della mia indifferenza. Non vale, dunque, la pena ch’io soffra; perché non soffro soltanto per me ma anche per gli altri. Io vivo così perché essi vivono insieme con me.
Davanti a quella che poi sarà una vera e propria catastrofe, i personaggi tozziani diventano degni d’interesse. Di fronte al baratro sono costretti a spogliarsi di ogni convenzione e a rivelare fino in fondo la loro più segreta identità.
Diceva Cesare De Michelis: Il fatto che le vittime non possono attendersi conforto o solidarietà, siano responsabilmente o coscientemente colpevoli, rende la tragedia illacrimata, necessaria e prevista, al punto che narrativamente l’intreccio perde significato ed interesse, e contano, dunque, soltanto i gesti e i pensieri che rendono personali e distinti i cammini paralleli verso la conclusione già scritta.
Federigo Tozzi, dopo aver lasciato per iscritto e anche oralmente le sue disposizioni letterarie, muore a Roma il 21 marzo 1920, di “febbre spagnola”.
L’edizione da noi considerata è:
Federigo Tozzi
Tre croci
BUR
Tanto per dare qualche esempio: fu un pessimo scolaro (a 12 anni fu per la prima volta allontanato per scostumata indisciplina). Nello stesso anno perde sua madre, una donna fragile e consumata da sfortunate gravidanze. Non dimentichiamoci che da bambino si ammala di tifo e questa malattia se la portò dietro praticamente per tutta la vita. Malinconico e balbuziente è insofferente a qualsiasi disciplina, e nulla potranno, in tal senso, le preoccupazioni di suo padre (padre piuttosto ferreo che cercò le soluzioni più con le cattive che con le buone).
Di queste problematiche in un certo senso se ne fanno partecipi anche quelli (soprattutto critici letterati e scrittori) che in più riprese tenteranno la via di una qualificazione dello stile e dell’arte in genere di Federigo Tozzi. Non è un caso che a farne le spese di questa maleducazione tozziana è anche Carlo Cassola.
Cassola, ovviamente, parte dagli inizi (anche se la distanza temporale dei primi tempi e dagli ultimi è veramente sottile) e soprattutto dalla differenza che secondo lui c’era tra Con gli occhi chiusi e naturalmente Tre croci. Il primo è più poetico mentre il secondo è più epico. A questo punto mi accorgo che è necessaria una spiegazione generalissima: in che consiste la differenza tra le due fondamentali espressioni letterarie, la lirica e l’epica? (…) Allora, qual è la differenza? Che il poeta lirico parla di sé, mentre il poeta epico parla degli altri.
Mi perdoni Cassola (non lo può fare, certo), ma dopo aver sentenziato per varie pagine ci troviamo davanti all’aspetto determinante dell’arte di Tozzi. Si è proprio sicuri che nella narrativa dello scrittore toscano ci si avvedi di questa sottile differenza d’impostazione o forse, come intendeva Contini in Letteratura dell’Italia unita il Tozzi appare affrancato da ogni vera soggezione: il mondo gli si frange in laceranti schegge impressionistiche, crudamente giustapposte.
Tre croci è un romanzo scritto nel 1918 ma apparirà in libreria soltanto nel 1920 dopo la morte di Tozzi. In una piccola città di provincia, in questo caso Siena, si muovono tre fratelli, tutti impegnati nel portare avanti una libreria che però, nel corso del tempo, non pare più garantire la sopravvivenza economica. I tre fratelli faranno del tutto per salvarla, compreso la realizzazione di documenti falsi, ma alla fine saranno scoperti e quindi la pagheranno cara: prima con la decadenza economica, mentale e fisica, poi con episodi differenti tra loro, con la morte.
Onestamente non sappiamo di certo cosa appare di così diverso tra le opere del Tozzi. Tre croci è un romanzo modernamente psicologico, e nello stesso tempo un’epica saga del disastro di una famiglia, uno spaccato di vita italiana del passato che però, nemmeno stranamente, appare così contemporaneo.
In un passo del libro, dove Giulio, il fratello più grande dei tre e quello che poi alla fine si suiciderà, confessa i suoi problemi e le sue ansie, riusciamo meglio a capire le dinamiche psicologiche del Tozzi: La paura che io ho di sbagliare a prendere qualche decisione, l’impossibilità anzi di prenderla, è la causa della mia indifferenza. Non vale, dunque, la pena ch’io soffra; perché non soffro soltanto per me ma anche per gli altri. Io vivo così perché essi vivono insieme con me.
Davanti a quella che poi sarà una vera e propria catastrofe, i personaggi tozziani diventano degni d’interesse. Di fronte al baratro sono costretti a spogliarsi di ogni convenzione e a rivelare fino in fondo la loro più segreta identità.
Diceva Cesare De Michelis: Il fatto che le vittime non possono attendersi conforto o solidarietà, siano responsabilmente o coscientemente colpevoli, rende la tragedia illacrimata, necessaria e prevista, al punto che narrativamente l’intreccio perde significato ed interesse, e contano, dunque, soltanto i gesti e i pensieri che rendono personali e distinti i cammini paralleli verso la conclusione già scritta.
Federigo Tozzi, dopo aver lasciato per iscritto e anche oralmente le sue disposizioni letterarie, muore a Roma il 21 marzo 1920, di “febbre spagnola”.
L’edizione da noi considerata è:
Federigo Tozzi
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