CLASSICI
Alfredo Ronci
Un fine autore: “Il corpo della ragassa” di Gianni Brera.
Trentadue anni fa moriva, in un incidente automobilistico, Gianni Brera. Chi, soprattutto quelli che hanno una certa età, può dimenticare quel personaggio così curioso, quasi intrepido, ma intelligente e soprattutto singolare nelle sue dispute sportive e non?
Era conosciuto soprattutto per i suoi litigi, per le sue cause ma, al di la di tutto, per le sue conoscenze che lo portarono ad essere, nei grandi giornali e riviste dell’epoca, una punta di riferimento culturale nelle redazioni in cui fu corpo e sostanza.
Personalmente lo ricordo, poco prima che ebbe quel tragico incidente, in una disputa letteraria, quasi scolastica, con un presentatore sportivo della Rai. Quello che mi colpì era l’assoluta singolarità dell’atteggiamento, quasi penetrante ed affilata.
Se andate a leggere le prime righe del profilo su Wikipedia c’è scritto: Grazie alla sua inventiva e alla sua padronanza della lingua italiana ha lasciato una profonda impronta sul giornalismo sportivo italiano del XX secolo, con un lascito di numerosi neologismi da lui introdotti e accolti nell'uso del linguaggio calcistico. Tutto vero, ma quello che spesso non si ricorda fu l’assoluta unione con la sua terra e il ricordo letterario che di quelle terre ci ha lasciato. Dico letterario nel senso di romanzi.
Lui scrisse di tutto, persino una specie di saggio sull’atletica leggera (Atletica leggera, 20 lezioni tecniche) del 1949, subito dopo la sua partecipazione alle Olimpiadi di Londra del 1948. Che conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, della sua piena conoscenza dello sport in generale e non solo.
Ma noi torniamo ai romanzi, quelli che, data la statura del personaggio, spesso sono dimenticati o tralasciati, ma che invece testimoniano un’attaccatura alle terre native che spesso solo i grandi narratori hanno. Il corpo della ragazza fa parte di una trilogia che comprendeva tra l’altro il successivo Naso bugiardo e infine Il mio vescovo e le animalesse.
E’ un romanzo soprattutto fisico, della fisicità della terra e della città. Quella città, Pavia che veniva descritta così: I muri di Pavia son anche fatti del sangue e della carne di Tirisin. Non è vero che sono figli della terra, i pavesi. Siamo piuttosto noi ad aver fatto la nostra terra. L’abbiamo vista a poco a poco emergere dagli acquitrini e dalle paludi, l’abbiamo difesa dai fiumi: abbiamo aggiunto alla terra e le ossa e la carne delle nostre infinite generazioni. Al tramonto, i campanili lombardi si accendono di un rosso che è anche del nostro sangue, come opponiamo le dita unite al sole. Se è vero che le chiese, i castelli e le case danno la misura d’una civiltà, le chiese i castelli le case di Pavia parlano a Tirisin esattamente come il sangue che le scorre nelle arterie e nelle vene. I ciottoli delle rizzarde sono stati raccolti sui greti dei nostri fiumi: anche i ciottoli delle rizzarde aiutano Tirisin a sentirsi ancora e sempre al suo paese.
Ben tre volte, in questo brevissimo scorcio del romanzo, viene ripetuta la parola: sangue. Come a dire che il legame con la città, con la terra meglio ancora, è indubbiamente fisica e soprattutto viscerale. E poi chi sarà mai questa Tirisin?
Tirisin è Teresa, una splendida ragazza milanese (il corpo della ragassa) che viene condotta, dalla zia Binin (Bibiana, donna di una certa età che spesso e volentieri si mostrerà gelosa nei confronti della ragazza) a fare da persona delle pulizie in casa di certo professor Ulderico Quario, di professione chirurgo e della di lui sorella, che sembra affetta da problemi mentali, ma pare poi essere attirata dalla prorompente fisicità di Tirisin (diciamolo, lesbica).
La storia non finirà bene perché, nonostante un ragazzo scapestrato faccia la corte a Tirisin, il Quario propone alla ragazza di sposarla e di donarle tutta l’eredità. Eredità che finirà nelle mani di Binin che, dopo la morte improvvisa del professore, con la sua abilità di donna vissuta, prenderà in mano la situazione e tutti gli averi dell’uomo.
Detta così potrebbe sembrare una commedia d’altri tempi. Certo, la storia è ambientata nel 1938, in pieno regime fascista, ma la ironia e l’adesione a certi ritmi provinciali ce la fanno sentire più vicina a certi nostri richiami.
Gianni Brera era fatto così, come un protagonista del romanzo: Un uomo da litro e chitarra, come si dice.
L’edizione da noi considerata è:
Gianni Brera
Il corpo della ragassa
Longanesi
Era conosciuto soprattutto per i suoi litigi, per le sue cause ma, al di la di tutto, per le sue conoscenze che lo portarono ad essere, nei grandi giornali e riviste dell’epoca, una punta di riferimento culturale nelle redazioni in cui fu corpo e sostanza.
Personalmente lo ricordo, poco prima che ebbe quel tragico incidente, in una disputa letteraria, quasi scolastica, con un presentatore sportivo della Rai. Quello che mi colpì era l’assoluta singolarità dell’atteggiamento, quasi penetrante ed affilata.
Se andate a leggere le prime righe del profilo su Wikipedia c’è scritto: Grazie alla sua inventiva e alla sua padronanza della lingua italiana ha lasciato una profonda impronta sul giornalismo sportivo italiano del XX secolo, con un lascito di numerosi neologismi da lui introdotti e accolti nell'uso del linguaggio calcistico. Tutto vero, ma quello che spesso non si ricorda fu l’assoluta unione con la sua terra e il ricordo letterario che di quelle terre ci ha lasciato. Dico letterario nel senso di romanzi.
Lui scrisse di tutto, persino una specie di saggio sull’atletica leggera (Atletica leggera, 20 lezioni tecniche) del 1949, subito dopo la sua partecipazione alle Olimpiadi di Londra del 1948. Che conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, della sua piena conoscenza dello sport in generale e non solo.
Ma noi torniamo ai romanzi, quelli che, data la statura del personaggio, spesso sono dimenticati o tralasciati, ma che invece testimoniano un’attaccatura alle terre native che spesso solo i grandi narratori hanno. Il corpo della ragazza fa parte di una trilogia che comprendeva tra l’altro il successivo Naso bugiardo e infine Il mio vescovo e le animalesse.
E’ un romanzo soprattutto fisico, della fisicità della terra e della città. Quella città, Pavia che veniva descritta così: I muri di Pavia son anche fatti del sangue e della carne di Tirisin. Non è vero che sono figli della terra, i pavesi. Siamo piuttosto noi ad aver fatto la nostra terra. L’abbiamo vista a poco a poco emergere dagli acquitrini e dalle paludi, l’abbiamo difesa dai fiumi: abbiamo aggiunto alla terra e le ossa e la carne delle nostre infinite generazioni. Al tramonto, i campanili lombardi si accendono di un rosso che è anche del nostro sangue, come opponiamo le dita unite al sole. Se è vero che le chiese, i castelli e le case danno la misura d’una civiltà, le chiese i castelli le case di Pavia parlano a Tirisin esattamente come il sangue che le scorre nelle arterie e nelle vene. I ciottoli delle rizzarde sono stati raccolti sui greti dei nostri fiumi: anche i ciottoli delle rizzarde aiutano Tirisin a sentirsi ancora e sempre al suo paese.
Ben tre volte, in questo brevissimo scorcio del romanzo, viene ripetuta la parola: sangue. Come a dire che il legame con la città, con la terra meglio ancora, è indubbiamente fisica e soprattutto viscerale. E poi chi sarà mai questa Tirisin?
Tirisin è Teresa, una splendida ragazza milanese (il corpo della ragassa) che viene condotta, dalla zia Binin (Bibiana, donna di una certa età che spesso e volentieri si mostrerà gelosa nei confronti della ragazza) a fare da persona delle pulizie in casa di certo professor Ulderico Quario, di professione chirurgo e della di lui sorella, che sembra affetta da problemi mentali, ma pare poi essere attirata dalla prorompente fisicità di Tirisin (diciamolo, lesbica).
La storia non finirà bene perché, nonostante un ragazzo scapestrato faccia la corte a Tirisin, il Quario propone alla ragazza di sposarla e di donarle tutta l’eredità. Eredità che finirà nelle mani di Binin che, dopo la morte improvvisa del professore, con la sua abilità di donna vissuta, prenderà in mano la situazione e tutti gli averi dell’uomo.
Detta così potrebbe sembrare una commedia d’altri tempi. Certo, la storia è ambientata nel 1938, in pieno regime fascista, ma la ironia e l’adesione a certi ritmi provinciali ce la fanno sentire più vicina a certi nostri richiami.
Gianni Brera era fatto così, come un protagonista del romanzo: Un uomo da litro e chitarra, come si dice.
L’edizione da noi considerata è:
Gianni Brera
Il corpo della ragassa
Longanesi
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