RECENSIONI
Anna Maria Ortese
Mistero doloroso
Adelphi, Pag. 114 Euro 10,00
Presuntuosamente mi andrebbe di suggerire un mode d'emploi per la lettura del libro. Innanzi tutto fare a meno della post-fazione di Monica Farnetti, e non perché sia inutile (anzi), o fuorviante (anzi) o sbagliata (anzi), o imprecisa (anzi). Andrebbe ignorata perché nulla toglie o aggiunge alla cristallina bellezza di Mistero doloroso: è solo un percorso in più e allestita per quelli che all'arte preferiscono le suggestioni biografiche.
C'è stato fatto un dono: quello del ritrovamento di 27 cartelle scovate nel materiale che la Ortese ha lasciato dopo la sua morte. Dono che conferma, ma non ne avevamo bisogno, la grandezza spropositata di una scrittrice che non ha eguali non solo in Italia, ma nel mondo intero.
Il mode d'emploi di cui sopra andrebbe sollecitato non solo a chi conosce Il porto di Toledo, Il cardillo addolorato o Il mare non bagna Napoli, ma chi ignora totalmente il senso della magia (o pensano che lo stupore sia quello di Silvan o della prestidigitazione) o chi confonde la 'maraviglia' col fantastico di stampo borghesiano.
Mistero doloroso (quante volte, nel corso di poco meno di cento pagine, si legge il termine 'doloroso', o il suo sostantivo 'dolore' o qualcosa che gli assomigli ma abbia la stessa forza paradossalmente propulsiva?) è innanzi tutto un atto d'amore ed una necessità, mi perdonino i puristi, fisiologica: la passione tra una quattordicenne figlia di una sarta ed un principe nemmeno ventenne nella Napoli borbonica non si risolve solo nella ricerca reciproca, ma nel tocco 'fisico' conchiuso in quella straordinaria epifania letteraria che è la pagina in cui l'atto massimo dell'uomo nei confronti della ragazzina è quella di baciarle i piedi.
Atto di un erotismo squassante, che risolve in men che non si dica le diatribe sul perché spesso la letteratura non accende e nel caso contrario: gesummio che luce che fa!
Il mode d'emploi di cui sopra andrebbe suggerito agli untori del nullacentrismo, quelli che pretendono di scrivere di un mondo dove tutto sembra accadere, ma in realtà non succede il benché minimo piffero. Ch'è anche un supremo paradosso: una narrativa che sembra figlia della frenesia dei tempi, è preda della stanzialità, ancor più che fisica, dei sentimenti.
Nella sua semplicità il 'mistero doloroso' (dunque solo il concetto) è proprio quello che si può pensare: una storia d'amore che racchiude in sé il senso sempre meraviglioso del suo apparire improvviso e la sua lacerante adesione alla vita (e non fa nulla che gli altri pensino che il dolore sia conseguenza dell'azione. Sì Florì, la quattordicenne innamorata del principe, si uccide per amore, ma il lutto non determina lo strazio, e di conseguenza, il titolo seppur appropriato (e nemmeno il suo esatto contrario che sarebbe plausibile): no, il dolore e la sua aggettivazione fanno parte del mondo, o meglio, di quello che vorremmo che fosse.
Riflette Cirillo, il principino innamorato, di fronte ad una perdita inconsolabile: Là, qualche cosa accade, pensava, là, nell'acqua stellata dei sogni, vivono gli ultimi regni, passano gli ultimi arcangeli. Il resto, non è che una gran noia.
Come la letteratura tanto sbandierata di oggidì. Tranne miracolosi recuperi che hanno il fascino di un mistero doloroso.
Come la vita no?
P.S. Inutile dire che il libro della Ortese è una delle cose migliori di questo asfittico 2010.
di Alfredo Ronci
C'è stato fatto un dono: quello del ritrovamento di 27 cartelle scovate nel materiale che la Ortese ha lasciato dopo la sua morte. Dono che conferma, ma non ne avevamo bisogno, la grandezza spropositata di una scrittrice che non ha eguali non solo in Italia, ma nel mondo intero.
Il mode d'emploi di cui sopra andrebbe sollecitato non solo a chi conosce Il porto di Toledo, Il cardillo addolorato o Il mare non bagna Napoli, ma chi ignora totalmente il senso della magia (o pensano che lo stupore sia quello di Silvan o della prestidigitazione) o chi confonde la 'maraviglia' col fantastico di stampo borghesiano.
Mistero doloroso (quante volte, nel corso di poco meno di cento pagine, si legge il termine 'doloroso', o il suo sostantivo 'dolore' o qualcosa che gli assomigli ma abbia la stessa forza paradossalmente propulsiva?) è innanzi tutto un atto d'amore ed una necessità, mi perdonino i puristi, fisiologica: la passione tra una quattordicenne figlia di una sarta ed un principe nemmeno ventenne nella Napoli borbonica non si risolve solo nella ricerca reciproca, ma nel tocco 'fisico' conchiuso in quella straordinaria epifania letteraria che è la pagina in cui l'atto massimo dell'uomo nei confronti della ragazzina è quella di baciarle i piedi.
Atto di un erotismo squassante, che risolve in men che non si dica le diatribe sul perché spesso la letteratura non accende e nel caso contrario: gesummio che luce che fa!
Il mode d'emploi di cui sopra andrebbe suggerito agli untori del nullacentrismo, quelli che pretendono di scrivere di un mondo dove tutto sembra accadere, ma in realtà non succede il benché minimo piffero. Ch'è anche un supremo paradosso: una narrativa che sembra figlia della frenesia dei tempi, è preda della stanzialità, ancor più che fisica, dei sentimenti.
Nella sua semplicità il 'mistero doloroso' (dunque solo il concetto) è proprio quello che si può pensare: una storia d'amore che racchiude in sé il senso sempre meraviglioso del suo apparire improvviso e la sua lacerante adesione alla vita (e non fa nulla che gli altri pensino che il dolore sia conseguenza dell'azione. Sì Florì, la quattordicenne innamorata del principe, si uccide per amore, ma il lutto non determina lo strazio, e di conseguenza, il titolo seppur appropriato (e nemmeno il suo esatto contrario che sarebbe plausibile): no, il dolore e la sua aggettivazione fanno parte del mondo, o meglio, di quello che vorremmo che fosse.
Riflette Cirillo, il principino innamorato, di fronte ad una perdita inconsolabile: Là, qualche cosa accade, pensava, là, nell'acqua stellata dei sogni, vivono gli ultimi regni, passano gli ultimi arcangeli. Il resto, non è che una gran noia.
Come la letteratura tanto sbandierata di oggidì. Tranne miracolosi recuperi che hanno il fascino di un mistero doloroso.
Come la vita no?
P.S. Inutile dire che il libro della Ortese è una delle cose migliori di questo asfittico 2010.
di Alfredo Ronci
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Da Moby Dick all'Orsa Bianca
Adelphi, Pag. 187 Euro 13,00La più grande narratrice italiana del novecento non è stata una grande saggista: questi 'sagaci squarci' come vengono definiti nella quarta di copertina, non aggiungono nulla al suo talento, semmai, proprio per confutare la tesi predetta, sottraggono.
Per carità, siamo davanti a riflessioni sempre di un certo decoro, per quanto non capiamo davvero l'esigenza di accorpare pezzi scritti durante più di un cinquantennio (si va dagli articoli redatti alla fine degli anni trenta, a quelli degli inizi degli anni novanta): mancano di quello spessore, a volte analitico, che ne farebbero tutt'altra materia.
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