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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Kenzo Kitakata

Tokyo noir

Newton Compton Editori, Pag. 326 Euro 9,90
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Takino-san era un affiliato alla Yakuza, la temibile mafia giapponese. Lo ritroviamo all'inizio del romanzo che gestisce un supermercato in un quartiere piccolo borghese di Tokyo ed è sposato con la bella e paziente Yukie che gestisce un locale bar al piano superiore al supermercato. Hanno perso una figlia di due anni per un incidente. La loro vita scorre monotona e rassegnata. Un bel giorno, nella vita di Takino rientra improvvisamente l'ombra della mala. Qualcuno tenta di avvelenargli delle confezioni di latte. Takino si affida a un detective privato, anche lui ripulitosi dopo una vita criminale. In breve scoprono cosa c'è dietro agli avvelenamenti e le tracce, come in un puzzle pieno di imprevisti, lo riconducono al suo amico fraterno con cui aveva condiviso gli anni della Yakuza. Takayatsu, anche se non è lui il responsabile dei misfatti ai suoi danni. Takayatsu gestisce un locale dove Takino manderà a lavorare la sua amante, Akemi, e dove si imbatterà nei loschi frequentatori della nuova Yakuza distrettuale che fanno capo al boss Owada, prossimo candidato alle elezioni cittadine. La Tokyo del romanzo di Kitakata è acida, desolata e fumosa. Tutto il contrario della metropoli caotica e isterica che ci si aspetterebbe. I due vecchi amici si cominciano a dare appuntamento nella quiete di un campo da golf. Parlano del passato, di donne. Del loro maestro del crimine Sakurai che li faceva rigare dritto. Poi accade qualcosa nella testa di Takino. Come un richiamo fortissimo e inevitabile. La sua vita rinchiusa fra il supermercato e la convivenza matrimoniale rischia di farlo esplodere. A Takayatsu, che dal mondo del crimine non si è mai staccato del tutto, chiede, quasi implorandolo, di farlo tornare operativo. L'amico gli offre così un compito gravoso, probabilmente uno dei più delicati che potesse affidargli. C'è di mezzo il suo spaccio di droga fatto all'insaputa del clan Owada, c'è di mezzo la copertura della relazione fra la figlia del boss e il suo socio di traffici, Sugimura. Takino deve aiutarli a scappare da Tokyo.

La città è spietata ma anche terribilmente indifferente, saggia, distaccata. Kitakata ne fa un affresco impietoso ma poetico. Ed è proprio con la poesia che entra in gioco l'altro protagonista del romanzo, il detective della polizia municipale Takegi, il Cane Bianco. Un uomo sulla cinquantina, che legge poesie e tratta il figlio adolescente e indifeso come fosse un avversario di lotta marziale. Quando la figlia del boss e il suo amante vengono ritrovati morti per le strade di Taiwan, il detective inizia una caccia a ritroso per cercare di riannodare una matassa apparentemente incomprensibile. La sua ostinazione è probabilmente la parte più intensa e fastidiosa del romanzo. Quella che ti fa parteggiare. E' naturale stare dalla parte di Takino, la sua speranza di cambiare vita, di ricominciare una storia con Akemi e di lasciarsi alle spalle il matrimonio e la tragica fine della figlia. Diventa tutto più complicato quando, a poco a poco, intorno a lui verrà fatta terra bruciata. E quando, accecato dall'odio e dalla sete di vendetta, cercherà di eliminare con l'arma che più predilige, il pugnale, il boss Owada, reo di aver ordinato l'uccisione di Takayatsu una volta risalito alle cause dell'assassinio della figlia. Il finale è un film d'altri tempi. Un incontro scontro fra due forti personalità, Takino e Takegi; e poi il treno, le stazioni, il mare, il traghetto, la costa giapponese che guarda verso una presunta libertà che si chiama Taiwan. Il finale è poesia e pathos. L'inesorabile verdetto di chi nasce per vivere in un certo modo, che si sente chiuso in gabbia, e non può fare altrimenti se non gettarsi fra le braccia del suo daimon, anche se questo lo condurrà alla morte. Anzi, forse proprio per quello.





di Adriano Angelini


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