CLASSICI
Alfredo Ronci
Un amore finalmente vero: “Un cuore di troppo” di Aldo Busi.
Penso che Un cuore di troppo rappresenti per Busi una sorta di limite. Per carità, attenti alle parole quando si tratta di parlare dello scrittore bresciano (con un po’ di nostalgia lo ricordo la prima volta quando esordì nel mondo editoriale partecipando al Maurizio Costanzo Show), ma è pur vero che nulla di simile (e nemmeno successivamente) è stato pubblicato da Busi e con tale caratteristiche.
Innanzi tutto il libro in questione si differenzia dal resto della produzione per via delle pagine. Un cuore di troppo (poco più di 120 pagine) sembra sbiadire di fronte all’eccessiva montagna di scritti partorita dallo scrittore (anche qui ricordo come agli inizi della sua carriera editoriale Busi sosteneva che avrebbe partorito soltanto quattro romanzi, e il quarto sarebbe stato il compendio assoluto di tutto, una sorta di iper-romanzo capolavoro).
Poi la differenza sta proprio nell’essenza stessa della storia che, ora che conosciamo ormai l’uomo, ci appare come un sorta di confessione strappacuore che mai avremmo immaginato uscisse dalla penna di uno dei maggiori scrittori contemporanei.
Un cuore di troppo è un romanzo curiosamente “tenero”, e si sa quanto possa essere diverso dal resto della produzione, dove alla base della storia, e quindi della riflessone e della drammaticità in generale, è una frase buttata per caso, quasi un fraintendimento (più avanti vedremo questa “frase”).
Busi lascia per un attimo l’artificio del pettegolezzo, a volte assunto anche come critica della società capitalistica, per assumere un tono, seppur gagliardo, ma un po’ sottomesso, perché è il fine che lo richiede. Non si sa se il fine è quello di esaltare una passione tra uomini o quello di far sì che, come tutte le cose, anche questa è destinata a non essere colta nella sua vera essenza.
In un Centro Antistress dove uomini e industriali e donne in cerca di mezze emozioni vengono per recuperare il sonno perduto, il nostro Busi, confessa di essersi innamorato di un uomo sposato, e confessa proprio a un altro uomo la sua passione e la sua delusione.
… è tarchiato ma non è basso, è il torace piegato un po’ in avanti sotto il collo taurino a dargli la postura di un ariete in guardia, è ben fatto, capelli ricci e ancora folti, con qualche pennacchio argento, movimenti armoniosi anche se la cassa toracica è proprio sproporzionata ai glutei, ecco, è robusto ma non ha pancia, le braccia sono muscolose, di chi ha sollevato carichi e scarichi, non di chi fa palestra e mette su muscoli artificiali perché è meno compromettente che mettersi a pensare con la propria testa… ha fatto la quinta elementare, la licenza di terza media l’ha comprata da un istituto privato.
Perché, in definitiva, questa rappresentazione dell’uomo (per la precisione Menes Filatterio… tipico della toponomastica busiana) così dettagliata? Cosa ha spinto lo scrittore a confessarsi ad un altro uomo così diverso non solo fisicamente, ma anche psicologicamente e suvvia, sessualmente? Diciamo che sotto sotto c’è (ancora) una sorta di innamoramento dell’uno verso l’altro.
Perché Busi dovrebbe dire, ad un certo punto… Ti prego, Menes, aiutami…? Ma poi si convince che… Di una cosa sono certo: a uno come Menes non passa nemmeno per la testa che un uomo si confidi a un uomo per essere aiutato se non glielo chiede espressamente.
Tra confidenze e ritrosie (è chiaro che quando si parla di Busi, cioè lo scrittore-uomo, ci siano sia le une che le altre) arriva però la frase finale, quella che atterrerebbe qualsiasi persona, figuriamoci uno che finalmente ha trovato il modo di confessarsi totalmente: Per me ti sei inventato tutto te…
Una frase che sembra sciocca e se, detta in altre circostanze, anche elementare … ma non per Busi… -Anche per me… non solo secondo Menes Filatterio… mi immagino tutto io, il cuore di troppo è il mio. Meglio che batta invano, o cessi subito, ma che fra sé e sé batta per me e per me solo fino all’ultimo. E in culo anche ai miei marroni.
Non è il rimorso di aver confessato ad un altro (e qui rimanga il maschile) la propria passione e delusione per essersi innamorato di un uomo, figuriamoci, è invece la sensazione di aver costruito una sorta di recinto che si credeva invalicabile ma che è invece è stato distrutto da sette parole così ingenue ma terribilmente assassine.
Se si vuole bene a Busi, questo è un libro da non mancare.
L’edizione da noi considerata è:
Aldo Busi
Un cuore di troppo
Mondado
Innanzi tutto il libro in questione si differenzia dal resto della produzione per via delle pagine. Un cuore di troppo (poco più di 120 pagine) sembra sbiadire di fronte all’eccessiva montagna di scritti partorita dallo scrittore (anche qui ricordo come agli inizi della sua carriera editoriale Busi sosteneva che avrebbe partorito soltanto quattro romanzi, e il quarto sarebbe stato il compendio assoluto di tutto, una sorta di iper-romanzo capolavoro).
Poi la differenza sta proprio nell’essenza stessa della storia che, ora che conosciamo ormai l’uomo, ci appare come un sorta di confessione strappacuore che mai avremmo immaginato uscisse dalla penna di uno dei maggiori scrittori contemporanei.
Un cuore di troppo è un romanzo curiosamente “tenero”, e si sa quanto possa essere diverso dal resto della produzione, dove alla base della storia, e quindi della riflessone e della drammaticità in generale, è una frase buttata per caso, quasi un fraintendimento (più avanti vedremo questa “frase”).
Busi lascia per un attimo l’artificio del pettegolezzo, a volte assunto anche come critica della società capitalistica, per assumere un tono, seppur gagliardo, ma un po’ sottomesso, perché è il fine che lo richiede. Non si sa se il fine è quello di esaltare una passione tra uomini o quello di far sì che, come tutte le cose, anche questa è destinata a non essere colta nella sua vera essenza.
In un Centro Antistress dove uomini e industriali e donne in cerca di mezze emozioni vengono per recuperare il sonno perduto, il nostro Busi, confessa di essersi innamorato di un uomo sposato, e confessa proprio a un altro uomo la sua passione e la sua delusione.
… è tarchiato ma non è basso, è il torace piegato un po’ in avanti sotto il collo taurino a dargli la postura di un ariete in guardia, è ben fatto, capelli ricci e ancora folti, con qualche pennacchio argento, movimenti armoniosi anche se la cassa toracica è proprio sproporzionata ai glutei, ecco, è robusto ma non ha pancia, le braccia sono muscolose, di chi ha sollevato carichi e scarichi, non di chi fa palestra e mette su muscoli artificiali perché è meno compromettente che mettersi a pensare con la propria testa… ha fatto la quinta elementare, la licenza di terza media l’ha comprata da un istituto privato.
Perché, in definitiva, questa rappresentazione dell’uomo (per la precisione Menes Filatterio… tipico della toponomastica busiana) così dettagliata? Cosa ha spinto lo scrittore a confessarsi ad un altro uomo così diverso non solo fisicamente, ma anche psicologicamente e suvvia, sessualmente? Diciamo che sotto sotto c’è (ancora) una sorta di innamoramento dell’uno verso l’altro.
Perché Busi dovrebbe dire, ad un certo punto… Ti prego, Menes, aiutami…? Ma poi si convince che… Di una cosa sono certo: a uno come Menes non passa nemmeno per la testa che un uomo si confidi a un uomo per essere aiutato se non glielo chiede espressamente.
Tra confidenze e ritrosie (è chiaro che quando si parla di Busi, cioè lo scrittore-uomo, ci siano sia le une che le altre) arriva però la frase finale, quella che atterrerebbe qualsiasi persona, figuriamoci uno che finalmente ha trovato il modo di confessarsi totalmente: Per me ti sei inventato tutto te…
Una frase che sembra sciocca e se, detta in altre circostanze, anche elementare … ma non per Busi… -Anche per me… non solo secondo Menes Filatterio… mi immagino tutto io, il cuore di troppo è il mio. Meglio che batta invano, o cessi subito, ma che fra sé e sé batta per me e per me solo fino all’ultimo. E in culo anche ai miei marroni.
Non è il rimorso di aver confessato ad un altro (e qui rimanga il maschile) la propria passione e delusione per essersi innamorato di un uomo, figuriamoci, è invece la sensazione di aver costruito una sorta di recinto che si credeva invalicabile ma che è invece è stato distrutto da sette parole così ingenue ma terribilmente assassine.
Se si vuole bene a Busi, questo è un libro da non mancare.
L’edizione da noi considerata è:
Aldo Busi
Un cuore di troppo
Mondado
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