CLASSICI
Alfredo Ronci
Un bel romanzo “nonostante tutto”: “Demetrio Pianelli” di Emilio De Marchi.
Il titolo del pezzo già dice tutto. “Nonostante tutto” un bel romanzo. Perché “nonostante tutto” e soprattutto perché un bel romanzo. Ai suoi tempi De Marchi fu una delle penne più ricercate e “vendute” del panorama letterario. Una sorta di (intendiamoci, consideriamo luoghi e anni) Susanna Tamaro (Va’ dove ti porta il cuore, no?) al maschile. E questo perché.
Il perché ce lo ha “raccontato” il suo precedente libro: Il cappello del prete. Ce lo ha raccontato in vari modi, ma soprattutto come venne presentato al pubblico. Una specie di cartellonistica, sparsa in varie città, a pubblicizzare l’evento letterario dell’anno. Peccato però che lo stesso De Marchi, a proposito del libro disse: Due ragioni mossero l’autore a scriverlo. La prima, per provare se sia proprio necessario andare in Francia a prendere il romanzo detto d’appendice, con quel beneficio del senso morale e del senso comune che ognuno sa; o se invece, con un poco di buona volontà, non si possa provvedere da noi largamente e con più giudizio ai semplici desideri del gran pubblico.
La seconda ragione, fu per esperimentare quanto di vitale e onesto e di logico esiste in questo gran pubblico così spesso calunniato e proclamato come una bestia vorace che si pasce solo di incongruenze, di sozzure, di carni ignude, e alla quale i giornali a centomila copie credono necessario di servire di truogolo.
Ecco la parola chiave di tutto: gran pubblico. Il cappello del prete fu lanciato come un evento per migliaia e migliaia di lettori. De Marchi non se ne dispiacque punto, ma qualcosa in lui non tornava e per rendersi più fruibile a quelli che cercavano altro nella letteratura, ritornò sui suoi passi e “partorì” questo Demetrio Pianelli che indicava, forse, una strada differente.
Perché allora “nonostante tutto” un bel romanzo. Giansiro Ferrara nell’introduzione ad una edizione Oscar Mondadori dice: Siamo ancora in debito con Emilio De Marchi: Non che gli siano mancati riconoscimenti, elogi anche molto calorosi, per una parte più o meno ampia delle sue opere; e qualche studio generale pieno d’impegno in estensione e in profondità. Nemmeno è mancato il rinnovarsi da periodo a periodo d’un buon numero di lettori per alcuni tra i suoi romanzi, fino al successo (…) dell’edizione di Tutte le opere. Ma complessivamente il debito resta.
Il debito è appunto la condizione di molti di non considerarlo alla strega di altri benemeriti scrittori dell’epoca (sono i tempi di Verga e poi di Svevo), non considerarlo soprattutto per una indubbia capacità descrittiva e, oseremmo dire, olfattiva.
Ma di che parla il libro in questione? Molto sbrigativamente potremmo dire che appartiene al filone del romanzo “impiegatizio” (filone che anche nella nostra letteratura ha avuto una bella parvenza, fino ai giorni nostri) e dove questi travet (o mezze maniche, come avrebbero detto altri) si ritrovano a scoprire dentro di loro un anelito di felicità tanto improvviso quanto contraddetto e negato.
Come accade a Demetrio che, in seguito al suicidio per debito del fratellastro, deve provvedere alla moglie Beatrice e ai figli di costui, salvando così la dignità della famiglia, ma nel contempo finendo con l’innamorarsi della cognata cui inizialmente era ostile. E per lei, che sposerà un cugino danaroso dei Pianelli, “Paolino delle Cascine”, per difenderne la reputazione, egli giunge addirittura ad insultare il capufficio, venendo sospeso dal lavoro e allontanato dalla sede centrale di Milano per un posto inferiore in quel di Grosseto.
La domanda è: ma è un romanzo a lieto fine o nasconde invece il dramma dell’uomo (dell’uomo in genere)? La risposta sta anche nella dinamica del racconto di De Marchi. Egli costruisce una storia dove pur con delle difficoltà e delle problematicità (non è solo Demetrio a rimetterci, ma pure l’amica problematica di Beatrice, che alla fine della storia viene uccisa dal marito perché ha tradito) trova una sorta di pace terrena col matrimonio appunto della Beatrice e lo scorrere tranquillo del tempo.
Intendiamoci, siamo lontani dal dramma terribile e per quei tempi anche del tutto imprevisto del protagonista del primo romanzo di Svevo che, non compreso dalla donna che ama, pur di non sorreggere altre illusioni, preferisce togliersi di torno. No, non siamo a quel punto, ma Demetrio Pianelli, pur con le sue svolte positive, rivela una drammaticità dell’uomo contemporaneo non del tutto bilanciata.
Comunque, come si diceva all’inizio, un bel romanzo, nonostante tutto.
L’edizione da noi considerata è:
Emilio De Marchi
Demetrio Pianelli
Garzanti
Il perché ce lo ha “raccontato” il suo precedente libro: Il cappello del prete. Ce lo ha raccontato in vari modi, ma soprattutto come venne presentato al pubblico. Una specie di cartellonistica, sparsa in varie città, a pubblicizzare l’evento letterario dell’anno. Peccato però che lo stesso De Marchi, a proposito del libro disse: Due ragioni mossero l’autore a scriverlo. La prima, per provare se sia proprio necessario andare in Francia a prendere il romanzo detto d’appendice, con quel beneficio del senso morale e del senso comune che ognuno sa; o se invece, con un poco di buona volontà, non si possa provvedere da noi largamente e con più giudizio ai semplici desideri del gran pubblico.
La seconda ragione, fu per esperimentare quanto di vitale e onesto e di logico esiste in questo gran pubblico così spesso calunniato e proclamato come una bestia vorace che si pasce solo di incongruenze, di sozzure, di carni ignude, e alla quale i giornali a centomila copie credono necessario di servire di truogolo.
Ecco la parola chiave di tutto: gran pubblico. Il cappello del prete fu lanciato come un evento per migliaia e migliaia di lettori. De Marchi non se ne dispiacque punto, ma qualcosa in lui non tornava e per rendersi più fruibile a quelli che cercavano altro nella letteratura, ritornò sui suoi passi e “partorì” questo Demetrio Pianelli che indicava, forse, una strada differente.
Perché allora “nonostante tutto” un bel romanzo. Giansiro Ferrara nell’introduzione ad una edizione Oscar Mondadori dice: Siamo ancora in debito con Emilio De Marchi: Non che gli siano mancati riconoscimenti, elogi anche molto calorosi, per una parte più o meno ampia delle sue opere; e qualche studio generale pieno d’impegno in estensione e in profondità. Nemmeno è mancato il rinnovarsi da periodo a periodo d’un buon numero di lettori per alcuni tra i suoi romanzi, fino al successo (…) dell’edizione di Tutte le opere. Ma complessivamente il debito resta.
Il debito è appunto la condizione di molti di non considerarlo alla strega di altri benemeriti scrittori dell’epoca (sono i tempi di Verga e poi di Svevo), non considerarlo soprattutto per una indubbia capacità descrittiva e, oseremmo dire, olfattiva.
Ma di che parla il libro in questione? Molto sbrigativamente potremmo dire che appartiene al filone del romanzo “impiegatizio” (filone che anche nella nostra letteratura ha avuto una bella parvenza, fino ai giorni nostri) e dove questi travet (o mezze maniche, come avrebbero detto altri) si ritrovano a scoprire dentro di loro un anelito di felicità tanto improvviso quanto contraddetto e negato.
Come accade a Demetrio che, in seguito al suicidio per debito del fratellastro, deve provvedere alla moglie Beatrice e ai figli di costui, salvando così la dignità della famiglia, ma nel contempo finendo con l’innamorarsi della cognata cui inizialmente era ostile. E per lei, che sposerà un cugino danaroso dei Pianelli, “Paolino delle Cascine”, per difenderne la reputazione, egli giunge addirittura ad insultare il capufficio, venendo sospeso dal lavoro e allontanato dalla sede centrale di Milano per un posto inferiore in quel di Grosseto.
La domanda è: ma è un romanzo a lieto fine o nasconde invece il dramma dell’uomo (dell’uomo in genere)? La risposta sta anche nella dinamica del racconto di De Marchi. Egli costruisce una storia dove pur con delle difficoltà e delle problematicità (non è solo Demetrio a rimetterci, ma pure l’amica problematica di Beatrice, che alla fine della storia viene uccisa dal marito perché ha tradito) trova una sorta di pace terrena col matrimonio appunto della Beatrice e lo scorrere tranquillo del tempo.
Intendiamoci, siamo lontani dal dramma terribile e per quei tempi anche del tutto imprevisto del protagonista del primo romanzo di Svevo che, non compreso dalla donna che ama, pur di non sorreggere altre illusioni, preferisce togliersi di torno. No, non siamo a quel punto, ma Demetrio Pianelli, pur con le sue svolte positive, rivela una drammaticità dell’uomo contemporaneo non del tutto bilanciata.
Comunque, come si diceva all’inizio, un bel romanzo, nonostante tutto.
L’edizione da noi considerata è:
Emilio De Marchi
Demetrio Pianelli
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