RECENSIONI
Albert Russo
Sangue misto
Coniglio editore, Pag. 208 Euro 14,50
Raccontare la diversità non significa soltanto giocare a mischiare colori. Significa aver interiorizzato, con responsabilità e consapevolezza, le caratteristiche principe di popoli e culture, e le dinamiche delle interazioni tra culture e popoli; significa aver saputo simulare, con sensibilità prima ancora che con intelligenza, la visione del mondo dell'altro da sé. Il complicato, ma non ingrato né triste compito spetta stavolta un outsider interessante, il prolifico scrittore Albert Russo, di padre italiano e madre inglese, cresciuto in Africa (Zaire, oggi Congo), teoricamente belga, naturalmente apolide e cittadino del mondo: la sua atipica vicenda esistenziale (cfr. www.albertrusso.com/ per approfondimenti) figlia, in questo suo Sangue misto, una narrativa limpida, decisamente estranea alla ricercatezza lessicale (ma non alla commistione linguistica: saggia scelta, ben dosata) e stilistica, più prossima a una lunga ballad di un cantastorie figlio del popolo che a un imponente romanzo di formazione (d'un figlio dei bianchi e dei neri; d'un omosessuale che diventa padre; d'un popolo che nel sangue si guadagna la libertà dal colonizzatore).
Le ragioni per accostarlo, al di là della curiosità per l'adozione delle parole in lingua kishwaili, possono essere così sintetizzate: racconta d'una terra e d'un popolo che non conosciamo affatto, se non filtrato dalle propagande occidentali, prima colonialiste poi finto-pietiste; sembra estraneo a pregiudizi religiosi, razziali e sessuali, campione di libertà, equidistanza e democrazia; regala il romanzo di tre vite – inclusa quella della domestica Mama Malkia – senza scivolare nella confezione dell'artificio. È prevedibile, in certi frangenti, ma non per questo spiacevole. Scrive Moshe Liba, nella postfazione, a proposito della trama: Ci troviamo a fraternizzare con Harry Wilson, l'americano immigrato il cui orientamento sessuale si svela in modo violento alla fine della storia; respiriamo la stessa aria del figlio adottivo mulatto, Leo, che non si sente né congolese, né europeo, e del suo surrogato di madre, la forte Mama Malkia, la Madre Regina, figlia di un capo tribù, che sebbene sia la domestica di Harry Wilson è l'unica in grado di tenere le redini di casa. I tre sono inglobati in un unico destino, quello del Congo, prima colonia poi Stato indipendente (...).
L'opera è strutturata in tre parti e un epilogo; in linea di massima, la prima si concentra sulla sorte di Leo, il mulatto adottato, a partire dalla sua felice maturità americana, scendendo a ritroso, attraverso gli anni della scuola e via dicendo; nella seconda, Harry l'americano guadagna centralità; nella terza, è l'ex cameriera d'albergo Mama Malkia a guidare il lettore alla comprensione del suo mondo. Aspettatevi frammenti suggestivi dedicati a rituali, scontri tra compagni di scuola, rivalità tra culture (occidentale e africana) e vagheggiata pacifica assimilazione (scontrarsi o incontrarsi per rinnovarsi: armoniosamente. Sogno vano?): il tutto, nella certezza che la lingua di Albert Russo non vi risulterà mai sperimentale, né ricercata, né complessa; lineare, elementare e secca, come i pensieri di un bambino diligente e molto, molto ordinato. A dispetto del disordine immondo e abnorme che sta per sovrastarlo, in onore della dolcezza vera d'un amore paterno che non conosce limiti.
Simbolismi forse facili, ma non per questo meno toccanti.
Sangue misto per me è questo: un buon momento di letteratura pacificatrice e consolatrice.
di Gianfranco Franchi
Le ragioni per accostarlo, al di là della curiosità per l'adozione delle parole in lingua kishwaili, possono essere così sintetizzate: racconta d'una terra e d'un popolo che non conosciamo affatto, se non filtrato dalle propagande occidentali, prima colonialiste poi finto-pietiste; sembra estraneo a pregiudizi religiosi, razziali e sessuali, campione di libertà, equidistanza e democrazia; regala il romanzo di tre vite – inclusa quella della domestica Mama Malkia – senza scivolare nella confezione dell'artificio. È prevedibile, in certi frangenti, ma non per questo spiacevole. Scrive Moshe Liba, nella postfazione, a proposito della trama: Ci troviamo a fraternizzare con Harry Wilson, l'americano immigrato il cui orientamento sessuale si svela in modo violento alla fine della storia; respiriamo la stessa aria del figlio adottivo mulatto, Leo, che non si sente né congolese, né europeo, e del suo surrogato di madre, la forte Mama Malkia, la Madre Regina, figlia di un capo tribù, che sebbene sia la domestica di Harry Wilson è l'unica in grado di tenere le redini di casa. I tre sono inglobati in un unico destino, quello del Congo, prima colonia poi Stato indipendente (...).
L'opera è strutturata in tre parti e un epilogo; in linea di massima, la prima si concentra sulla sorte di Leo, il mulatto adottato, a partire dalla sua felice maturità americana, scendendo a ritroso, attraverso gli anni della scuola e via dicendo; nella seconda, Harry l'americano guadagna centralità; nella terza, è l'ex cameriera d'albergo Mama Malkia a guidare il lettore alla comprensione del suo mondo. Aspettatevi frammenti suggestivi dedicati a rituali, scontri tra compagni di scuola, rivalità tra culture (occidentale e africana) e vagheggiata pacifica assimilazione (scontrarsi o incontrarsi per rinnovarsi: armoniosamente. Sogno vano?): il tutto, nella certezza che la lingua di Albert Russo non vi risulterà mai sperimentale, né ricercata, né complessa; lineare, elementare e secca, come i pensieri di un bambino diligente e molto, molto ordinato. A dispetto del disordine immondo e abnorme che sta per sovrastarlo, in onore della dolcezza vera d'un amore paterno che non conosce limiti.
Simbolismi forse facili, ma non per questo meno toccanti.
Sangue misto per me è questo: un buon momento di letteratura pacificatrice e consolatrice.
di Gianfranco Franchi
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