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Il Paradiso degli Orchi
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CLASSICI

Alfredo Ronci

Un ‘funzionario” o uno scrittore? Ballata e morte di un Captano del Popolo di Luigi Compagnone.

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Ogni volta che si vuole fare uno studio, o semplicemente parlare di Luigi Compagnone, si è costretti a portarsi dietro gli altri nomi della letteratura napoletana: Domenico Rea, Carlo Bernari, Giuseppe Marotta, Aldo De Jaco, Michele Prisco e qualche altro ancora. Per carità, nulla di che, ma pare sia difficile argomentare su una corrente letteraria senza avere alle spalle una vera e propria corazzata di guerra.
Forse Compagnone non avrebbe avuto niente da dire, ma nella sua coerente attività narrativa, ben altro avrebbe dovuto sopportare: come ad esempio la polemica che lo vide contro la grande scrittrice Anna Maria Ortese (siccome sono un entusiasta lettore della Ortese, la faccenda mi ha portato ad interessarmene e così ho conosciuto anche Compagnone). Questa, nel suo libro Il mare non bagna Napoli, e precisamente nel capitolo chiamato Storia del funzionario Luigi, si lascia andare a considerazioni non del tutto neutre, anzi, e riducendolo ad un personaggio diviso tra l’adesione al marxismo (non tralasciando i suoi precedenti fascismi), un’irrefrenabile voglia di scardinare tutto e nello stesso tempo richiami più morbidi nei confronti di altri narratori dell’epoca (fra tutti Domenico Rea).
Risultato: apriti cielo. La scrittrice venne bersagliata su giornali e riviste dalle feroci ironie, dai sarcasmi di colui che lei, nel suo libro, si compiaceva di chiamare ‘funzionario della radio’ ben conoscendo il suo odio per i funzionari.
Compagnone non era ancora al massimo livello di rispettabilità narrativa: aveva una lunga carriera letteraria, ma solo negli ultimi tempi ottenne riconoscimenti da più parti. Per esempio, esattamente nel 1968 vinse il premio Letterario Campiello, oltre a quelli più specificatamente regionali.
Non fu certo uno scrittore tranquillo, anzi, autore di romanzi e commediografo ha sempre indagato la società meridionale, denunciandone gli aspetti più retrivi e in particolare la degenerazione consumistica prodotta da uno sviluppo economico non accompagnato da un reale progresso.
Ballata e morte di un Capitano del Popolo, pubblicato da Rusconi, è del 1974. Qualcuno lo ha definito una favola storica. Sì perché protagonisti della vicenda surreale sono gli stessi personaggi che hanno fatto ricca e popolata la nostra infanzia: Orchi, fate, animali parlanti, Cappuccetto rosso, la Bella addormentata, Biancaneve, ma c’è soprattutto un’altra lettura, che ci parla del libro come di una denuncia dell’autore nei confronti delle centinaia e centinaia di oppressori che hanno ridicolizzato e infierito contro la città di Napoli.
Al centro di tutti, un personaggio sfrontato e plebeo, che cerca di aggiustare le sorti di questo destino infruttuoso e perfido: Pulcinella Cetrulo. Come lo si potrebbe definire questo individuo così misero ed inconcludente? Lui stesso se ne fa un ritratto: E lui spalanca le braccia, si genuflette: “La Maestà Vostra ha detto assai bene. Sono infatti servile e ribelle, cretino e geniale, coraggioso e vigliaccone, buffone di piazza e camaleonte emerito. Il fatto strùmmolo son del mio destino.
Sarà proprio lui, Pulcinella Cetrulo a tentare di circuire i vari despoti della città, promettendo ai vari personaggi della nostra infanzia cose che poi lui stesso non avrebbe potuto elargire. E muore rendendo la pace e anche il suo titolo di Capitano del Popolo.
Compagnone dunque, in questo romanzo, passa disinvoltamente dal meraviglioso ai fatti di cronaca, dai personaggi storici a quelli fiabeschi, dalla beffa alla tragedia. Il narratore sperimenta ogni linguaggio, combina disegni originali con materiali anche molto usati. Partito dal neorealismo, Compagnone approda insomma a un barocco che a Napoli è di casa da secoli, dai tempi della commedia dell’arte.
Lui stesso, nei risvolti di copertina ama precisare: Così detto, vorrei precisare che non credo di aver scritto un racconto “eloquente”: non me lo consentivano né i miei umori né l’ilare tristezza della storia qui raccontata, e che a mio parere trova un completamento nello stupendo sonetto di Tommaso Campanella, forse la voce più alta della tragica storia del Sud.
E il sonetto dice: Il popolo è una bestia varia e grossa, ch’ignora le sue forze; e però stassi a pesi e botte di legni e di sassi, guidato da un fanciul che non ha possa, ch’egli potria disfar con una scossa; ma lo teme e lo serve a tutti spassi. Né sa quanto è temuto, che bombassi fanno un incanto, che i sensi gli ingrossa. Cosa stupenda! S’appicca e imprigiona con le man proprie e si dà morte e guerra per un carlin di quanti egli al re dona. Tutto è suo quanto sta tra cielo e terra, ma nol conosce; e, se qualche persona di ciò l’avvisa, e’ l’uccide ed atterra.



L’edizione da noi considerata è:

Luigi Compagnone
Ballata e morte di un Capitano del Popolo
Rusconi editore





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