RECENSIONI
Giulio Ferroni
Scritture a perdere. La letteratura negli anni zero.
Editori Laterza, Pag. 110 Euro 9,00
Parodiando la famosa lirica di Ungaretti... si sta come d'autunno sull'albero le foglie mi verrebbe da dire... si sta mentre brucia Roma in collina come Nerone. E a sghignazzare pure. Con un ghigno sardonico pure compiaciuto perché si potrebbe concionare: ma noi ve lo avevamo detto da un pezzo!
Ed ora ci si aggiunge il professor Ferroni, che in questa sorta di pamphlet sentito, ma non disperato (anche se dispera del futuro della letteratura) si chiede: C'è un legame tra l'eccesso dei libri e la comunicazione del vuoto, fra l'espansione illimitata della cultura e la sua evaporazione nell'illusione pubblicitaria, nell'insulsaggine spettacolare?
Bella domanda e bello anche il contorno in cui nasce, dove l'autore, uscito dall'ennesima edizione della Fiera del Libro incappa in una manifestazione primaverile di 'Amici' con tanto di partecipazione personalissima della mitica Maria De Filippi, la più ostinata educatrice delle nuove generazioni, detentrice di un singolare potere mediatico.
La domanda ottiene ovviamente una risposta con l'aggiunta di considerazioni sulla vanità dell'intellettualismo (di destra e di sinistra) orizzontato ormai ad un interminabile e indefinito «mostrarsi», di un ciarlante gioco di esibizioni, che trova il suo vertice nei festival e nei premi, col vario disporsi di una compagnia di giro che, specie sul volgere dell'estate, percorre il paese a manifestare il senso della cultura come presenza, transito orizzontale, proiezione di attualità.
Lapalissiano che siffattà intellettualità o carro di Tespi di un mercificante bailamme di offerta, produca narrativa speculare: non è solo quindi un problema di quantità (Sulla scena culturale si impone sempre più il modello del mercato: si diffonde in ogni settore il presupposto che la validità dei prodotti artistici e degli sviluppi teorici sia determinata dal loro successo, dal volume di vendite e dall'audience che arrivano a raggiungere), ma di qualità.
Dove va appunto la letteratura degli anni zero? Va, se son vere le premesse, dove porta il cuore del mercato. Va in seno a quei nomi che hanno fatto boom e si sono proposti come veri e propri modelli di riferimento. Ferroni va dunque giù duro su Paolo Giordano, assurto ai fasti mediatici per quella via 'giovane' che da parecchi decenni agisce sull'editoria, ma che propone una scrittura neutra e plastificata, senza nessuna accensione, sostando nelle banali occasioni, tra prevedibili cattiverie e accartocciarti desideri, dei giovani della media borghesia torinese.
Nulla a che vedere col 'giovanilismo' di altre ere: e si cita giustamente Fratelli d'Italia di Arbasino o Seminario sulla gioventù di Busi, clari esempi di grande rilievo stilistico.
Ferroni va giù duro sulla Mazzantini che tende all'amplificazione di una serie di effetti mediatici che mettono in circolo scrittura-sentimenti familiati-lacerazione-spettacolo (...) prolungandosi all'infinito in un narrare sciatto e, aggiungo, grondante di metafore. (Esilarante il fatto che il professore prenda citazioni dal libro fino a pagina trenta o giù di lì, come a dire che non ha avuto fegato ad andare avanti)
Non risparmia nemmeno l'ultimo premio Strega, Tiziano Scarpa (chissà se il professor Ferroni ha percezione del probabile numero uno dell'edizione 2010!) dove Stabat mater si anima solo quando egli incontra viscere ed escrementi, materia principe del resto in sue precedenti dilettazioni letterarie.
C'è dunque una soluzione a questa deriva che sembra inarrestabile? Esiste un mezzo che possa, alla stregua del tubo di un km che sta aspirando petrolio dal golfo del Messico, far piazza pulita della materia scatologica di cui pare fatta gran parte della produzione letteraria nostrana? (Ferroni si limita alla nostra squinzia ed indigena scrittura).
Potrebbe esserci: sembra evidente che la strada di ciò che si continua a chiamare romanzo non sia nelle indeterminate ed aleatorie proiezioni verso la virtualità, né nella indiscriminata espansione delle forme di 'genere', ma nella difficile ricerca di uno scarto critico, nella interrogazione della sfasata eterogeneità delle esperienze e dei linguaggi.
di Alfredo Ronci
Ed ora ci si aggiunge il professor Ferroni, che in questa sorta di pamphlet sentito, ma non disperato (anche se dispera del futuro della letteratura) si chiede: C'è un legame tra l'eccesso dei libri e la comunicazione del vuoto, fra l'espansione illimitata della cultura e la sua evaporazione nell'illusione pubblicitaria, nell'insulsaggine spettacolare?
Bella domanda e bello anche il contorno in cui nasce, dove l'autore, uscito dall'ennesima edizione della Fiera del Libro incappa in una manifestazione primaverile di 'Amici' con tanto di partecipazione personalissima della mitica Maria De Filippi, la più ostinata educatrice delle nuove generazioni, detentrice di un singolare potere mediatico.
La domanda ottiene ovviamente una risposta con l'aggiunta di considerazioni sulla vanità dell'intellettualismo (di destra e di sinistra) orizzontato ormai ad un interminabile e indefinito «mostrarsi», di un ciarlante gioco di esibizioni, che trova il suo vertice nei festival e nei premi, col vario disporsi di una compagnia di giro che, specie sul volgere dell'estate, percorre il paese a manifestare il senso della cultura come presenza, transito orizzontale, proiezione di attualità.
Lapalissiano che siffattà intellettualità o carro di Tespi di un mercificante bailamme di offerta, produca narrativa speculare: non è solo quindi un problema di quantità (Sulla scena culturale si impone sempre più il modello del mercato: si diffonde in ogni settore il presupposto che la validità dei prodotti artistici e degli sviluppi teorici sia determinata dal loro successo, dal volume di vendite e dall'audience che arrivano a raggiungere), ma di qualità.
Dove va appunto la letteratura degli anni zero? Va, se son vere le premesse, dove porta il cuore del mercato. Va in seno a quei nomi che hanno fatto boom e si sono proposti come veri e propri modelli di riferimento. Ferroni va dunque giù duro su Paolo Giordano, assurto ai fasti mediatici per quella via 'giovane' che da parecchi decenni agisce sull'editoria, ma che propone una scrittura neutra e plastificata, senza nessuna accensione, sostando nelle banali occasioni, tra prevedibili cattiverie e accartocciarti desideri, dei giovani della media borghesia torinese.
Nulla a che vedere col 'giovanilismo' di altre ere: e si cita giustamente Fratelli d'Italia di Arbasino o Seminario sulla gioventù di Busi, clari esempi di grande rilievo stilistico.
Ferroni va giù duro sulla Mazzantini che tende all'amplificazione di una serie di effetti mediatici che mettono in circolo scrittura-sentimenti familiati-lacerazione-spettacolo (...) prolungandosi all'infinito in un narrare sciatto e, aggiungo, grondante di metafore. (Esilarante il fatto che il professore prenda citazioni dal libro fino a pagina trenta o giù di lì, come a dire che non ha avuto fegato ad andare avanti)
Non risparmia nemmeno l'ultimo premio Strega, Tiziano Scarpa (chissà se il professor Ferroni ha percezione del probabile numero uno dell'edizione 2010!) dove Stabat mater si anima solo quando egli incontra viscere ed escrementi, materia principe del resto in sue precedenti dilettazioni letterarie.
C'è dunque una soluzione a questa deriva che sembra inarrestabile? Esiste un mezzo che possa, alla stregua del tubo di un km che sta aspirando petrolio dal golfo del Messico, far piazza pulita della materia scatologica di cui pare fatta gran parte della produzione letteraria nostrana? (Ferroni si limita alla nostra squinzia ed indigena scrittura).
Potrebbe esserci: sembra evidente che la strada di ciò che si continua a chiamare romanzo non sia nelle indeterminate ed aleatorie proiezioni verso la virtualità, né nella indiscriminata espansione delle forme di 'genere', ma nella difficile ricerca di uno scarto critico, nella interrogazione della sfasata eterogeneità delle esperienze e dei linguaggi.
di Alfredo Ronci
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