RECENSIONI
Karl Marx
Ti amo Jenny. Lettere d'amore e di amicizia.
Shake Edizioni, Pag. 160 Euro 10,00
Una piccola biografia sentimentale ma niente affatto priva di interesse. Il libretto Ti amo Jenny, Lettere d'amore e di amicizia, edito dalla Shake consta di stralci riassuntivi della vita dell'autore e di qualche decina di lettere delle quali lo stesso è mittente e destinatario. Trattandosi di missive riguardanti affari spesso privati, il nome dell'autore procura non poca curiosità. Perché parliamo di Karl Marx, il comunista, il rimosso più clamoroso della storia non a caso nefasta degli ultimi trent'anni.
L'uomo in nome delle cui teorie si sono compiuti delitti di massa di proporzioni terrificanti, l'uomo però che come nessun'altro ha saputo descrivere e cercato, con quelle stesse teorie, di combattere un'altra oscena violenza, quella del capitale.
Una certa pruderie moralistica, più protestante che cattolica a dire il vero, ma anche il gusto rozzo e semplicistico delle masse ammaestrate alla paranoia in cerca di falle nel territorio del nemico, s'industria non tanto a curiosare nelle mura private di tale e talaltro purché di peso – il che sarebbe normale e in sé pure divertente - ma a stanare le meschinità private nascoste dai presunti nobili principii "ufficiali" così da nullificare l'autorevolezza degli stessi.
Del resto, si sa, i teorici e gli ideologi del bene – parlo alla grossa – accampano nelle loro vite piccole o grandi miserie esattamente come chiunque di noi.
Marx aveva 18 anni quando la storia d'amore con Jenny von Westphalen – non una giovanissima, per l'epoca, avendone ventiquattro – fece il passo decisivo che li avrebbe condotti a un'esistenza non priva di tratti fortemente drammatici. La donna viene da un coté aristocratico, il fratello finirà nel governo prussiano; lui, Karl, ancora tentato dalla poesia, assai bohémien, senza un soldo, con un padre forse consapevole del suo genio ma molto perplesso su quello che il giovanotto pensa di farne. Questo matrimonio non s'ha da fare. Ma se c'è una cosa che ai due innamorati non manca è la determinazione. Attraverso rapidi cenni biografici che inquadrano come cornici narrative i momenti cruciali – quelli evidentemente in cui i due sono lontani - una serie di lettere scambiate fra loro, i genitori, le figlie, il sodale Engels e il socialista aspirante genero Lafargue ci immettono in un mondo di desideri, entusiasmi e, soprattutto, preoccupazioni, esortazioni, lamentazioni di una vita molto, molto faticosa, difficilissima, segnata da lunghi periodi di miserie, fughe, calunnie: la vita che non poteva non capitare all'uomo che voleva cambiare la faccia alla storia dell'umanità.
Nonostante il giovane poeta (illeggibile, bisogna dire - e l'idealismo ricorrente non migliorava i risultati) trovi presto la sua strada di filosofo della rivoluzione, di studioso dell'economia politica, non gli ci vorrà molto tempo per constatare che il suo talento non è considerato merce pregiata, e invece di essere richiesto dalle università europee dovrà scamparsela piuttosto dalle questure che gli danno la caccia e lo costringono a oltrepassare le frontiere di vari paesi. Bene, stupirà qualcuno sapere che l'andamento liricheggiante delle sue mediocri poesie il giovane Marx lo esibisce anche nelle lettere a Jenny, la quale subodora i guai che gli procurerà l'eccitazione politica del più giovane amico e futuro marito ma non se ne lascerà intimorire fino al punto di mollarlo. Assiste alla caparbia fiducia del talentaccio che aspira a cambiare il mondo ma nel frattempo accresce solo il capitale a disposizione del popolo che chiama a combattere: la prole. Trattandosi della propria e scarseggiando il resto, anche la coraggiosa Jenny dovrà fare i conti con la fame, s'ammalerà d'inedia e non potrà davvero fare a meno di lamentarsene. Quando Marx, sempre orgoglioso e fiero della propria diversità, scrive a Engels che la moglie soffre per motivi "più borghesi che fisici" (alla scarsità di risorse va aggiunto il clima che gli avversari del filosofo – compresi quelli, va da sé, "di sinistra" – gli creavano intorno), non ci fa una gran figura, anche se poi aggiunge "au fond, ha ragione". Ma pensava di averne anche lui, se a un certo punto scriverà all'intraprendente Lafargue, che vuole la mano di sua figlia, di dirsi pentito d'essersi sposato. Peraltro, al socialista ai suoi occhi "moderato" e del quale non si fida né come politico né, soprattutto, come eventuale genero, chiede conto delle possibilità economiche. "Un uomo positivo come Lei, che vorrebbe abolire la poesia non vorrà fare della poesia a spese di mia figlia". Lo si potrebbe considerare cinico, a me pare geniale. Per i più teneri, tenete conto che per il resto della vita il barbuto padre del comunismo non smise di chiamare "amore" sua moglie – e ditelo anche a Moccia, che magari ci scrive un romanzo decente.
di Michele Lupo
L'uomo in nome delle cui teorie si sono compiuti delitti di massa di proporzioni terrificanti, l'uomo però che come nessun'altro ha saputo descrivere e cercato, con quelle stesse teorie, di combattere un'altra oscena violenza, quella del capitale.
Una certa pruderie moralistica, più protestante che cattolica a dire il vero, ma anche il gusto rozzo e semplicistico delle masse ammaestrate alla paranoia in cerca di falle nel territorio del nemico, s'industria non tanto a curiosare nelle mura private di tale e talaltro purché di peso – il che sarebbe normale e in sé pure divertente - ma a stanare le meschinità private nascoste dai presunti nobili principii "ufficiali" così da nullificare l'autorevolezza degli stessi.
Del resto, si sa, i teorici e gli ideologi del bene – parlo alla grossa – accampano nelle loro vite piccole o grandi miserie esattamente come chiunque di noi.
Marx aveva 18 anni quando la storia d'amore con Jenny von Westphalen – non una giovanissima, per l'epoca, avendone ventiquattro – fece il passo decisivo che li avrebbe condotti a un'esistenza non priva di tratti fortemente drammatici. La donna viene da un coté aristocratico, il fratello finirà nel governo prussiano; lui, Karl, ancora tentato dalla poesia, assai bohémien, senza un soldo, con un padre forse consapevole del suo genio ma molto perplesso su quello che il giovanotto pensa di farne. Questo matrimonio non s'ha da fare. Ma se c'è una cosa che ai due innamorati non manca è la determinazione. Attraverso rapidi cenni biografici che inquadrano come cornici narrative i momenti cruciali – quelli evidentemente in cui i due sono lontani - una serie di lettere scambiate fra loro, i genitori, le figlie, il sodale Engels e il socialista aspirante genero Lafargue ci immettono in un mondo di desideri, entusiasmi e, soprattutto, preoccupazioni, esortazioni, lamentazioni di una vita molto, molto faticosa, difficilissima, segnata da lunghi periodi di miserie, fughe, calunnie: la vita che non poteva non capitare all'uomo che voleva cambiare la faccia alla storia dell'umanità.
Nonostante il giovane poeta (illeggibile, bisogna dire - e l'idealismo ricorrente non migliorava i risultati) trovi presto la sua strada di filosofo della rivoluzione, di studioso dell'economia politica, non gli ci vorrà molto tempo per constatare che il suo talento non è considerato merce pregiata, e invece di essere richiesto dalle università europee dovrà scamparsela piuttosto dalle questure che gli danno la caccia e lo costringono a oltrepassare le frontiere di vari paesi. Bene, stupirà qualcuno sapere che l'andamento liricheggiante delle sue mediocri poesie il giovane Marx lo esibisce anche nelle lettere a Jenny, la quale subodora i guai che gli procurerà l'eccitazione politica del più giovane amico e futuro marito ma non se ne lascerà intimorire fino al punto di mollarlo. Assiste alla caparbia fiducia del talentaccio che aspira a cambiare il mondo ma nel frattempo accresce solo il capitale a disposizione del popolo che chiama a combattere: la prole. Trattandosi della propria e scarseggiando il resto, anche la coraggiosa Jenny dovrà fare i conti con la fame, s'ammalerà d'inedia e non potrà davvero fare a meno di lamentarsene. Quando Marx, sempre orgoglioso e fiero della propria diversità, scrive a Engels che la moglie soffre per motivi "più borghesi che fisici" (alla scarsità di risorse va aggiunto il clima che gli avversari del filosofo – compresi quelli, va da sé, "di sinistra" – gli creavano intorno), non ci fa una gran figura, anche se poi aggiunge "au fond, ha ragione". Ma pensava di averne anche lui, se a un certo punto scriverà all'intraprendente Lafargue, che vuole la mano di sua figlia, di dirsi pentito d'essersi sposato. Peraltro, al socialista ai suoi occhi "moderato" e del quale non si fida né come politico né, soprattutto, come eventuale genero, chiede conto delle possibilità economiche. "Un uomo positivo come Lei, che vorrebbe abolire la poesia non vorrà fare della poesia a spese di mia figlia". Lo si potrebbe considerare cinico, a me pare geniale. Per i più teneri, tenete conto che per il resto della vita il barbuto padre del comunismo non smise di chiamare "amore" sua moglie – e ditelo anche a Moccia, che magari ci scrive un romanzo decente.
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