Attualità
'Brotherhood'. Quando trionfa un'estetica non gay.
Il film che ha vinto la 4 Edizione del Festival del Film di Roma, Brotherhood, è, a parere di chi scrive, una bellissima e intensa storia, recitata magistralmente da attori poco conosciuti e diretta da un regista danese esordiente, Nicolo Donato (che di italiano ha solo il nome e le origini della mamma) che si è espresso (per immagini e pathos raggiunto) quasi ai livelli dell'altro più celebre film omo-erotico di successo degli ultimi tempi, I segreti di Brokeback Mountain.
La crisi
È ottobre, e con la vendemmia e la ripresa delle altre attività produttive, è giusto parlare, come fanno tutti, della crisi. Anche perché bisogna ammettere che è niente male questa idea della crisi; di questa cosa che noialtri qui chiamiamo crisi, anche se, a vederla da altre prospettive, meno coinvolte e morbose, in mancanza di carestie, per esempio, uno farebbe prima e più schiettamente a chiamarla tassa sulla povertà.
Ma se queste prospettive diverse ci offrono una diversa definizione del fenomeno,
La nuova rabbia e il nuovo orgoglio
Vorrei davvero che Oriana Fallaci fosse qui, tra di noi, probabilmente rimarrebbe schifata da un sacco di cose. Probabilmente ci sarebbero ancora i canterini della sinistra salottiera a lanciarle anatemi addosso. Probabilmente ci sarebbero i finti liberali della destra parlamentar-eversiva a fingere di applaudirla, di difendere le ragioni del femminile e poi tornati a casa pronti a rivestire i panni del paparino-padroncino di non lontana memoria crociana
Otto domande a Roberto Saviano. Alle quali non risponderà mai.
Dopo l'ennesima apparizione televisiva ci è venuto spontaneo rivolgere un po' di domande (otto per la precisione, non ci va di copiare La Repubblica) a Roberto Saviano. Siamo sicuri che non risponderà mai, ma va bene lo stesso. Noi gliele abbiamo fatte col cuore.
La lettera
La boccuccia a culo di gallina dell'intransigenza letteraria, Alfredo Ronci, ne ha fatta un'altra delle sue. Ha massacrato il romanzo di esordio, Tanatoparty, di Laura Liberale (Meridiano zero). E la scrittrice, che è una che non sta con le mani in mano, gli risponde. A tono. E con stile. Noi volentieri pubblichiamo.
A proposito degli 'Arditi del popolo'
Queste poche note sono una riflessione sul disagio che, ultimamente, la mia recensione al bel libro di Valerio Gentili Gli arditi del popolo di Roma ha procurato in alcuni lettori.
Il fatto, bisogna dirlo, è che l'impresa fiumana prima, e l'azione politica degli arditi del popolo, poi, sono fatti sconosciuti, rimossi; ed il mio articolo troppo breve e inesaustivo: non c'è chi veda che questa, dunque, sarebbe una situazione del tutto virtuosa, aperta a diverse implicazioni, ognuna capace di arricchire l'immaginazione e la curiosità di chicchessia.
Kaputt, un capolavoro 'censurato'
Trovo scandaloso il modo in cui Curzio Malaparte è sempre stato trattato dalla 'critica' letteraria nostrana. Sentite cosa scrive Giuseppe Petronio nel suo Racconto del novecento letterario: fascista e antifascista, versipelle congenito, esempio esemplare di malcostume, cinico ed intelligente.
Per non parlare di Giuseppe Gigliozzi che in 'Cultura e letteratura del ventennio fascista' scritto contenuto in Storia generale della letteratura italiana di Walter Pedullà a proposito di come si debba affrontare il 'problema' Malaparte dice
Il fascista, il 'frocio cattolico' ed il cattolico moralista
E' in libreria in questi giorni un bel testo di Jonathan Littell (l'autore de Le benevole) sull'importanza del linguaggio e come esso sia spesso utilizzato per confortare ideologie. Si intitola Il secco e l'umido (1) (sottotitolo: una breve incursione in territorio fascista) e prende spunto dalla lettura di un saggio del mai ex-nazista Léon Degrelle, esattamente La campagne de Russie, per evidenziare l'importanza di prendere alla lettera il lessico fascista.
Innanzi tutto due parole su Léon Degrelle: di nascita belga, fu il fondatore del rexismo
Scrittrici Italiane. Il piagnisteo al lavoro.
Vorrei aggiungere un paio di riflessioni a quelle che ha fatto Alfredo Ronci a proposito del libro di Cesarina Vighy, L'ultima estate.
Ronci scrive che ormai in Italia non si ha più "rispetto per il lettore". Fa segnatamente riferimento alla triste situazione della letteratura femminile, landa di garrule prefiche, opportunamente inserita nel miserevole andazzo in corso di politiche markettare scambiate per rovello critico, brutture insipide vendute come capolavori e via discorrendo – e mi permetterei di aggiungere, di difficoltà di pubblicare con editori robusti quando, con Niccolò Franco, si scrive come si deve, ossia dicendo "pane al pane e cazzo al cazzo".
Viva la fica e dio la benedica. Ma solo quella.
Scriveva Curzio Malaparte nell'introduzione al suo Kaputt: ... poiché la letteratura italiana ha bisogno di rispetto, non meno che di libertà.
Questo invece è un paese che il rispetto non porta soprattutto ai lettori, e non è un caso che abbia citato Malaparte, per decenni (ma ancora oggi) 'censurato' da certa critica paludata ed ignominiosa, erede di quella sbandata gramsciana sull'egemonia della cultura di sinistra, e che ha volutamente nascosto un capolavoro come appunto Kaputt col solo alibi che era stato scritto da un uomo che aveva partecipato alla marcia su Roma.
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