RECENSIONI
Albino Bernardini
Un anno a Pietralata - La scuola nemica
Ilisso, Pag.315 Euro 11,00
Terminiamo questo breve, e speriamo interessante, passaggio nel paesaggio dell'Urbe, con un salto in quella che fu la sua parte "stupenda e misera". Innanzitutto, però, per piacer di cronaca, vale discutere l'"indagine umorale e passionale, più che scientifica", (p. 16) che Bernardini condusse in Sardegna (1973), e che nel compatto che recensisco occupa la seconda sezione. Indagine che illustra come, al di là dei fermenti che, in specie dal dopoguerra, stavano maturando parte del mosto della scuola in vino, la rimanenza continuava ad andare in aceto: l'agro della repressione, della sopraffazione violenta - gli schiaffi, le bacchettate -, la discriminazione sociale nei confronti dei poveri. Un pastore con molti figli e pochi soldi lo dice chiaro e tondo: "Invece di aiutare chi è indietro (i maestri) aiutano chi è avanti.(...) La nostra scuola è il dottore dei sani". (p. 241)
Contro questa scuola prepotente e classista, ospedale cioè diplomificio per i figli della "razza pregiata", che molti oggi vorrebbero riproporre in una versione che alla cretineria vetusta coniughi la modernità più imbecille, tanti maestri come Bernardini insorsero, proponendone una diversa: proprio nel '73, la Rai trasmette Diario di un maestro, (1) di Vittorio De Seta, con Bruno Cirino e una combrìccola di ragazzini (2) provenienti dalle borgate romane - che allora c'erano - con Francesco Tonucci, psicologo e disegnatore, a far da consulente. L'attore interpreta un maestro, spedito, come agnello tra lupi, a insegnare in una scuola "squallida e sporca come un carcere mandamentale". (p.29) E qui avviene una duplice, complessa chimica: quella vera del racconto d'un anno (1960) a Pietralata, che ha ispirato lo scrittore e poi il regista. E quella autentica del film (1973) che, invece di rifare pedissequo il romanzo, o semplicemente di adattarlo, ben più ambizioso - e d'ambizioni compiute - s'adatta esso ai pischelletti. Sullo schermo tv dunque avviene che la suggestione della pagina ripigli vitalità attraverso la vera presenza dei ragazzi, l'indubbia paradossale (Diderot, no?) forza d'attore di Cirino, tutta fisiognomica e verbale, l'infaticabile maestria di regista e operatore (è Luciano Tovoli, scusate se è poco) nel seguire e stimolare, come nel fare argine e ridurre se istrionica e debordante, la vitalità dei piccoli interpreti, capace di cancellare ogni limite tra finzione e reale, tra personaggio e persona, travasando la propria, e seria, nell'identità fittizia. E' il primo punto di contatto fra l'educatore e chi lo reinventa; Bernardini registra sulla pagina, con un segno d'eccezionale qualità narrativa (vedi pp. 88 e 95), che si direbbe belliano, il teatro fisiognomico e pragmatico che si ritrova dinanzi: la camera di De Seta non si lascia sfuggire nulla della presenza espressiva, della mimica, dei suoi interpreti, che sia carattere personale o modulazione nel coro.
Così, sotto allo spettacolo del vero e del naturale, mai verista o naturalista, l'impressione dell'esperienza, dell'ossatura scarna e scabra, della lezione di Bernardini, si trasferisce con naturalezza alla ripresa: a ripigliare vigore e figura di persone, e a darne loro, con uno scambio che poteva venir segnato solo dal transito da verità a verità. (3) Esempio: occasione per parlare dei furti è, nel libro, un cappotto. Nel film, addirittura un'auto. Ma la reazione dei giovanissimi partecipanti, e la soluzione che si prospetta, ha il medesimo tono emotivo, la stessa dinamica nel gruppo: in ciò, la "fedeltà al testo" non poteva essere più piena. Regista e Autore si ritrovano, con una eccezione, a non indietreggiare di fronte a nulla, a descrivere quel che gli si para dinanzi agli occhi, ed è ciò che davvero importa: una classe composta di ultimi della classe - e sono ultimi non solo in senso scolastico, ma sociale e morale. Umano, certo che no: Bernardini, scaltrito dalla sua esperienza nella Sardegna delle "bacchette",(4) e dalla propria affettività priva di fronzoli, riconosce senza mediazioni o peggio edulcoràti deamicisiani che i suoi Franti sono creature degne, fiere e gagliarde. Abbassate, semmai, solo dall'ambiente ferino, di maliziosa violenza, che le imbozzola, come segregò i loro genitori. Indifese, si duole il maestro, dall'inerzia benpensante dei "colleghi" e del direttore, impeciati d' inetta prosopopea l'uno e di "servilismo ipocrita" (p.144) gli altri, e perdipiù offesi dal doversi trattenere in un ambiente che giudicano, con malcelato razzismo, affollato d'una "razza inferiore" canagliesca; un luogo in cui "facevano un anormale d'ogni bambino che non fosse come lo si desiderava", (p.117) sognando le belle scuole del centro, le classi farcìte di pupàttoli impregnati di "sordo conformismo ed esasperato individualismo". (p. 180)
Creature, quelle del sobborgo, infine esposte a ogni maturità prima del tempo, a "un'esperienza che molti adulti non hanno"(p.41): (5) dalla guapperìa dei reati da quattro soldi, all'essere "impastati di parolacce" (p. 125) - segnacolo per verba della crosta di belluìna rabbia brutale ch'è assieme manesca difesa e offesa -, al vorace dialetto che inghiotte nella sua necessaria durezza ogni diverso accento, fino alla "cosa freudiana", quella a cui in una società erotofoba ma basata sulla storpiatura riproduttiva e genitale del sesso, vien data suprema importanza: la copula. Bernardini, con semplice e felice acutezza, riporta gli sguardi d'un suo precoce sul culo della supplente bbòna, e assieme la ricerca del piccolo sboróne d'una minima virile complicità: "puro lei l'ha guardata, eh?". (p.64) E registra - preoccupato, ma fedele - d'una certa "casa rotta" dove si fanno "le cose zozze", appena proscritta dalla fragile avvisaglia "mamma m'ha detto che sì ce vado m'ammazza". (p. 52) Cercando infine, con sottile e però censoria psicologia, di "cambiare destinazione" ai luoghi dell'incontro tabù e dunque spiato, fantasticato, carico di vergogna (p. 99 e segg.); e comunque di arrivare al discorso nel modo che avverte migliore, traendo spunto dalle nascite dei fratellini dei suoi scolari.
Non dirò che in ciò lo sceneggiato tv è carente. Dico invece che mi pare molto di quel che il maestro sardo (e l'altro sé regista) vide, e provò per gli accattoncini borgatari, è simile a quanto sentì, scoprendolo e scoprendosi, il poeta félibrige. Certo: l'insegnante (nel Sessanta) potrebbe esser stato influenzato dallo scrittore (che esperiva nei primi Cinquanta), o direttamente per fama, o perché ne condivideva l'ideologia. Resta però il fatto che due persone comunque più diverse che analoghe e nella storia e nella psicologia, poste al cospetto della medesima umanità, abbiano avuto reazioni se non uguali, almeno equidistanti. Il che testimonia, se non una visione oggettiva, almeno la presenza di alcuni tratti effettivi rilevabili intersoggettivamente - valutabili dunque come reali, o almeno autentici, anche dai detrattori più solidi. (6) Ovvero: due romantici potranno sdilinquirsi sulle rovine del Teatro di Marcello nella stessa maniera vezzosa e fallace - ma che il loro languore lo provino dinanzi a un coso tondo come il culo, e non quadro come un sanpietrino, si deve dare per sicuro.
Noterà il Lettore: sì, però, quando De Seta riprendeva i suoi eventuali pasolìnidi, l'eponimo ne dava un quadro apocalitticamente diverso. Così è noto, ed è - ma in parte: in più d'un'occasione di questo Paradiso ho voluto distinguere la strategia retorica e assoluta del Pasolini oracolare, e la ragione d'essa (rendersi inconsumabile), dalla sua tattica relativa e conciliante. Qui aggiungo che, intervistato in una trasmissione tv dal titolo Roma 4, il poeta sostiene che, in linea di massima, i borgatari erano intatti dai tempi dei suoi romanzi, solo si scorgeva un "inizio di corruzione nei fratelli minori". E si spinge a precisare insino un atto certo quale l'"abiura dalla trilogia della vita": "abiuro quei miei stessi film quando essi vengono assimilati come prodotti di consumo". (7) Dunque l'indice, al di là della tensione sado-tragica che gli faceva accumunare volenterosi carnefici e disponibili vittime, è rivolto soprattutto contro i primi, e contro i secondi per quel che quelli ne fecero e ne fanno.
Vengo quindi a dire d'una continuità non tanto e non solo di cose viste, ma dello sguardo che le osserva: pedagogico e affettivo sempre nei testimoni, amoroso ed erotico nella specie dell'omosessuale. Tutti vicini nel desiderio di rendere la realtà in una parola più profonda, in un'immagine più scolpita: di dire la cosa stessa, e insieme la difficoltà e la fatica nel fare in modo che si dica, mediante le quali la cosa risalti viva, vera. E la gioia, alla fine, d'aver reso il vero e il vivo in tutti i loro possibili sensi - e la disperazione, in Pasolini, di trovarli confusi, omologati: ancora una volta, nella Città si ritrovavano i germi del Mondo.
Felice città, che tale vigilia hai reso possibile, tra l'ossame dei tuoi marmi e le distese delle tue periferie, inondata dal medesimo folle sole, dalla stessa notte di nere strade e di nere stelle.
*****
1. trasmesso in quattro puntate dall'undici febbraio 1973. Oltre a Cirino, recitano Marisa Fabbri, Mico Cundari, TullioAltamura. Le vicissitudini della realizzazione, assieme alla sceneggiatura, si possono leggere in Gian Paolo Cresci, De Seta - Diario di un maestro in tv, Edizioni EDA, Torino 1973. Il ventiquattro settembre 2003 lo sceneggiato è stato proiettato in Campidoglio, alla presenza del sindaco e degli interpreti, ormai adulti, per ricordare il protagonista, morto nel 1981. Una curiosità: fratello dell'Attore è il ministro Paolo Cirino Pomicino. Ricavo queste informazioni da il Venerdì di Repubblica, del diciannove settembre 2003 (p. 22);
2. Dal medesimo ne riporto i nomi: Massimo Bonini, Luciano Del Croce, Romano Di Mascio, Giorgio Mennuni, Franco Munzi, Sergio Piazza, Fabrizio Ranuzzi, Renzo Sacco, Stefano Scafati, Marco Speranza, Remo Tamasco, Franco Tomasso, Amedeo Traversetti, Giancarlo e Sergio Valente, Marco Veneto. Sergio morì poco dopo terminate le riprese, in uno sciagurato incidente;
3. Per dare un'idea della complessità del rapporto fra libro e pellicola, cito: "La scuola nuova abolisce il vecchio rapporto autoritario tra maestro e alunni (...). Come si potrebbe realizzare tutto questo, mettendo nelle mani dei ragazzi un copione da imparare a memoria?(...) "Insopportabili i ragazzini che recitano", annota sul suo diario. (...) Per questo De Seta mette da parte il libro di Bernardini. Il libro è stato un'esperienza vissuta, il film deve esserlo altrettanto". Ma il regista riporta "frequento la classe di Bernardini, che ora insegna a Bagni di Tivoli". E il maestro Autore dirà del film: "Tutti i problemi che ho posto li ho ritrovati puntualmente.(...) Io ho ritrovato la mia scuola e in Bruno Cirino me stesso". In Cresci, op. cit., pp. 14, 31 e 25;
4. Bernardini inizia a insegnare in Sardegna nel 1942, e vi resterà fino al 1960. Da un anno scolastico a Lula (prov. di Nuoro) ricaverà materiale per il suo libro d'esordio, Le bacchette di Lula. Le "bacchette" sono le sferze che i bambini portavano ai maestri per essere picchiati. E nemmeno a dire che ci si limitasse a "spezzare il pane della scienza con le mani" (L. Sciascia) nelle aree "depresse". Mario Lodi riporta i consigli che gli davano, i primi giorni di scuola, le madri dei suoi alunni padani: ""E' un birichino, lo picchi!", "Di me e di suo padre non ha paura, lo castighi quando occorre"." In Il paese sbagliato, Einaudi, Torino 1977(10), p. 18;
5. Amari, lo dicevano i ragazzi di Barbiana nella Lettera a una professoressa (Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1985, p. 44): "La razza inferiore non ha fanciulli. Siamo tutti uomini prima del tempo";
6. Sul sesso sbrigliato dei cuccioli di borgata (stavolta, monte Cucco, immortalata da La torta in cielo di Rodari), testimonia di nuovo un'insegnante, Laura Migliorini. Rimando al suo Cancelati dalla dotrina (sic!) (Bompiani, Milano 1975), nel quale trovo a p. 6: "Alcuni di quei ragazzi avevano già delle esperienze sessuali; li sentivo parlottare fra loro anche nei corridoi della scuola o in giardino. Andavano con uomini in cambio di qualche piotta, di poche monete da cento lire". I "ragazzi" in questione erano coetanei dei giovanissimi dell' "anno" e del "diario" - e del sottoscritto nel modo suo;
7. per l'"abiura", vedi Pier Paolo Pasolini - Saggi sulla politica e sulla società, Mondadori, Milano 1999, p. 1710, dove si raccoglie un'intervista del settembre 1974 a Massimo Fini. Il programma tv - di cui posso dedurre, dai riferimenti temporali nella conversazione, che andò in onda nei primissimi '70 - fu condotto da Claudio Villa, e scritto da Bernardino Zapponi per la regia di Stefano De Stefani. Vi parteciparono, tra gli altri, Tino Buazzelli, Gian Carlo Fusco, Goffredo Parise, Caterina Caselli, Nanni Loy, Gianni Pettenati, e "er Ciriòla", fiumaròlo e gestore del bagno-a-fiume omonimo.
Dèdico queste mie poche e deboli righe alla cara e buona imagine paterna di Alfio Bottìno, anche lui sardo e mio maestro elementare, per farne durare l'amica antica memoria.
di Marco Lanzòl
Contro questa scuola prepotente e classista, ospedale cioè diplomificio per i figli della "razza pregiata", che molti oggi vorrebbero riproporre in una versione che alla cretineria vetusta coniughi la modernità più imbecille, tanti maestri come Bernardini insorsero, proponendone una diversa: proprio nel '73, la Rai trasmette Diario di un maestro, (1) di Vittorio De Seta, con Bruno Cirino e una combrìccola di ragazzini (2) provenienti dalle borgate romane - che allora c'erano - con Francesco Tonucci, psicologo e disegnatore, a far da consulente. L'attore interpreta un maestro, spedito, come agnello tra lupi, a insegnare in una scuola "squallida e sporca come un carcere mandamentale". (p.29) E qui avviene una duplice, complessa chimica: quella vera del racconto d'un anno (1960) a Pietralata, che ha ispirato lo scrittore e poi il regista. E quella autentica del film (1973) che, invece di rifare pedissequo il romanzo, o semplicemente di adattarlo, ben più ambizioso - e d'ambizioni compiute - s'adatta esso ai pischelletti. Sullo schermo tv dunque avviene che la suggestione della pagina ripigli vitalità attraverso la vera presenza dei ragazzi, l'indubbia paradossale (Diderot, no?) forza d'attore di Cirino, tutta fisiognomica e verbale, l'infaticabile maestria di regista e operatore (è Luciano Tovoli, scusate se è poco) nel seguire e stimolare, come nel fare argine e ridurre se istrionica e debordante, la vitalità dei piccoli interpreti, capace di cancellare ogni limite tra finzione e reale, tra personaggio e persona, travasando la propria, e seria, nell'identità fittizia. E' il primo punto di contatto fra l'educatore e chi lo reinventa; Bernardini registra sulla pagina, con un segno d'eccezionale qualità narrativa (vedi pp. 88 e 95), che si direbbe belliano, il teatro fisiognomico e pragmatico che si ritrova dinanzi: la camera di De Seta non si lascia sfuggire nulla della presenza espressiva, della mimica, dei suoi interpreti, che sia carattere personale o modulazione nel coro.
Così, sotto allo spettacolo del vero e del naturale, mai verista o naturalista, l'impressione dell'esperienza, dell'ossatura scarna e scabra, della lezione di Bernardini, si trasferisce con naturalezza alla ripresa: a ripigliare vigore e figura di persone, e a darne loro, con uno scambio che poteva venir segnato solo dal transito da verità a verità. (3) Esempio: occasione per parlare dei furti è, nel libro, un cappotto. Nel film, addirittura un'auto. Ma la reazione dei giovanissimi partecipanti, e la soluzione che si prospetta, ha il medesimo tono emotivo, la stessa dinamica nel gruppo: in ciò, la "fedeltà al testo" non poteva essere più piena. Regista e Autore si ritrovano, con una eccezione, a non indietreggiare di fronte a nulla, a descrivere quel che gli si para dinanzi agli occhi, ed è ciò che davvero importa: una classe composta di ultimi della classe - e sono ultimi non solo in senso scolastico, ma sociale e morale. Umano, certo che no: Bernardini, scaltrito dalla sua esperienza nella Sardegna delle "bacchette",(4) e dalla propria affettività priva di fronzoli, riconosce senza mediazioni o peggio edulcoràti deamicisiani che i suoi Franti sono creature degne, fiere e gagliarde. Abbassate, semmai, solo dall'ambiente ferino, di maliziosa violenza, che le imbozzola, come segregò i loro genitori. Indifese, si duole il maestro, dall'inerzia benpensante dei "colleghi" e del direttore, impeciati d' inetta prosopopea l'uno e di "servilismo ipocrita" (p.144) gli altri, e perdipiù offesi dal doversi trattenere in un ambiente che giudicano, con malcelato razzismo, affollato d'una "razza inferiore" canagliesca; un luogo in cui "facevano un anormale d'ogni bambino che non fosse come lo si desiderava", (p.117) sognando le belle scuole del centro, le classi farcìte di pupàttoli impregnati di "sordo conformismo ed esasperato individualismo". (p. 180)
Creature, quelle del sobborgo, infine esposte a ogni maturità prima del tempo, a "un'esperienza che molti adulti non hanno"(p.41): (5) dalla guapperìa dei reati da quattro soldi, all'essere "impastati di parolacce" (p. 125) - segnacolo per verba della crosta di belluìna rabbia brutale ch'è assieme manesca difesa e offesa -, al vorace dialetto che inghiotte nella sua necessaria durezza ogni diverso accento, fino alla "cosa freudiana", quella a cui in una società erotofoba ma basata sulla storpiatura riproduttiva e genitale del sesso, vien data suprema importanza: la copula. Bernardini, con semplice e felice acutezza, riporta gli sguardi d'un suo precoce sul culo della supplente bbòna, e assieme la ricerca del piccolo sboróne d'una minima virile complicità: "puro lei l'ha guardata, eh?". (p.64) E registra - preoccupato, ma fedele - d'una certa "casa rotta" dove si fanno "le cose zozze", appena proscritta dalla fragile avvisaglia "mamma m'ha detto che sì ce vado m'ammazza". (p. 52) Cercando infine, con sottile e però censoria psicologia, di "cambiare destinazione" ai luoghi dell'incontro tabù e dunque spiato, fantasticato, carico di vergogna (p. 99 e segg.); e comunque di arrivare al discorso nel modo che avverte migliore, traendo spunto dalle nascite dei fratellini dei suoi scolari.
Non dirò che in ciò lo sceneggiato tv è carente. Dico invece che mi pare molto di quel che il maestro sardo (e l'altro sé regista) vide, e provò per gli accattoncini borgatari, è simile a quanto sentì, scoprendolo e scoprendosi, il poeta félibrige. Certo: l'insegnante (nel Sessanta) potrebbe esser stato influenzato dallo scrittore (che esperiva nei primi Cinquanta), o direttamente per fama, o perché ne condivideva l'ideologia. Resta però il fatto che due persone comunque più diverse che analoghe e nella storia e nella psicologia, poste al cospetto della medesima umanità, abbiano avuto reazioni se non uguali, almeno equidistanti. Il che testimonia, se non una visione oggettiva, almeno la presenza di alcuni tratti effettivi rilevabili intersoggettivamente - valutabili dunque come reali, o almeno autentici, anche dai detrattori più solidi. (6) Ovvero: due romantici potranno sdilinquirsi sulle rovine del Teatro di Marcello nella stessa maniera vezzosa e fallace - ma che il loro languore lo provino dinanzi a un coso tondo come il culo, e non quadro come un sanpietrino, si deve dare per sicuro.
Noterà il Lettore: sì, però, quando De Seta riprendeva i suoi eventuali pasolìnidi, l'eponimo ne dava un quadro apocalitticamente diverso. Così è noto, ed è - ma in parte: in più d'un'occasione di questo Paradiso ho voluto distinguere la strategia retorica e assoluta del Pasolini oracolare, e la ragione d'essa (rendersi inconsumabile), dalla sua tattica relativa e conciliante. Qui aggiungo che, intervistato in una trasmissione tv dal titolo Roma 4, il poeta sostiene che, in linea di massima, i borgatari erano intatti dai tempi dei suoi romanzi, solo si scorgeva un "inizio di corruzione nei fratelli minori". E si spinge a precisare insino un atto certo quale l'"abiura dalla trilogia della vita": "abiuro quei miei stessi film quando essi vengono assimilati come prodotti di consumo". (7) Dunque l'indice, al di là della tensione sado-tragica che gli faceva accumunare volenterosi carnefici e disponibili vittime, è rivolto soprattutto contro i primi, e contro i secondi per quel che quelli ne fecero e ne fanno.
Vengo quindi a dire d'una continuità non tanto e non solo di cose viste, ma dello sguardo che le osserva: pedagogico e affettivo sempre nei testimoni, amoroso ed erotico nella specie dell'omosessuale. Tutti vicini nel desiderio di rendere la realtà in una parola più profonda, in un'immagine più scolpita: di dire la cosa stessa, e insieme la difficoltà e la fatica nel fare in modo che si dica, mediante le quali la cosa risalti viva, vera. E la gioia, alla fine, d'aver reso il vero e il vivo in tutti i loro possibili sensi - e la disperazione, in Pasolini, di trovarli confusi, omologati: ancora una volta, nella Città si ritrovavano i germi del Mondo.
Felice città, che tale vigilia hai reso possibile, tra l'ossame dei tuoi marmi e le distese delle tue periferie, inondata dal medesimo folle sole, dalla stessa notte di nere strade e di nere stelle.
*****
1. trasmesso in quattro puntate dall'undici febbraio 1973. Oltre a Cirino, recitano Marisa Fabbri, Mico Cundari, TullioAltamura. Le vicissitudini della realizzazione, assieme alla sceneggiatura, si possono leggere in Gian Paolo Cresci, De Seta - Diario di un maestro in tv, Edizioni EDA, Torino 1973. Il ventiquattro settembre 2003 lo sceneggiato è stato proiettato in Campidoglio, alla presenza del sindaco e degli interpreti, ormai adulti, per ricordare il protagonista, morto nel 1981. Una curiosità: fratello dell'Attore è il ministro Paolo Cirino Pomicino. Ricavo queste informazioni da il Venerdì di Repubblica, del diciannove settembre 2003 (p. 22);
2. Dal medesimo ne riporto i nomi: Massimo Bonini, Luciano Del Croce, Romano Di Mascio, Giorgio Mennuni, Franco Munzi, Sergio Piazza, Fabrizio Ranuzzi, Renzo Sacco, Stefano Scafati, Marco Speranza, Remo Tamasco, Franco Tomasso, Amedeo Traversetti, Giancarlo e Sergio Valente, Marco Veneto. Sergio morì poco dopo terminate le riprese, in uno sciagurato incidente;
3. Per dare un'idea della complessità del rapporto fra libro e pellicola, cito: "La scuola nuova abolisce il vecchio rapporto autoritario tra maestro e alunni (...). Come si potrebbe realizzare tutto questo, mettendo nelle mani dei ragazzi un copione da imparare a memoria?(...) "Insopportabili i ragazzini che recitano", annota sul suo diario. (...) Per questo De Seta mette da parte il libro di Bernardini. Il libro è stato un'esperienza vissuta, il film deve esserlo altrettanto". Ma il regista riporta "frequento la classe di Bernardini, che ora insegna a Bagni di Tivoli". E il maestro Autore dirà del film: "Tutti i problemi che ho posto li ho ritrovati puntualmente.(...) Io ho ritrovato la mia scuola e in Bruno Cirino me stesso". In Cresci, op. cit., pp. 14, 31 e 25;
4. Bernardini inizia a insegnare in Sardegna nel 1942, e vi resterà fino al 1960. Da un anno scolastico a Lula (prov. di Nuoro) ricaverà materiale per il suo libro d'esordio, Le bacchette di Lula. Le "bacchette" sono le sferze che i bambini portavano ai maestri per essere picchiati. E nemmeno a dire che ci si limitasse a "spezzare il pane della scienza con le mani" (L. Sciascia) nelle aree "depresse". Mario Lodi riporta i consigli che gli davano, i primi giorni di scuola, le madri dei suoi alunni padani: ""E' un birichino, lo picchi!", "Di me e di suo padre non ha paura, lo castighi quando occorre"." In Il paese sbagliato, Einaudi, Torino 1977(10), p. 18;
5. Amari, lo dicevano i ragazzi di Barbiana nella Lettera a una professoressa (Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1985, p. 44): "La razza inferiore non ha fanciulli. Siamo tutti uomini prima del tempo";
6. Sul sesso sbrigliato dei cuccioli di borgata (stavolta, monte Cucco, immortalata da La torta in cielo di Rodari), testimonia di nuovo un'insegnante, Laura Migliorini. Rimando al suo Cancelati dalla dotrina (sic!) (Bompiani, Milano 1975), nel quale trovo a p. 6: "Alcuni di quei ragazzi avevano già delle esperienze sessuali; li sentivo parlottare fra loro anche nei corridoi della scuola o in giardino. Andavano con uomini in cambio di qualche piotta, di poche monete da cento lire". I "ragazzi" in questione erano coetanei dei giovanissimi dell' "anno" e del "diario" - e del sottoscritto nel modo suo;
7. per l'"abiura", vedi Pier Paolo Pasolini - Saggi sulla politica e sulla società, Mondadori, Milano 1999, p. 1710, dove si raccoglie un'intervista del settembre 1974 a Massimo Fini. Il programma tv - di cui posso dedurre, dai riferimenti temporali nella conversazione, che andò in onda nei primissimi '70 - fu condotto da Claudio Villa, e scritto da Bernardino Zapponi per la regia di Stefano De Stefani. Vi parteciparono, tra gli altri, Tino Buazzelli, Gian Carlo Fusco, Goffredo Parise, Caterina Caselli, Nanni Loy, Gianni Pettenati, e "er Ciriòla", fiumaròlo e gestore del bagno-a-fiume omonimo.
Dèdico queste mie poche e deboli righe alla cara e buona imagine paterna di Alfio Bottìno, anche lui sardo e mio maestro elementare, per farne durare l'amica antica memoria.
di Marco Lanzòl
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