RECENSIONI
William Boyd
Una tempesta qualunque
Giano editore, Pag. 447 Euro 18,00
Le complesse interconnessioni dell'esistenza umana possono essere rassicuranti o inquietanti, a seconda dei casi.
Principio questo che si legge quasi a fine libro, ma che del libro è colonna portante.
Sì perché questa storia è fatta di inquietanti coincidenze (le rassicurazioni, come tutti i romanzi noir, o comunque come tutte quelle vicende che hanno uno svolgimento delinquenziale, vengono in fondo, perché come diceva Ernst Mandel nel suo saggio sul poliziesco, il lieto fine è prerogativa delle vicissitudini borghesi): immaginate un giovane trentenne climatologo che arriva a Londra per un colloquio di lavoro e in men che non si dica si trova coinvolto in un vortice tremendo che cambierà completamente la sua vita. Soprattutto si troverà di fronte ad un uomo ucciso e proprio della morte di costui sarà accusato.
Plot non del tutto originale, e qualche sfizioso lettore del Paradiso o della giallistica in genere (persino qualche cinefilo) potrà fare debiti confronti con precedenti letture. Quel che scorgo invece di inusuale e verrebbe da dire sofisticato (ma non nell'accezione di diversificazione dal 'genuino', quanto proprio di primigenio intuito) è nella resa di una Londra a portata di mano e di tasca.
Non ci fraintenda il moccioso che drizza le orecchie per scovare modi e tempi per scucire un week-end londinese a prezzi stracciati: qui si tratta di una resa letteraria, dove un povero disgraziato che teme di essere scovato dalla polizia perché ingiustamente accusato di un delitto che non ha commesso, trova sostanza e soluzioni per poter sopravvivere nell'anonimato ed evitare la gogna. Anonimato in una città di milioni e milioni di abitanti: per questo ci sembra miracoloso ed unico, e per questo affascinante e sofisticato.
Perché poi la piega del romanzo si globalizza: improvvisamente quello che sembrava essere un cantuccio dimenticato da Dio (s'intenda il luogo nascosto del protagonista, ma anche lo spazio di fronte al mondo) diventa 'territorio' di intrecci incredibili e di interessi da multinazionali.
Qui Boyd, l'autore, tenta anche la carta della denuncia. Prendiamo la dichiarazione a pag. 292: Secondo noi il principio degli scopi umanitari è inattaccabile, l'approvazione anticipata ce la devono dare per forza. Certi farmaci per l'AIDS sono stati approvati nel giro di mesi, settimane.
Qualcuno può permettersi l'obiezione che non sia una gioiosa presa per il culo? Dove il dicibile, dietro la parvenza di 'umanitarismo', nasconde la micidiale macchina dell'interesse?
Ebbene sì, timidamente, ma con garbo Una tempesta qualunque (che 'qualunque' non è, capperi, nonostante la reductio di una città rutilante) è anche una sorta di condanna dello sfruttamento del dolore, dell'apparente filantropia delle società di ricerche, della farmacologia da 'primo mondo' che nel puntuale fallimento delle sue previsioni diventa subito psuedo-medicamento da terzo-quarto mondo (a chi abbiamo venduto le migliaia di dosi per combattere l'influenza aviaria?).
Una tempesta qualunque è un godibile romanzo, una spy-story garbata che a tratti ricorda le cose di Graham Greene (e che complimento, accidenti! Anzi, approfittiamo per suggerire ai lettori la 'riscoperta' di un grande): non solo, alla fine ci viene da tifare per il povero Adam Kindred, non solo perché è effettivamente innocente, ma perché ci ha consegnato una Londra ridotta a minuscolo angolo del mondo: quasi un sogno.
Viva l'innocente, ma astuto, demiurgo.
di Alfredo Ronci
Principio questo che si legge quasi a fine libro, ma che del libro è colonna portante.
Sì perché questa storia è fatta di inquietanti coincidenze (le rassicurazioni, come tutti i romanzi noir, o comunque come tutte quelle vicende che hanno uno svolgimento delinquenziale, vengono in fondo, perché come diceva Ernst Mandel nel suo saggio sul poliziesco, il lieto fine è prerogativa delle vicissitudini borghesi): immaginate un giovane trentenne climatologo che arriva a Londra per un colloquio di lavoro e in men che non si dica si trova coinvolto in un vortice tremendo che cambierà completamente la sua vita. Soprattutto si troverà di fronte ad un uomo ucciso e proprio della morte di costui sarà accusato.
Plot non del tutto originale, e qualche sfizioso lettore del Paradiso o della giallistica in genere (persino qualche cinefilo) potrà fare debiti confronti con precedenti letture. Quel che scorgo invece di inusuale e verrebbe da dire sofisticato (ma non nell'accezione di diversificazione dal 'genuino', quanto proprio di primigenio intuito) è nella resa di una Londra a portata di mano e di tasca.
Non ci fraintenda il moccioso che drizza le orecchie per scovare modi e tempi per scucire un week-end londinese a prezzi stracciati: qui si tratta di una resa letteraria, dove un povero disgraziato che teme di essere scovato dalla polizia perché ingiustamente accusato di un delitto che non ha commesso, trova sostanza e soluzioni per poter sopravvivere nell'anonimato ed evitare la gogna. Anonimato in una città di milioni e milioni di abitanti: per questo ci sembra miracoloso ed unico, e per questo affascinante e sofisticato.
Perché poi la piega del romanzo si globalizza: improvvisamente quello che sembrava essere un cantuccio dimenticato da Dio (s'intenda il luogo nascosto del protagonista, ma anche lo spazio di fronte al mondo) diventa 'territorio' di intrecci incredibili e di interessi da multinazionali.
Qui Boyd, l'autore, tenta anche la carta della denuncia. Prendiamo la dichiarazione a pag. 292: Secondo noi il principio degli scopi umanitari è inattaccabile, l'approvazione anticipata ce la devono dare per forza. Certi farmaci per l'AIDS sono stati approvati nel giro di mesi, settimane.
Qualcuno può permettersi l'obiezione che non sia una gioiosa presa per il culo? Dove il dicibile, dietro la parvenza di 'umanitarismo', nasconde la micidiale macchina dell'interesse?
Ebbene sì, timidamente, ma con garbo Una tempesta qualunque (che 'qualunque' non è, capperi, nonostante la reductio di una città rutilante) è anche una sorta di condanna dello sfruttamento del dolore, dell'apparente filantropia delle società di ricerche, della farmacologia da 'primo mondo' che nel puntuale fallimento delle sue previsioni diventa subito psuedo-medicamento da terzo-quarto mondo (a chi abbiamo venduto le migliaia di dosi per combattere l'influenza aviaria?).
Una tempesta qualunque è un godibile romanzo, una spy-story garbata che a tratti ricorda le cose di Graham Greene (e che complimento, accidenti! Anzi, approfittiamo per suggerire ai lettori la 'riscoperta' di un grande): non solo, alla fine ci viene da tifare per il povero Adam Kindred, non solo perché è effettivamente innocente, ma perché ci ha consegnato una Londra ridotta a minuscolo angolo del mondo: quasi un sogno.
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