I Classici
Una tragedia modernissima: ‘Maria Zef’ di Paola Drigo.
Mi fa davvero pensare e ripensare quel premio Viareggio (1937): dato ad un libro che condanna, senza mezzi termini, il machismo e la condizione subumana della donna, quando il contesto (si legga: regime), nell’esaltazione di valori tipicamente maschili (famiglia, patria, chiesa), aggiungeva, piuttosto che sottrarre, stimoli ad una reiterata prassi del possesso.
Disavventure della ragione nell’Italia di fine ottocento: ‘Malombra’ di Antonio Fogazzaro.
È, questo romanzo del 1881, una storia di passioni che con più efficacia di un trattato affronta l’eterna dicotomia fra razionale e irrazionale, fra determinismo e libero arbitrio, fra scienza e fede. Problematiche che scaturiscono dalla personalità tormentata di Fogazzaro e, nello stesso tempo, dalle istanze del suo ambiente sociale, vale a dire la borghesia liberale di fine ottocento.
Il corpo 'molle' del fascismo e del Duce: 'Marciavano i don Ciccilli' di Antonio Camarca.
Al mascellone ebefrenico di gaddiana memoria si sostituisce il Ciccillone: di conseguenza l'incicillatura dei seguaci che marciano compatti.
Si dirà: ma che d'è?
Del Duce si parla e del suo corpo che l'ingegnere lo voleva schizofrenico e con la mascella virile e Camarca che lo disegna esagerato ("Be', be' amà: proprio bell'uomo non direi" rimbecca lui piccato "Ha le labbra che so' due tacchi di scarpa...) e pure malaticcio
Un prodotto del maccartismo: ‘L’occhio nel cielo’ di Philip K. Dick
Oserò fare la recensione a un romanzo di Philip Dick? No, non oserò. Ormai tutto è stato detto e ci si può solo inchinare al maestro. Le icone sacre non si recensiscono. Però una rilettura si può fare anche in chiave diversa, per esempio cercando di ricostruire la genesi del romanzo. È quello che ho fatto dopo aver letto la biografia di Philip Dick scritta da Emmanuel Carrère (e qui recensita). Perché mi è sembrato gustoso l’aspetto aneddotico della faccenda.
Un caso editoriale mai rientrato: 'Il cacciatore ricoperto di campanelli' di Giuseppe Lo Presti.
(...) Non credo che per diventare scrittori si debba indulgere nella frequentazione di scrittori e di ambienti intellettuali, e voglio sottolineare che diffido degli scrittori inclini alla debolezza dello scoutismo, sia pure perché stipendiati apposta da una casa editrice...
Così scriveva Aldo Busi presentando Il cacciatore ricoperto di campanelli di Giuseppe Lo Presti. Un piccolo romanzo uscito alla chetichella per gli Oscar Originals nel 1990 e diventato – forse grazie anche alla prefazione e all'interessamento dello scrittore bresciano – un piccolo caso editoriale.
Da vittima del becero moralismo a falsario vaticano: la storia ‘originale’ di Vittorio Scattolini e del suo autobiografico ‘Il processo di Cesarina’.
In un articolo su ‘La Stampa’ dell’aprile del 1948, Ugo Zatterin (giornalista di lungo corso che i meno giovani ricordano anche in tv come moderatore delle noiosissime ‘Tribune elettorali’ in bianco e nero) lo definiva così: La polizia lo conobbe giovanissimo come istigatore di reato, come austriacante, infine come pornografo.
“L’amore” ai tempi del fascismo.
Forse facciamo una forzatura a indicare un “oggetto” nella letteratura di Ercole Patti. Non perché temi ‘illustri’ ed altisonanti non siano determinanti nella sua arte, ma perché tutto quello che scorre e si presenta al lettore è obnubilato da un senso forte e caratteristico dell’ambiente e dei suoi colori.
La lingua rimpastata di Aldo Palazzeschi: I fratelli Cuccoli.
Sorelle Materassi era, permettetemi di dirlo, un dono di Dio, una bellezza linguistica che trovava un perfetto assemblaggio tra il fare e il contendere. Ma soprattutto era un quadro ossessivo e dinamico prima della tragedia.
Il concreto nichilismo di J. Rodolfo Wilcock: 'La sinagoga degli iconoclasti'.
La prima edizione di quest'opera risale al 1972. E sono principalmente due i motivi per leggerla: era il libro preferito di Roberto Bolaño e ha dato il nome ad una nostra rubrica (e non mi sembra una debole motivazione). Amico di Borges, Ocampo e Bioy Casares ( diceva di loro: Questi tre nomi e queste tre persone furono la costellazione e la trinità dalla cui gravitazione, in special modo, trassi quella leggera tendenza, che si può avvertire nella mia vita e nelle mie opere, a innalzarmi, sia pur modestamente, al di sopra del mio grigio, umano livello originario) Rodolfo Wilcock nel 1957 si trasferisce definitivamente in Italia, a Roma.
Una piccola perla di rara dolcezza: 'Le svedesi' di Silvano Ambrogi.
Chi ha conosciuto Silvano Ambrogi ne ha capitalizzato la verve ironica ed una sveltezza alla battuta più arguta e al vetriolo (una fra tutte: Mafioso: persona che dice di non esistere a persone che dicono di non conoscerlo). Lui è l'autore dei Burosauri, pièce teatrale che prendeva a cazzotti l'immane 'tragedia', quasi sempre italica, dell'ottusa, inutile e pedante burocrazia (la commedia fu ripresa più volte durante i decenni, perdendo sempre qualcosina in più, perché quel male è come certi virus, cambia secondo le stagioni, variando e peggiorando) ed è anche lo scrittore
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