RECENSIONI
Fabrizio Bianchini
Tenax
Cicorivolta edizioni, Pag. 185 euro 12,00
Mi sono presa la briga di vedere che cosa ci sia di vero nel personaggio di Diana Est, cantante degli anni ottanta, (al secolo Cristina Barbieri) e ho trovato un video in cui si esibisce indossando proprio il peplum rosa descritto da Bianchini, prima di ritirarsi definitivamente dal mondo dello spettacolo,che non sentiva a sé congeniale. Tutto corrisponde, come la canzone 'Tenax' che dà il titolo al romanzo e che è anche il nome di un gel per capelli. Una specie di Grease nostrano, insomma. Nel romanzo la cantante fa un'apparizione fugace, ma la sua presenza aleggia tutto il tempo sullo sfondo come un filo conduttore.
Per il protagonista Fabrizio, giovane dj di Macerata, lei è infatti un mito e un'occasione irripetibile, perché sta per esibirsi proprio nel locale in cui lui lavora. Nell'attesa, la storia si svolge nella realtà giovanile degli anni ottanta, o almeno in quella che era la realtà giovanile nell'ambiente delle discoteche e delle tifoserie calcistiche di una piccola città. Fra uno spinello e un tiro di coca, l'obiettivo principale era procurarsi quella che nel loro machismo i ragazzi definivano carne da macello, per un po' di sesso senza complicazioni sentimentali. E la più grande preoccupazione era l'incombere della famosa cartolina rosa che ancora, all'epoca, poteva arrivare da un momento all'altro per chiamare al servizio di leva. E qui saremmo nei dintorni di un mercoledì da leoni. Del resto tutto il mondo è paese, se ci si riferisce agli schemi tipici dell'eroe bello e in gamba, dell'amico goffo e fedele che lo protegge a costo della vita, dello scontro fra bande rivali dove bisogna mostrare muscoli e coraggio. I ragazzi di cui si parla si sentono Warriors come i protagonisti dei loro film preferiti. Fabrizio è il capo , il Maestro, e gli piace stare al gioco, fare il tombeur de femmes e incassare ammirazione e invidia. E' tutto un gioco di ruoli, una recita di cui Fabrizio per primo avverte l'inconsistenza. Però si sa, in queste storie c'è sempre l'appuntamento ineludibile, la tragedia che aspetta dietro l'angolo, la vita che ti lascia divertire ma poi viene a chiedere il conto. Il copione, dicevo, è abbastanza classico, ma l'aspetto interessante è la riproduzione realistica, nei modi e nel linguaggio, di un ambiente che l'Autore conosce bene, perché in quel luogo e in quel tempo ha vissuto i suoi vent'anni.
Succede sempre così. Quando arriviamo noi, in pista rallentano fin quasi a fermarsi e ci fissano. Siamo fichi. Soprattutto io.
Il Papero davanti, io in mezzo, e il Marmista con la busta dei dischi nuovi a chiudere la fila.
L'ordine d'ingresso non cambia mai, come la frase che mi rivolge il Papero con un ghigno mentre ammicca verso le ragazze che ballano sotto la consolle: - Maeftro, guarda quanta carne da macello.
Proprio così, perché Sandro, detto il Papero, ha un difetto di pronuncia che caratterizza ogni sua battuta, e che fa bene da contraltare alle fantasie narcisistiche dei tre amici. Tre bulletti provinciali e boriosi, che però fanno tenerezza nella loro ingenuità.
Con la narrazione al presente in prima persona, Bianchini aderisce al personaggio in modo coinvolgente. Adotta il linguaggio, le emozioni e i pensieri di un ventitreenne pieno di paure e di speranze, sia pure mascherate da un cinismo di facciata. Un ragazzo che al disprezzo per i genitori gretti e conformisti alterna l'affetto verso la nonna, e la cui disinvoltura nell'uso utilitaristico del sesso non esclude il desiderio di un amore esclusivo. Il pensiero critico del narratore coincide felicemente con l'autoironia del personaggio.
di Giovanna Repetto
Per il protagonista Fabrizio, giovane dj di Macerata, lei è infatti un mito e un'occasione irripetibile, perché sta per esibirsi proprio nel locale in cui lui lavora. Nell'attesa, la storia si svolge nella realtà giovanile degli anni ottanta, o almeno in quella che era la realtà giovanile nell'ambiente delle discoteche e delle tifoserie calcistiche di una piccola città. Fra uno spinello e un tiro di coca, l'obiettivo principale era procurarsi quella che nel loro machismo i ragazzi definivano carne da macello, per un po' di sesso senza complicazioni sentimentali. E la più grande preoccupazione era l'incombere della famosa cartolina rosa che ancora, all'epoca, poteva arrivare da un momento all'altro per chiamare al servizio di leva. E qui saremmo nei dintorni di un mercoledì da leoni. Del resto tutto il mondo è paese, se ci si riferisce agli schemi tipici dell'eroe bello e in gamba, dell'amico goffo e fedele che lo protegge a costo della vita, dello scontro fra bande rivali dove bisogna mostrare muscoli e coraggio. I ragazzi di cui si parla si sentono Warriors come i protagonisti dei loro film preferiti. Fabrizio è il capo , il Maestro, e gli piace stare al gioco, fare il tombeur de femmes e incassare ammirazione e invidia. E' tutto un gioco di ruoli, una recita di cui Fabrizio per primo avverte l'inconsistenza. Però si sa, in queste storie c'è sempre l'appuntamento ineludibile, la tragedia che aspetta dietro l'angolo, la vita che ti lascia divertire ma poi viene a chiedere il conto. Il copione, dicevo, è abbastanza classico, ma l'aspetto interessante è la riproduzione realistica, nei modi e nel linguaggio, di un ambiente che l'Autore conosce bene, perché in quel luogo e in quel tempo ha vissuto i suoi vent'anni.
Succede sempre così. Quando arriviamo noi, in pista rallentano fin quasi a fermarsi e ci fissano. Siamo fichi. Soprattutto io.
Il Papero davanti, io in mezzo, e il Marmista con la busta dei dischi nuovi a chiudere la fila.
L'ordine d'ingresso non cambia mai, come la frase che mi rivolge il Papero con un ghigno mentre ammicca verso le ragazze che ballano sotto la consolle: - Maeftro, guarda quanta carne da macello.
Proprio così, perché Sandro, detto il Papero, ha un difetto di pronuncia che caratterizza ogni sua battuta, e che fa bene da contraltare alle fantasie narcisistiche dei tre amici. Tre bulletti provinciali e boriosi, che però fanno tenerezza nella loro ingenuità.
Con la narrazione al presente in prima persona, Bianchini aderisce al personaggio in modo coinvolgente. Adotta il linguaggio, le emozioni e i pensieri di un ventitreenne pieno di paure e di speranze, sia pure mascherate da un cinismo di facciata. Un ragazzo che al disprezzo per i genitori gretti e conformisti alterna l'affetto verso la nonna, e la cui disinvoltura nell'uso utilitaristico del sesso non esclude il desiderio di un amore esclusivo. Il pensiero critico del narratore coincide felicemente con l'autoironia del personaggio.
di Giovanna Repetto
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