RECENSIONI
Cosimo Argentina
Vicolo dell'acciaio
Fandango, Pag. 261 Euro 15,00
Cosimo Argentina è un bravo scrittore, nonché insegnante di diritto (non so se ancora precario). Si è costruito una sua meritevole seppure non clamorosa carriera letteraria con pazienza e determinazione, a piccoli passi, guadagnandosi l'apprezzamento di non pochi adetti ai lavori.
Di solito, nei suoi racconti sfodera un umorismo amarognolo, a tratti sulfureo, una lingua crocchiante, tutta fisica, attenta ai valori fonici in un'accezione certo non poeticistica ma medio-bassa, in funzione di una rappresentazione ravvicinata e sbilenca delle cose. Difatti par di sentirli i rumori di questo condominio-casermone del vicolo dell'acciaio, in una Taranto poco meridiana, incupita dall'Ilva, il più grande impianto siderurgico d'Europa. Presenza monumentale quanto nefasta, chi più chi meno ne sembrano tutti segnati, la vita viene strappata a morsi, non senza rabbia e dolore da figure disperatamente alla ricerca di una via di fuga.
Siamo dentro a esempi di vita che non sono intimistiche perché non possono permetterselo: il lavoro, le condizioni materiali battono costantemente sulla psiche e sui corpi fuligginosi di gente che prova a vivere, sfottere, amare ma con un senso di disfatta addosso difficile da scrollare. Del resto, dice il narratore, abbiamo in corpo, a famiglia, più benzene, polveri cancerogene, diossina, policarburi aromatici e gas saturi di non so nemmeno io che cosa.... Non si sfugge insomma a un mondo "d'acciaio lavorato a freddo e a caldo (...) fatto di laminatoi, cokerie, bramma, tubi" etc.
Centrale la figura del Generale, il padre del giovane narratore, emerge dalle vicende con i suoi tratti severi, scorbutici, caratterizzazione esemplare di un uomo ruvido, che non ama le chiacchiere e sta ai fatti di una realtà durissima: lì si muore e ci si ammala con una frequenza che non sembra quella del mondo Occidentale. Il lutto segnato dall'acciaio, prima o poi è destinato a far capolino nelle vite di ogni famiglia.
Fin qui tutto bene - il romanzo di Argentina però non è privo di limiti abbastanza precisi; non tanto la mancanza di un plot, cui l'autore sembra francamente disinteressato, quanto il fatto che se la modalità narrativa privilegiata pare essere quella delle sit-com con le loro coartate unità di luogo, divertenti per un po' fino a quando non diventano asfittiche, anche la definizione dei personaggi e la lingua usata per raccontarli rischiano di non offrire molte sorprese se non nell'invenzione un po' di maniera, nella battuta dialettale, nell'ammiccamento vezzoso di una spavalderia tragicomica ripetitiva. Il giovane narratore infatti attraversa il quartiere, il condominio, gli appartenenti e le singole stanze da una pagina all'altra dando l'impressione di aver visto già tutto, di sapere già tutto – almeno, questo arriva al lettore. Del resto, è il risvolto di copertina a dirlo, parlando di personaggi "pittoreschi". Eccolo, il limite del romanzo di Argentina a mio avviso è questo: tradisce troppa smania di far ridere e commuovere tipizzando sia le figure sulla scena che la scena della lingua.
di Michele Lupo
Di solito, nei suoi racconti sfodera un umorismo amarognolo, a tratti sulfureo, una lingua crocchiante, tutta fisica, attenta ai valori fonici in un'accezione certo non poeticistica ma medio-bassa, in funzione di una rappresentazione ravvicinata e sbilenca delle cose. Difatti par di sentirli i rumori di questo condominio-casermone del vicolo dell'acciaio, in una Taranto poco meridiana, incupita dall'Ilva, il più grande impianto siderurgico d'Europa. Presenza monumentale quanto nefasta, chi più chi meno ne sembrano tutti segnati, la vita viene strappata a morsi, non senza rabbia e dolore da figure disperatamente alla ricerca di una via di fuga.
Siamo dentro a esempi di vita che non sono intimistiche perché non possono permetterselo: il lavoro, le condizioni materiali battono costantemente sulla psiche e sui corpi fuligginosi di gente che prova a vivere, sfottere, amare ma con un senso di disfatta addosso difficile da scrollare. Del resto, dice il narratore, abbiamo in corpo, a famiglia, più benzene, polveri cancerogene, diossina, policarburi aromatici e gas saturi di non so nemmeno io che cosa.... Non si sfugge insomma a un mondo "d'acciaio lavorato a freddo e a caldo (...) fatto di laminatoi, cokerie, bramma, tubi" etc.
Centrale la figura del Generale, il padre del giovane narratore, emerge dalle vicende con i suoi tratti severi, scorbutici, caratterizzazione esemplare di un uomo ruvido, che non ama le chiacchiere e sta ai fatti di una realtà durissima: lì si muore e ci si ammala con una frequenza che non sembra quella del mondo Occidentale. Il lutto segnato dall'acciaio, prima o poi è destinato a far capolino nelle vite di ogni famiglia.
Fin qui tutto bene - il romanzo di Argentina però non è privo di limiti abbastanza precisi; non tanto la mancanza di un plot, cui l'autore sembra francamente disinteressato, quanto il fatto che se la modalità narrativa privilegiata pare essere quella delle sit-com con le loro coartate unità di luogo, divertenti per un po' fino a quando non diventano asfittiche, anche la definizione dei personaggi e la lingua usata per raccontarli rischiano di non offrire molte sorprese se non nell'invenzione un po' di maniera, nella battuta dialettale, nell'ammiccamento vezzoso di una spavalderia tragicomica ripetitiva. Il giovane narratore infatti attraversa il quartiere, il condominio, gli appartenenti e le singole stanze da una pagina all'altra dando l'impressione di aver visto già tutto, di sapere già tutto – almeno, questo arriva al lettore. Del resto, è il risvolto di copertina a dirlo, parlando di personaggi "pittoreschi". Eccolo, il limite del romanzo di Argentina a mio avviso è questo: tradisce troppa smania di far ridere e commuovere tipizzando sia le figure sulla scena che la scena della lingua.
di Michele Lupo
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