CLASSICI
Alfredo Ronci
Un “fantastico” classicista: “Le notti romane” di Giorgio Vigolo.
E’ per puro caso che sono venuto a conoscenza di Giorgio Vigolo. Intanto perché nelle rassegne editoriali nostrane non viene quasi mai segnalato e poi perché forse è dipeso da lui se oggi come oggi possiamo a malapena ricordarci delle sue produzioni.
Produzioni che, mi si permetta dirlo senza incorrere in qualche malcapitato lettore, si possono tranquillamente inserire in un ambito fantastico. Ed è soprattutto per questo motivo che sono venuto a conoscenza del Vigolo.
Sono un appassionato di letteratura fantastica, soprattutto quella classica, e con tale termine indico quasi tutta la produzione dell’ottocento e gran parte anche del novecento (non me ne vogliano quelli del 2000, ma visto come si presenta la realtà odierna, preferisco non addentrarmici troppo). Spesso e volentieri, e soprattutto nei periodi natalizi, le case editrice rifanno un repulisti di tutto quello che è stato scritto e mettono su un bel volume che tratteggia gli stili e i contenuti di quella che appunto il sottoscritto chiama letteratura fantastica. E in più di un’occasione, sia che venivano trattati autori stranieri (tutti, compresi i nostri), sia in quelli più strettamente nazionali, il nome di Vigolo faceva la sua parte discreta.
Non avendo cognizione dell’autore e non sapendo assolutamente nulla di quello che aveva scritto (tranne naturalmente i racconti presenti nelle varie antologie), ho approfondito la mia conoscenza e sono finalmente venuto al dubbio della questione.
Ma insomma, chi era Giorgio Vigolo?
Appartenente alla cosiddetta Scuola romana esordì nel campo letterario nel 1913 con un Poemetto in rosa, per proseguire poi con altri testi poetici. Il suo campo preferito però fu la critica musicale tanto che scrisse sia per Epoca che per Il mondo. Curò poi una memorabile edizione critica dei Sonetti di Giuseppe Gioacchino Belli edita da Mondadori.
Il suo apporto alla prosa è dato da una serie di racconti e da un unico romanzo La Virgilia che uscì nel 1982 ma che si rifaceva agli anni venti perché fu scritto quando Vigolo aveva ventisette anni. Tutto qui.
Le notti romane vinse il premio Bagutta nel 1961 ma, e qui mi ci metto pure io, nulla è più erroneo di quel che dice il titolo. Immaginiamo gli anni: siamo nei primi sessanta e Roma (ma si può intuire qualsiasi altra città italiana) è invasa da una rivoluzione che avrebbe sconvolto ogni aspetto culturale. E non mi riferisco solo a La dolce vita di Fellini e nemmeno a quell’evento editoriale che avrebbe sconvolto l’editoria nostrana (Gruppo ’63), ma a tutta una serie di manifestazioni che portarono ad un cambiamento sostanziale delle nostre abitudini. Dunque Le notti romane come un esempio calzante dell’epoca?
Macchè, tutt’altro. Una rappresentazione classica di una Roma che non è quella, appunto, degli anni sessanta, ma che potrebbe appartenere a qualsiasi altra età e che raffigura una vita dove il tempo e i luoghi sono scanditi, più che dai ricordi, da un senso di appartenenza espressivo. E dove gli episodi spesso e volentieri rimandano alla dottrina di un cattolicesimo osservante e religioso (come non ricordare l’apparizione di Sisto quarto nel racconto Autobiografia immaginaria?).
C’è ovviamente l’aspetto fantastico, anzi, mi verrebbe da dire che tutti i racconti presenti in questa antologia respirano un’aria fantastica, che spesso e volentieri parte da osservazioni comuni… per chi si trova ad essere nato e vissuto a lungo in città memorabili, antiche e vaste come mondi, nulla di più affascinante e favoloso che affacciarsi sui ricordi dei primissimi anni della vita che si nascondono quasi tra i sogni… e parte raccontando dell’esistenza di una mano di porcellana che poi risulta essere appartenuta (la vera!) ad una nobil donna morta che invece, in vari momenti, sarebbe riapparsa.
Insomma una specie di piccolo Edgar Allan Poe. In più tutta una serie di personaggi, nobil donne, nobil uomini e soprattutto protagonisti di un potentato cattolico, che non appartengono più a Roma, ma proprio per questo, essenziali nella dinamica del racconto.
Se non vi procura particolari fastidi o eczemi di qualsivoglia origine, Vigolo può essere un narratore d’indubbio fascino antico.
L’edizione da noi considerata è:
Giorgio Vigolo
Le notti romane
Bompiani
Produzioni che, mi si permetta dirlo senza incorrere in qualche malcapitato lettore, si possono tranquillamente inserire in un ambito fantastico. Ed è soprattutto per questo motivo che sono venuto a conoscenza del Vigolo.
Sono un appassionato di letteratura fantastica, soprattutto quella classica, e con tale termine indico quasi tutta la produzione dell’ottocento e gran parte anche del novecento (non me ne vogliano quelli del 2000, ma visto come si presenta la realtà odierna, preferisco non addentrarmici troppo). Spesso e volentieri, e soprattutto nei periodi natalizi, le case editrice rifanno un repulisti di tutto quello che è stato scritto e mettono su un bel volume che tratteggia gli stili e i contenuti di quella che appunto il sottoscritto chiama letteratura fantastica. E in più di un’occasione, sia che venivano trattati autori stranieri (tutti, compresi i nostri), sia in quelli più strettamente nazionali, il nome di Vigolo faceva la sua parte discreta.
Non avendo cognizione dell’autore e non sapendo assolutamente nulla di quello che aveva scritto (tranne naturalmente i racconti presenti nelle varie antologie), ho approfondito la mia conoscenza e sono finalmente venuto al dubbio della questione.
Ma insomma, chi era Giorgio Vigolo?
Appartenente alla cosiddetta Scuola romana esordì nel campo letterario nel 1913 con un Poemetto in rosa, per proseguire poi con altri testi poetici. Il suo campo preferito però fu la critica musicale tanto che scrisse sia per Epoca che per Il mondo. Curò poi una memorabile edizione critica dei Sonetti di Giuseppe Gioacchino Belli edita da Mondadori.
Il suo apporto alla prosa è dato da una serie di racconti e da un unico romanzo La Virgilia che uscì nel 1982 ma che si rifaceva agli anni venti perché fu scritto quando Vigolo aveva ventisette anni. Tutto qui.
Le notti romane vinse il premio Bagutta nel 1961 ma, e qui mi ci metto pure io, nulla è più erroneo di quel che dice il titolo. Immaginiamo gli anni: siamo nei primi sessanta e Roma (ma si può intuire qualsiasi altra città italiana) è invasa da una rivoluzione che avrebbe sconvolto ogni aspetto culturale. E non mi riferisco solo a La dolce vita di Fellini e nemmeno a quell’evento editoriale che avrebbe sconvolto l’editoria nostrana (Gruppo ’63), ma a tutta una serie di manifestazioni che portarono ad un cambiamento sostanziale delle nostre abitudini. Dunque Le notti romane come un esempio calzante dell’epoca?
Macchè, tutt’altro. Una rappresentazione classica di una Roma che non è quella, appunto, degli anni sessanta, ma che potrebbe appartenere a qualsiasi altra età e che raffigura una vita dove il tempo e i luoghi sono scanditi, più che dai ricordi, da un senso di appartenenza espressivo. E dove gli episodi spesso e volentieri rimandano alla dottrina di un cattolicesimo osservante e religioso (come non ricordare l’apparizione di Sisto quarto nel racconto Autobiografia immaginaria?).
C’è ovviamente l’aspetto fantastico, anzi, mi verrebbe da dire che tutti i racconti presenti in questa antologia respirano un’aria fantastica, che spesso e volentieri parte da osservazioni comuni… per chi si trova ad essere nato e vissuto a lungo in città memorabili, antiche e vaste come mondi, nulla di più affascinante e favoloso che affacciarsi sui ricordi dei primissimi anni della vita che si nascondono quasi tra i sogni… e parte raccontando dell’esistenza di una mano di porcellana che poi risulta essere appartenuta (la vera!) ad una nobil donna morta che invece, in vari momenti, sarebbe riapparsa.
Insomma una specie di piccolo Edgar Allan Poe. In più tutta una serie di personaggi, nobil donne, nobil uomini e soprattutto protagonisti di un potentato cattolico, che non appartengono più a Roma, ma proprio per questo, essenziali nella dinamica del racconto.
Se non vi procura particolari fastidi o eczemi di qualsivoglia origine, Vigolo può essere un narratore d’indubbio fascino antico.
L’edizione da noi considerata è:
Giorgio Vigolo
Le notti romane
Bompiani
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