RECENSIONI
Amos Oz
Tra amici
Feltrinelli, Pag. 134 Euro 14,00
Otto brevi racconti parlano della vita nel kibbutz. Non la spiegano né la commentano, ma ne danno un assaggio con una sorta di immersione diretta. Ne colgono una dimensione umana, sommessa, filtrata dalla profonda maturità di un uomo che ha condiviso sinceramente un'utopia per poi rivederla criticamente con altrettanta sincerità. Come fa dire a uno dei personaggi.
Il kibbutz, pensava, cambia forse un po' le regole sociali, ma la natura umana non la cambia, e questa natura non è affatto semplice. Invidia, meschinità e cattiveria non c'è modo di estirparle con una votazione all'assemblea del kibbutz.
L'esperienza nel kibbutz è stata per Amos Oz l'occasione unica e speciale per osservare un microcosmo, una porzione di umanità in vetrina. Insieme alle diverse personalità ha potuto studiare la rete di rapporti che le accomuna, che ne rende le vite interdipendenti non solo negli aspetti palesi come l'organizzazione della vita comunitaria, le decisioni prese in assemblea, la divisione del lavoro, ma anche negli aspetti più sottili e nascosti. Nella successione dei racconti Oz punta lo zoom ora su un personaggio ora sull'altro inquadrando una sequenza della sua vita quotidiana e mettendo a fuoco una drammaticità nascosta, che la vita metodica del kibbutz non lenisce e non risolve, anzi esalta per contrasto. L'enumerazione dei gesti più semplici ricrea lo sfondo di una monotonia rassicurante su cui poi disegna possenti pennellate di inquietudine.
Martedì, al ritorno dal lavoro, Nahum si è fatto una doccia, ha indossato dei pantaloni beige stirati e una camicia celeste, si è messo il vecchio giaccone che gli dà un'aria da intellettuale squattrinato del secolo scorso, ha pulito con l'angolo del fazzoletto le lenti degli occhiali e si è preparato ad uscire. Ma all'ultimo momento si è ricordato del manuale di arabo per studenti avanzati che Edna aveva lasciato in casa sua. Con estrema cautela ha avvolto il libro in un nylon semitrasparente, se lo è infilato sotto l'ascella, si è messo il berretto grigio ed è uscito.(...) Non sapeva ancora cosa avrebbe detto a sua figlia e cosa avrebbe trovato da dire a David Dagan, ma sperava che al momento dell'incontro qualcosa gli sarebbe venuto in mente.
Nessun racconto approda a una conclusione, e nel senso di non finito si esprime la veridicità delle storie. Tutte confluiscono nella trama di un tessuto che le accomuna e le mantiene aperte. Iniziano come racconti separati, ma i personaggi finiscono per incontrarsi, a volte di persona, altre volte solo nel pettegolezzo e nel sentito dire, e a un certo punto fa capolino anche l'Autore, non come protagonista, poiché non pretende mai per sé il primo piano, ma come testimone che, rievocando quei giorni, conferisce alla narrazione l'efficacia dell'esperienza vissuta, del riscontro autobiografico.
Quando tutti noi, finiti scuola e lavoro, andavamo a trascorrere la sera in casa dei nostri genitori, Moshe restava in camera sua a fare i compiti oppure andava in un angolo del circolo, gli occhiali che scivolavano giù dal naso, e leggeva tutti i giornali da cima a fondo, una pagina dietro l'altra. Quando la notte ci stendevamo sul prato sotto le stelle a cantare canzoni nostalgiche, lui era l'unico che non posava la testa sulle ginocchia di una ragazza. All'inizio lo chiamavamo Marziano e lo prendevamo in giro per la sua timidezza, ma qualche settimana dopo il suo arrivo avevamo già smesso di importunarlo perché non era di qui: la sua era un'estraneità calma, composta.
Anche la natura, che accompagna sempre con intensità i protagonisti delle storie, è però rappresentata in un aspetto quotidiano, quasi dimesso, con movimenti e suoni che sembrano improntati ai ritmi stessi della vita nel kibbutz. I versi degli animali domestici, l'odore del letame, il rumore della pioggia sulle grondaie rivelano nella natura la presenza dell'uomo. Ma qualche volta è l'uomo a subire, anche dolorosamente, il fascino della natura.
La notte era fredda e tersa. Le rane spezzavano il silenzio, un cane abbaiava in lontananza. Alzando lo sguardo, Yoav ha trovato una coltre di nuvole basse sopra la testa e si è detto che quello che per lui è importante in fondo non conta nulla, ma a quel che conta davvero non ha tempo di pensare. La vita trascorre senza darti quasi mai il tempo di pensare alle cose più semplici e più grandi come la solitudine, la nostalgia, il desiderio e la morte. Il silenzio ora era profondo, ampio, spezzato a tratti dal lamento degli sciacalli. Yoav si è sentito pieno di riconoscenza per quel silenzio, e anche per quel lamento.
Il fatto che l'azione si svolga all'interno del kibbutz non deve fuorviare. Le storie che si raccontano in questo libro non sono in nessun modo emblematiche di quel particolare stile di vita. Sono storie profondamente drammatiche e universali: emblematiche, piuttosto, della condizione umana.
di Giovanna Repetto
Il kibbutz, pensava, cambia forse un po' le regole sociali, ma la natura umana non la cambia, e questa natura non è affatto semplice. Invidia, meschinità e cattiveria non c'è modo di estirparle con una votazione all'assemblea del kibbutz.
L'esperienza nel kibbutz è stata per Amos Oz l'occasione unica e speciale per osservare un microcosmo, una porzione di umanità in vetrina. Insieme alle diverse personalità ha potuto studiare la rete di rapporti che le accomuna, che ne rende le vite interdipendenti non solo negli aspetti palesi come l'organizzazione della vita comunitaria, le decisioni prese in assemblea, la divisione del lavoro, ma anche negli aspetti più sottili e nascosti. Nella successione dei racconti Oz punta lo zoom ora su un personaggio ora sull'altro inquadrando una sequenza della sua vita quotidiana e mettendo a fuoco una drammaticità nascosta, che la vita metodica del kibbutz non lenisce e non risolve, anzi esalta per contrasto. L'enumerazione dei gesti più semplici ricrea lo sfondo di una monotonia rassicurante su cui poi disegna possenti pennellate di inquietudine.
Martedì, al ritorno dal lavoro, Nahum si è fatto una doccia, ha indossato dei pantaloni beige stirati e una camicia celeste, si è messo il vecchio giaccone che gli dà un'aria da intellettuale squattrinato del secolo scorso, ha pulito con l'angolo del fazzoletto le lenti degli occhiali e si è preparato ad uscire. Ma all'ultimo momento si è ricordato del manuale di arabo per studenti avanzati che Edna aveva lasciato in casa sua. Con estrema cautela ha avvolto il libro in un nylon semitrasparente, se lo è infilato sotto l'ascella, si è messo il berretto grigio ed è uscito.(...) Non sapeva ancora cosa avrebbe detto a sua figlia e cosa avrebbe trovato da dire a David Dagan, ma sperava che al momento dell'incontro qualcosa gli sarebbe venuto in mente.
Nessun racconto approda a una conclusione, e nel senso di non finito si esprime la veridicità delle storie. Tutte confluiscono nella trama di un tessuto che le accomuna e le mantiene aperte. Iniziano come racconti separati, ma i personaggi finiscono per incontrarsi, a volte di persona, altre volte solo nel pettegolezzo e nel sentito dire, e a un certo punto fa capolino anche l'Autore, non come protagonista, poiché non pretende mai per sé il primo piano, ma come testimone che, rievocando quei giorni, conferisce alla narrazione l'efficacia dell'esperienza vissuta, del riscontro autobiografico.
Quando tutti noi, finiti scuola e lavoro, andavamo a trascorrere la sera in casa dei nostri genitori, Moshe restava in camera sua a fare i compiti oppure andava in un angolo del circolo, gli occhiali che scivolavano giù dal naso, e leggeva tutti i giornali da cima a fondo, una pagina dietro l'altra. Quando la notte ci stendevamo sul prato sotto le stelle a cantare canzoni nostalgiche, lui era l'unico che non posava la testa sulle ginocchia di una ragazza. All'inizio lo chiamavamo Marziano e lo prendevamo in giro per la sua timidezza, ma qualche settimana dopo il suo arrivo avevamo già smesso di importunarlo perché non era di qui: la sua era un'estraneità calma, composta.
Anche la natura, che accompagna sempre con intensità i protagonisti delle storie, è però rappresentata in un aspetto quotidiano, quasi dimesso, con movimenti e suoni che sembrano improntati ai ritmi stessi della vita nel kibbutz. I versi degli animali domestici, l'odore del letame, il rumore della pioggia sulle grondaie rivelano nella natura la presenza dell'uomo. Ma qualche volta è l'uomo a subire, anche dolorosamente, il fascino della natura.
La notte era fredda e tersa. Le rane spezzavano il silenzio, un cane abbaiava in lontananza. Alzando lo sguardo, Yoav ha trovato una coltre di nuvole basse sopra la testa e si è detto che quello che per lui è importante in fondo non conta nulla, ma a quel che conta davvero non ha tempo di pensare. La vita trascorre senza darti quasi mai il tempo di pensare alle cose più semplici e più grandi come la solitudine, la nostalgia, il desiderio e la morte. Il silenzio ora era profondo, ampio, spezzato a tratti dal lamento degli sciacalli. Yoav si è sentito pieno di riconoscenza per quel silenzio, e anche per quel lamento.
Il fatto che l'azione si svolga all'interno del kibbutz non deve fuorviare. Le storie che si raccontano in questo libro non sono in nessun modo emblematiche di quel particolare stile di vita. Sono storie profondamente drammatiche e universali: emblematiche, piuttosto, della condizione umana.
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