CLASSICI
Alfredo Ronci
Secondo l’insegnamento di Platone: “Retablo” di Vincenzo Consolo.
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Lungo il cammino intanto pongo tra me medesimo e la storia, tra me e questo secol nostro di carestie e pesti, di guerre e di massacri (peggiori di quanto noi pensiamo sono i tempi in cui viviamo!), tra me e gli òmini e le pietre, un’infinita distanza, un sospeso vallo, un occhio trasognato, che mi preservi e salvi d’ogni dolore o turbo, non m’ostacoli il cammino.
Come già detto in una precedente segnalazione, la Sellerio, in occasione dei suoi quarant'anni, ripropone una serie di testi che in qualche modo hanno rappresentato il biglietto da visita della sua attività (per lo più romanzi di autori siciliani, ad eccezione dell'immaginifico Jeffrey Holiday Hall, tanto amato da Sciascia.
Retablo di Vincenzo Consolo può davvero rappresentare una sorta di viatico di tutta l'esperienza della casa editrice palermitana e forse anche della letteratura siciliana e non solo.
Crediamo che parte del suo fascino sia riconducibile addirittura al senso da dare alla parola che dà il titolo. In genere è confinata in ambito pittorico, nel senso di una tavola a scomparti in rilievo inquadrata in una cornice architettonica molto elaborata e ricca di figure intagliate (ai giorni nostri se anche le parole non sono sufficienti, basta cliccare sulla sezione immagini di Google e avrete immediatamente una risposta ai vostri dubbi). Sciascia però, nel presentare l'opera, tiene a precisare che nel caso di Consolo, retablo lo si può tranquillamente allontanare dalla sfera più strettamente artistica per farlo approdare in quella letteraria. E lo stesso scrittore Consolo ci offre la soluzione quando parla di un retablo portato in corteo nella speranza che possa fare le grazie: io mi chiedei se non sia mai sempre tutto questo l'essenza d'ogni arte (oltre ad essere un'infinita derivanza, una copia continua, un'imitazione o impunito furto) un'apparenza, una rappresentazione o inganno, come quello degli omini che guardano le ombre sulla parete della caverna scura, secondo l'insegnamento di Platone, e credono sian quelle la vita vera, il reale intero...(pag. 67).
Senza scomodare Leopardi ci sembra una bella e laica considerazione della vita e del suo incedere a volte incomprensibile. Retablo invece è un viaggio affascinante anche e soprattutto dal punto di vista linguistico, col suo portamento classicheggiante e complesso, ma nello stesso tempo stagliato in una ridefinizione moderna e 'altra', rispetto alle consuete proposte narrative, (ricordiamo, per esempio, il romanzo d’esordio di Consolo, che noi qui abbiamo già presentato, La ferita dell’Aprile che si discosta da questo) dove i protagonisti di questa esplorazione in terra siciliana sono Fabrizio Clerici, un pittore (e non poteva essere altrimenti visti i presupposti) milanese di un settecento, come dice la nota introduttiva dell'editore, 'illuminato' (si potrebbe malignare allora che è l'opposto di quel che si avverte ai giorni nostri), ed il suo servo Isidoro, prete spretato: ambedue afflitti da pene d'amore (il primo per una donna 'lasciata' in terra meneghina, l'altro per una passione incontrata per caso e mai sopita).
Dice il pittore ad un certo punto: E sognare è vieppiù lo scrivere, lo scrivere memorando del passato come sospensione del presente, del viver quotidiano. E un sognare infine, in suprema forma, è lo scrivere d'un viaggio, e d'un viaggio nella terra del passato. Come questo diario di viaggio che io per voi vado scrivendo, mia signora. (Pag. 95).
Scrittura dunque come sospensione del presente, ma anche come viaggio geografico ed interiore: perfetta lezione di uno scrittore sensibile ed inconsueto (a volte preso nella ridondanza dei suoi impulsi) che offre al lettore l'opportunità anche di sognare. Di questi tempi offerta da prendere al volo, ancor meglio di un last minute.
Così ora capisco coloro che viaggiano, capisco gli eterni erranti, i nomadi, i gitani: vivono ancor di più dei sedentari, dilatano il tempo, ingannano la morte.
L’edizione da noi considerata è:
Vincenzo Consolo
Retablo
Sellerio Editore
Come già detto in una precedente segnalazione, la Sellerio, in occasione dei suoi quarant'anni, ripropone una serie di testi che in qualche modo hanno rappresentato il biglietto da visita della sua attività (per lo più romanzi di autori siciliani, ad eccezione dell'immaginifico Jeffrey Holiday Hall, tanto amato da Sciascia.
Retablo di Vincenzo Consolo può davvero rappresentare una sorta di viatico di tutta l'esperienza della casa editrice palermitana e forse anche della letteratura siciliana e non solo.
Crediamo che parte del suo fascino sia riconducibile addirittura al senso da dare alla parola che dà il titolo. In genere è confinata in ambito pittorico, nel senso di una tavola a scomparti in rilievo inquadrata in una cornice architettonica molto elaborata e ricca di figure intagliate (ai giorni nostri se anche le parole non sono sufficienti, basta cliccare sulla sezione immagini di Google e avrete immediatamente una risposta ai vostri dubbi). Sciascia però, nel presentare l'opera, tiene a precisare che nel caso di Consolo, retablo lo si può tranquillamente allontanare dalla sfera più strettamente artistica per farlo approdare in quella letteraria. E lo stesso scrittore Consolo ci offre la soluzione quando parla di un retablo portato in corteo nella speranza che possa fare le grazie: io mi chiedei se non sia mai sempre tutto questo l'essenza d'ogni arte (oltre ad essere un'infinita derivanza, una copia continua, un'imitazione o impunito furto) un'apparenza, una rappresentazione o inganno, come quello degli omini che guardano le ombre sulla parete della caverna scura, secondo l'insegnamento di Platone, e credono sian quelle la vita vera, il reale intero...(pag. 67).
Senza scomodare Leopardi ci sembra una bella e laica considerazione della vita e del suo incedere a volte incomprensibile. Retablo invece è un viaggio affascinante anche e soprattutto dal punto di vista linguistico, col suo portamento classicheggiante e complesso, ma nello stesso tempo stagliato in una ridefinizione moderna e 'altra', rispetto alle consuete proposte narrative, (ricordiamo, per esempio, il romanzo d’esordio di Consolo, che noi qui abbiamo già presentato, La ferita dell’Aprile che si discosta da questo) dove i protagonisti di questa esplorazione in terra siciliana sono Fabrizio Clerici, un pittore (e non poteva essere altrimenti visti i presupposti) milanese di un settecento, come dice la nota introduttiva dell'editore, 'illuminato' (si potrebbe malignare allora che è l'opposto di quel che si avverte ai giorni nostri), ed il suo servo Isidoro, prete spretato: ambedue afflitti da pene d'amore (il primo per una donna 'lasciata' in terra meneghina, l'altro per una passione incontrata per caso e mai sopita).
Dice il pittore ad un certo punto: E sognare è vieppiù lo scrivere, lo scrivere memorando del passato come sospensione del presente, del viver quotidiano. E un sognare infine, in suprema forma, è lo scrivere d'un viaggio, e d'un viaggio nella terra del passato. Come questo diario di viaggio che io per voi vado scrivendo, mia signora. (Pag. 95).
Scrittura dunque come sospensione del presente, ma anche come viaggio geografico ed interiore: perfetta lezione di uno scrittore sensibile ed inconsueto (a volte preso nella ridondanza dei suoi impulsi) che offre al lettore l'opportunità anche di sognare. Di questi tempi offerta da prendere al volo, ancor meglio di un last minute.
Così ora capisco coloro che viaggiano, capisco gli eterni erranti, i nomadi, i gitani: vivono ancor di più dei sedentari, dilatano il tempo, ingannano la morte.
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