RECENSIONI
Franco Foschi & Guido Leotta
Senza via d'uscita
Mobydick, Pag. 127 Euro 12,00
Inizia come un'arguta, godibilissima cronaca di viaggio del commissario Colajacono, già protagonista di due precedenti romanzi. Ambientata nel 1989, quindi antecedente l'era del cellulare, appare come un resoconto d'epoca. C'è un che di ingenuo, di provinciale, che accomuna l'Italia campagnola e buongustaia e l'Irlanda delle ballate e delle bevute di birra. Il commissario, uomo attaccato alla vita semplice e alle belle tradizioni campane, parte con riluttanza, tanto più che si tratta di rinunciare alla festa di bicentenario della pasta di Gragnano. Ma il figlio Guido, trasferitosi nell'isola da diversi anni per seguire la sua passione per la musica, ha insistito per rivederlo in occasione di un festival canoro da lui organizzato (questo a quanto pare è il suo mestiere, l'organizzatore di eventi musicali). Colajacono, da poco pensionato, fa buon viso e finisce per apprezzare più del previsto la scoperta di un paese nuovo, con ritmi di vita tranquilli e con la possibilità, inaspettata, di soddisfare il suo palato di buongustaio.
...si era imposto di vedere il viaggio come l'occasione per un'apoteosi quieta, buona da raccontare, al ritorno, e poi da ricordare sulla poltrona della vecchiaia.
Lascia in patria la rassicurante moglie Giovanna e l'altro figlio, medico quasi senza frontiere (per l'abnegazione che prodiga al terzo mondo). Di questi due figli, l'artista e il missionario, si è fatto un'immagine idealizzata, ma ora che i pargoli sono quarantenni dovrà fare i conti con la realtà. E' questo infatti un romanzo sui rapporti fra le generazioni, sul progredire del tempo, sui cambiamenti di vita e di costume che inevitabilmente si impongono e che è difficile accettare senza amarezza. Un'acuta analisi psicologica accompagna il buon Colajacono in quella che si rivela come un'avventura esistenziale.
Percepì che nel viaggio ci sono la stanchezza e l'apprensione (...) ma c'era pure quella insospettabile contrazione del tempo che ne arresta la progressione, una progressione che a casa si vive come fatale e che invece in viaggio sparisce, a favore di un insolito vuoto che può riempirsi di benessere e curiosità.
Il viaggio come pausa magica, come un'isola nel fiume del tempo, e come modo di sfuggire alla tirannia del quotidiano per rendersi disponibili alla scoperta. E' vero, a una certa età viaggiare acquista un significato diverso, è come la dilazione di una pena, una beffa al tempo, uno scoprirsi ancora capaci di stupore e di cambiamento. E però nel caso del commissario c'è il disagio di un non detto, di qualcosa che non quadra completamente. Della vita del figlio, nel lungo periodo di separazione intercorso, ha saputo troppo poco. Da un certo momento in poi si rimane in attesa di un colpo di scena forse anche troppo annunciato e forse, alla fine, risolto un po' troppo in fretta. Ma c'è di buono che il romanzo si conclude senza sconti, senza concessioni a forzati ottimismi.
Possiamo dunque apprezzare senza remore il garbato umorismo venato di candore con cui viene seguito il percorso del commissario in Irlanda. Fra l'altro vi si possono riconoscere spiccati elementi autobiografici (almeno per quel che so di Leotta) nelle parti in cui si esprime la passione per la musica e per la buona cucina.
di Giovanna Repetto
...si era imposto di vedere il viaggio come l'occasione per un'apoteosi quieta, buona da raccontare, al ritorno, e poi da ricordare sulla poltrona della vecchiaia.
Lascia in patria la rassicurante moglie Giovanna e l'altro figlio, medico quasi senza frontiere (per l'abnegazione che prodiga al terzo mondo). Di questi due figli, l'artista e il missionario, si è fatto un'immagine idealizzata, ma ora che i pargoli sono quarantenni dovrà fare i conti con la realtà. E' questo infatti un romanzo sui rapporti fra le generazioni, sul progredire del tempo, sui cambiamenti di vita e di costume che inevitabilmente si impongono e che è difficile accettare senza amarezza. Un'acuta analisi psicologica accompagna il buon Colajacono in quella che si rivela come un'avventura esistenziale.
Percepì che nel viaggio ci sono la stanchezza e l'apprensione (...) ma c'era pure quella insospettabile contrazione del tempo che ne arresta la progressione, una progressione che a casa si vive come fatale e che invece in viaggio sparisce, a favore di un insolito vuoto che può riempirsi di benessere e curiosità.
Il viaggio come pausa magica, come un'isola nel fiume del tempo, e come modo di sfuggire alla tirannia del quotidiano per rendersi disponibili alla scoperta. E' vero, a una certa età viaggiare acquista un significato diverso, è come la dilazione di una pena, una beffa al tempo, uno scoprirsi ancora capaci di stupore e di cambiamento. E però nel caso del commissario c'è il disagio di un non detto, di qualcosa che non quadra completamente. Della vita del figlio, nel lungo periodo di separazione intercorso, ha saputo troppo poco. Da un certo momento in poi si rimane in attesa di un colpo di scena forse anche troppo annunciato e forse, alla fine, risolto un po' troppo in fretta. Ma c'è di buono che il romanzo si conclude senza sconti, senza concessioni a forzati ottimismi.
Possiamo dunque apprezzare senza remore il garbato umorismo venato di candore con cui viene seguito il percorso del commissario in Irlanda. Fra l'altro vi si possono riconoscere spiccati elementi autobiografici (almeno per quel che so di Leotta) nelle parti in cui si esprime la passione per la musica e per la buona cucina.
di Giovanna Repetto
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