RECENSIONI
Paolo Nori
Siamo buoni se siamo buoni
Marcos y Marcos, Pag. 224 Euro 15,00
Volume secondo di quella che potrebbe diventare la trilogia di Ermanno Baistrocchi, Siamo buoni se siamo buoni segna un deciso ritorno verso strutture narrative già note agli appassionati di Nori. La banda del formaggio, uscito nella primavera del 2013 sempre per Marcos y Marcos, può aver spiazzato qualcuno per via dell’intreccio solido e dei tanti personaggi pensati per restare, in ottemperanza alla serialità da classifica. Al suo ritorno in libreria Baistrocchi smentisce questo accenno di adeguamento alle migliori pratiche di certa letteratura di consumo, e vira decisamente verso lidi più noti (più Nori), coste più frastagliate, umori in bilico tra il singhiozzo, il riso e la lacrima. Innanzitutto, l’editore Ermanno Baistrocchi assomiglia sempre più a Nori: ha studiato russo e non francese, come sosteneva ne La banda del formaggio, e il suo unico libro da autore (per l’appunto, La banda del formaggio), incentrato sulla figura dell’ex socio in affari Paride Spaggiari, morto suicida, gli regala un certo successo, trasformandolo da imprenditore a scrittore itinerante. Chi ha letto La banda del formaggio sa che Baistrocchi voleva pubblicarlo postumo, e l’inghippo che rende questo possibile è un incidente stradale che fa credere a tutti che lui sia morto – un po’ com’è successo a Nori l’anno scorso. La banda del formaggio, inteso come oggetto editoriale, diventa quindi l’innesco narrativo di Siamo buoni se siamo buoni, anche se in termini di ordito non si va molto in là. Non c’è, per intenderci, l’abbozzo di «giallo emiliano» che trovava la sua spiegazione nella storia criminale (da strapazzo) della banda delle forme di parmigiano. Qui scatta un gioco diverso, più sottile, quasi un Trova le differenze stile Settimana enigmistica tra il romanzo pubblicato postumo o quasi, il romanzo che Baistrocchi aveva consegnato alla redazione e la vita stessa di Baistrocchi. Ma al di là di queste matriosche, di queste carte piacentine rimescolate, lo scarto fondamentale, motore delle pagine più liriche di Siamo buoni se siamo buoni, è rappresentato dalla moglie di Ermanno, Emma, data per morta ne La banda del formaggio e invece viva e vegeta. Suddiviso in sette capitoli e 150 paragrafi con tanto di titolo, Siamo buoni se siamo buoni è un bellissimo romanzo sul nulla (vedasi il paragrafo 120, «Da dire», che dice tutto), infarcito della consueta, feconda propensione dell’autore per l’endotico – da contrapporre, come faceva Perec, all’esotico – e di sacrosante idiosincrasie come quella per le collocazioni, «quegli esempi di lingua automatica che non diceva niente» (p. 167) come il vuoto che dev’esser pneumatico, lo sfondo necessariamente sessuale, l’asilo giocoforza politico, l’attimo fuggente. E via salmodiando. Nori cita autori sempre sul suo comodino come Grégoire Bouillier, Patrik Ouředník o Venedikt Erofeev (da lui tradotto per la Compagnia Extra Quodlibet), evoca gli incubi di Paolo Villaggio nel cavazzoniano La voce della luna, estrae dal cappello l’aneddoto di Victor Hugo che avrebbe visto di buon occhio una Parigi ribattezzata Victorhugopoli – giusto per lanciare un assist a Ermanno parlando di Parma o Bologna, ben raccolto dall’illustratore Lorenzo Lanzi che in copertina ha piazzato il cartello «Ermanno Baistroccopoli» davanti alle due torri. Deludente come romanzo-romanzo ma appagante, persino commovente come esperienza di lettura che t’inghiotte senza mollarti più, Siamo buoni se siamo buoni contiene alcune delle più belle pagine a firma Nori, vanta una citazione in esergo da annali (fonte: Timur Kibirov) e un ultimo capitolo da mandare a memoria come se Google Books non esistesse. L’attesa per il terzo volume, forse narrato dallo spacciatore romagnolo Cianuro, è spasmodica. Perché se c’è un’attesa, è spasmodica.
di Simone Buttazzi
di Simone Buttazzi
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Grandi ustionati
Marcos y Marcos, Pag. 192 Euro 10,00Ero curioso – cose che capitano col caldo non saprei dire - di rileggere Paolo Nori dopo averlo presto abbandonato, agli inizi, per colpa sua mica mia, avendo l'uomo preso gusto alle sue letture di storie troppo uguali per non sottendere che l'unico suo vero interesse fosse la voce che le raccontava. Che ci ha fatto una carriera, Nori, con la sua voce, ma anche irritato non pochi lettori che di fronte ai suoi libretti, diciamo al secondo al terzo, capita l'antifona, li abbandonavano
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