RECENSIONI
Riccardo Bertoncelli
1967 intorno al Sgt Pepper
Giunti, Pag. 256 Euro 22.00
L’ho già detto un’altra volta: sono un fan di Riccardo Bertoncelli. Non so se sia giusto esserlo per un critico musicale, ma va bene così. Forse perché lo ritengo una persona seria ed informata e soprattutto perché è una buona penna… ma le cose vanno a questo modo.
In questo ultimo volume (a proposito: non cercate di tenergli testa, lui va per le sue; oggi parla del ’67 ma non è detto che alla prossima parli del ’68, anzi mi aspetto altro) si fa aiutare da altri 3 recensori (sì, chiamiamoli così), ed esattamente: Franco Zanetti per Lo strascico del Sgt Pepper, dove si parla della sbandata lisergica dei Beatles e di qualche altro “affaire”, soprattutto lennoniano; Cesare Rizzi per il Piccolo dizionario dell’underground britannico 1967; Federico Guglielmi per The Doors unforgettable fire e I Think that maybe i’m dreamin dedicato al festival di Monterey.
Il resto sono tutte memorabilie bertoncelliane che in qualche modo correggono anche alcuni insulti che lo stesso recensore prese nel furore degli anni verdi, come per esempio quello di ignorare la black music. Qui dedica spazio sacrosanto e veritiero soprattutto a Otis Redding e alla divina del canto, Aretha Franklin. Poi il solito.
Ma è un solito che non si può ignorare: soprattutto Jimi Hendrix e i suoi esordi, anche se il ’67 vide la nascita di uno degli album più innovativi ed entusiasmanti della musica rock: Are you experienced. I Pink Floyd e le ambasce con Syd Barrett. San Francisco e l’amore per la scena alternativa e soprattutto per i Grateful Dead e per i Jefferson Airplane (ma attenti a non dimenticare Country Joe and the Fish).
A questo si aggiunga la proverbiale tirata del Dylan, l’uomo invisibile; l’esperienza fondamentale dei crociati del blues, e cioè John Mayall & The Bluesbreakers; le prime canzoni di quello che poi diventerà un guru per Bertoncelli, e cioè Leonard Cohen ed infine la discografia del ’67 che ci fa pensare come lo ieri sia molto più avvincente e stimolante dell’oggi.
Si chiude con un’intervista a Francesco Guccini che per i più è una sorta di giustizia all’arte del cantautore genovese, ma per i meno è solo un confronto con un’altra parte della storia musicale sessantasettesca.
Non mi pare che bisogna aggiungere altro.
Godete… e moltiplicatevi.
di Alfredo Ronci
In questo ultimo volume (a proposito: non cercate di tenergli testa, lui va per le sue; oggi parla del ’67 ma non è detto che alla prossima parli del ’68, anzi mi aspetto altro) si fa aiutare da altri 3 recensori (sì, chiamiamoli così), ed esattamente: Franco Zanetti per Lo strascico del Sgt Pepper, dove si parla della sbandata lisergica dei Beatles e di qualche altro “affaire”, soprattutto lennoniano; Cesare Rizzi per il Piccolo dizionario dell’underground britannico 1967; Federico Guglielmi per The Doors unforgettable fire e I Think that maybe i’m dreamin dedicato al festival di Monterey.
Il resto sono tutte memorabilie bertoncelliane che in qualche modo correggono anche alcuni insulti che lo stesso recensore prese nel furore degli anni verdi, come per esempio quello di ignorare la black music. Qui dedica spazio sacrosanto e veritiero soprattutto a Otis Redding e alla divina del canto, Aretha Franklin. Poi il solito.
Ma è un solito che non si può ignorare: soprattutto Jimi Hendrix e i suoi esordi, anche se il ’67 vide la nascita di uno degli album più innovativi ed entusiasmanti della musica rock: Are you experienced. I Pink Floyd e le ambasce con Syd Barrett. San Francisco e l’amore per la scena alternativa e soprattutto per i Grateful Dead e per i Jefferson Airplane (ma attenti a non dimenticare Country Joe and the Fish).
A questo si aggiunga la proverbiale tirata del Dylan, l’uomo invisibile; l’esperienza fondamentale dei crociati del blues, e cioè John Mayall & The Bluesbreakers; le prime canzoni di quello che poi diventerà un guru per Bertoncelli, e cioè Leonard Cohen ed infine la discografia del ’67 che ci fa pensare come lo ieri sia molto più avvincente e stimolante dell’oggi.
Si chiude con un’intervista a Francesco Guccini che per i più è una sorta di giustizia all’arte del cantautore genovese, ma per i meno è solo un confronto con un’altra parte della storia musicale sessantasettesca.
Non mi pare che bisogna aggiungere altro.
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Interlinea, Pag. 86 Euro 10,00Seguo Bertoncelli da quasi quarant'anni. Ma non da Freak, la sua prima 'fanzine', né da Muzak, la rivista 'alternativa' di quei tempi, ma attraverso pubblicazioni che rivelarono immediatamente il suo spirito controcorrente e al vetriolo. Negli anni si è ammorbidito, ha ritrovato (o forse trovato per la prima volta) il gusto anche per la musica italiana (che tanto odiò e bistrattò negli anni sessanta/settanta) ed ha affinato ancora il suo gusto letterario.
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