I Classici
Il mondo piccolo borghese di Lucio D'Ambra; 'Fantasia di mandorli in fiore'.
In un articolo di un po' di anni fa lo storico Lucio Villari si chiedeva, dopo una lettura attenta e riflessiva del diario di Lucio D'Ambra, cosa si dovesse pensare di quel gruppo sostanzioso di intellettuali e personalità di spicco che, durante il fascismo, attuarono una sorta di attesa formale degli eventi (tanto per fare qualche nome: Pirandello, Cecchi, Fermi).
La questione può essere posta nel modo più semplice possibile. Si deve procedere ad una decisa condanna di una certa Italia culturale perché troppo affine al modello fascista
'Estinzione' di Thomas Bernhard, ovvero: l'insopprimibile complesso del provinciale.
Il provinciale giunge, in città, convinto di ottenere ciò che gli è mancato nel paese natio e soprattutto nella famiglia, cioè, un subitaneo riconoscimento del suo sapere, di una cultura e di una sopraffina autoeducazione del vivere, nonché, addirittura, della sua già grande arte. Se per i familiari è uno strano soggetto persino superbo, o scontroso, in città, in quei locali in cui si dà da fare a bere e a parlare, appare essere il classico, perfetto, noiosissimo fuorisede, un logorroico forestiero nato tra il bue e l'asinello, in cerca d'autore.
Nel lager o si muore o si sopravvive. Non si vive più: 'Il fumo di Birkenau' di Liana Millu.
Se vogliamo, anche nel giorno della memoria vi è una prevedibile sostanza. Sostanza dettata dalla faciloneria più che dall'ignoranza: di chi vuol raccontare l'immane tragedia attraverso le solite bocche, le solite testimonianze (a cui, quest'appunto, non vuole sottrarre importanza o la benché minima suggestione).
Per carità: obbligatorio parlare della Frank o di Primo Levi o dell'ultimo sopravvissuto della retata del ghetto di Roma, ma vi sono voci straziate che sono state dimenticate, forse per incuria, forse per il semplice trascorrere del tempo
I froci ancien régime di Gian Piero Bona: 'I pantaloni d'oro'.
S'intuisce già qualcosa dell'autore quando in esergo al romanzo scrive: L'amico Mario Soldati mi dice sempre che finalmente ha trovato uno scrittore 'non italiano' (infatti ho pattinato molto sui ghiacci mittel-europei con pastori metodisti), ed è per questo che non sono amato dalle Ade Negri in minigonna e dai Giovanni Pascoli capelloni di cui pullula la nostra cara domestica crociana realistico-papale porno-familiare letteratura.
Dove con un linguaggio mordacemente 'rivistaiolo' aggrega concetti che perdurano e che s'estrinsecano ancor oggi in sudditanza clericale,
La battaglia antiborghese di un fascista anarchico: 'Il soldato postumo' di Marcello Gallian.
Titolo che riprende paro paro il lavoro di Paolo Buchignani su Marcello Gallian e che sintetizza alla perfezione la tensione ideologica dello scrittore romano.
Su di lui la critica ha eretto una cortina di silenzio a dir poco vergognosa, nonostante si sia di fronte ad uno dei romanzieri più dotati di tutto il novecento italiano, spesso del tutto assente dalle antologie e dalle storie della letteratura (qualcuno, negli anni passati, tentò di sfondare il muro di omertà: Baraghini per esempio, che inaugurò la serie mitica dei Millelire con America, un racconto di Gallian tratto dalla rivista 'Quadrivio').
Altro che mitici anni sessanta: 'Registrazione di eventi' di Roberto Roversi.
Finito di leggere il libro mi ero appuntato:
Rappresentazione perfetta degli anni sessanta,
a) Denaro, quindi boom economico
b) Ossessioni della guerra
c) Idea della morte.
Poi riflettendo nei giorni successivi sono arrivato alla conclusione che il romanzo di Roversi è uno straordinario esempio di preveggenza: in esso sono contenuti tutti i mali che segnano l'attuale società e la precarietà del vivere.
Un attrazione fatale 'di regime': 'Il deserto del sesso' di Leonida Rèpaci.
Il libro ha una sua ambizione: di dire le cose del sesso come sono, senza ambagi, senza la solita ipocrisia che le vorrebbe soltanto accennate, per poter muovere, su un terreno di complicità allusiva, la fantasia.
Così scriveva lo stesso Rèpaci nell'introduzione alla presente edizione, a ribardir anche l'eccezionalità dell'evento: perché Il deserto del sesso fu opera prima processata per immoralità e successivamente assolta con formula piena dalla Magistratura di Milano, ma di più (perché le diatribe legali non hanno nulla a che vedere con le potenzialità letterarie di un libro)
Lo scrittore della morte e delle ossessioni: Dario Bellezza e 'L'amore felice'.
Devo essere sincero: non ho mai amato Bellezza né come poeta né come scrittore, riconoscendo tuttavia l'alta tessitura del 'fraseggio'. Motivi di questa incomprensione forse la stessa per cui Busi, negli ultimi anni di vita del poeta romano, vi si scagliava contro anche con inusitata autorità.
Ne aveva ben donde: contro la gioiosa macchina da guerra sessuale dell'autore di Sodomie in corpo 11, Bellezza contrapponeva un'omosessualità vissuta allo stesso modo pericolosamente, ma come vista e 'sentita' attraverso il buco della serratura.
Come una casa solida durante un terremoto: 'Una lunga pazzia' di Antonio Barolini.
In prima edizione nel 1962 Una lunga pazzia rappresentò una sfida: il neorealismo era ormai discorso chiuso. Qualcuno lo decretò morto dopo i fatti d'Ungheria che rappresentarono una sorta di 'diktat' alla voglia di utopia, mentre l'anno successivo si prestò alla nascita di un movimento che avrebbe messo in discussione il romanzo come forma assoluta d'espressione ed i suoi padri putativi.
Fu provocazione, protesta, o solo espressione di un'arte ormai consolidata quella di Antonio Barolini nel pubblicare una storia che ricordava Verga, il verismo in genere se non addirittura la sbandata appendicista?
Una piccola grande storia d'inganno: 'La suora giovane' di Giovanni Arpino.
Mi è capitato, recentemente, di verificare la grandezza de La suora giovane con un mio collega avanti con gli anni. Quando ha saputo che ne avrei parlato s'è compiaciuto, ha sorriso e poi ha cominciato a raccontar la trama come se avesse chiuso il libro minuti prima: lo aveva letto da giovane e rimasto folgorato.
Ormai è un dato di fatto che il romanzo di Arpino sia considerato, dai più, come l'opera più riuscita e toccante dell'intera sua produzione, una storia che per la sua semplicità e per la commistione di elementi sociali e di magnetismo rappresenta anche una chiave di volta per rappresentare un paese nella sua fase massima di ricostruzione.
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