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CLASSICI

Alfredo Ronci

Una “sperimentale” forse poco sperimentale: “Il grande angolo” di Giulia Niccolai.

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La citazione in prima di copertina forse dice tutto: La lucida, scabra, moderna storia segreta di una donna che vede e che si vede come nel mirino d’una macchina fotografica. Il Nilo, una villa sul lago, New York e l’America sono i luoghi. E poi ci sono tre uomini: il taciturno Karlheinz, Dominguez, che muore suicida, e l’Honda, “che è come il Padre”.
Ebbene sì, in poche parole il riassunto di poc’anzi potrebbe davvero rappresentare la trama de Il grande angolo, libro uscito nel 1966 e che da tutti è considerato una pietra miliare dell’avanguardismo che andava di moda in quegli anni e che si rifaceva al Gruppo 63. Ma leggiamo quello che la stessa Niccolai scrisse nella postfazione del libro ristampato dall’editore Oedipus nel 2014: Quando nel 1963 lessi il romanzo Barcelona del carissimo amico Germano Lombardi (che, per chi fosse interessato, può trovarlo in questa rubrica) rimasi profondamente colpita, direi persino turbata, dall’assoluta contraddizione tra la sua personalità socievole e allegra, e la sua scrittura, il ritmo interiore, l’annaspare dei protagonisti, “sospesi” a mezz’aria, in situazioni inquietanti da “giallo”. Ma un “giallo” non esplicitamente dichiarato. Ne fui così sconcertata, che ci ragionai sopra parecchio.
E da fotografa (mestiere che si è portata dietro fino alla fine dei suoi giorni) divenne per poco tempo anche scrittrice. E nacque Il grande angolo.
Al di là degli appunti riportati ad inizio pagina, Il grande angolo è in realtà il resoconto della donna (nel romanzo chiamata Ita, cioè Margherita, che era il suo secondo nome e che in latino significa “andata”) durante i primi anni sessanta, tra viaggi per lavoro (Egitto e Stati Uniti) e considerazioni del tutto personali sulla vita e sulle persone a lei vicine. Tra queste appunto Karlheinz, Dominguez, sorta di fantasma (in realtà molto attaccato sentimentalmente alla donna) che all’improvviso, senza alcuna considerazione aggiuntiva, si suicida e altri uomini tra cui l’Hombda, personaggio quasi mistico dell’Egitto (L’Hombda è come il Padre, la mia stima e gratitudine per la sua eleganza e ospitalità in quel villaggio, vogliono essre un omaggio a mio padre, che era mancato nel ’63) ed un altro uomo, conosciuto in una spiaggia di Coney Island, che dava da mangiare ai gabbiani (Ma quando l’uomo gettò un’altra manciata di pane per aria, così che i gabbiani potessero afferrare i bocconi in volo, venni investita dalla Storia, tanto da restarne sgomenta. (…) Nel movimento di buttare il pane, la manica del giaccone dell’uomo si era ritratta e avevo visto un numero tatuato sulla sua pelle, sopra il polso.) e che era stato un deportato nei campi di concentramento.
Ora, in tutto questo, cosa c’entra l’avanguardia letteraria? Lo abbiamo già detto, il libro uscì nel 1966, in pieno ritmo avanguardistico (in realtà sia l’Italia, ma soprattutto altri paesi, pensiamo innanzi tutto alla Francia, vivevano questo nuovo appropriarsi alla letteratura) e molti altri libri, di prosa e poesia, avrebbero contribuito all’estendersi del fenomeno. Ma la domanda precedente torna: in tutto questo cosa c’entra l’attività letteraria di Giulia Niccolai?
La stessa, nella postfazione all’edizione de Il grande angolo del 2014 (cioè quarantotto anni dopo la prima edizione Feltrinelli) scrisse: Nel bene e nel male, ho sempre vissuto questa mia esistenza come una continua ricerca. Ricerca di cosa? Allora, certo, non potevo nemmeno immaginarlo, ora mi è chiaro: non può che essere il cammino spirituale.
Quindi crediamo che l’essere diventata monaca buddhista negli anni le abbia fatto capire che quel libro, scritto di getto nel 1966, e per certi versi etereo come una brezza, più che un avanguardistico progetto di lettere e lettura, sia stato il primo e assai concreto confrontarsi con se stessa.
E a proposito di avanguardismo la Niccolai aggiunge nella post-fazione: Infatti, il solo pensiero che io possa essere all’avanguardia a 78 anni, mi stampa un sorriso umoristico sul volto. (Semmai, se proprio vogliamo, sono all’avanguardia in quanto monaca buddhista, perché in Occidente non ce ne sono poi moltissime). Inoltre, secondo me, le avanguardie non possono il alcun modo essere un fenomeno costante. Nascono in ben precisi momenti storici, economici, politici, durano quel che durano, servono a svecchiare la cultura, ad aggiornarla nei pensieri e nell’espressione, poi quando il mondo è effettivamente cambiato, non hanno più ragione d’essere.
Mi pare evidente che pur ripresentando il libro dopo quarantotto anni, qualcosa di molto netto è venuto fuori. Ma non è un ripensamento.




L’edizione da noi considerata è:

Giulia Niccolai
Il grande angolo
Le comete - Feltrinelli




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