RECENSIONI
Walter Mauro
Miles e Juliette
Giulio Perrone Editore, Pag.125 Euro 10,00
Ho avuto modo di assistere ad una presentazione del libro: Walter Mauro, al di là delle sue incontestabili qualità, è un arzillo ometto – molto alto e magro – di ottantatre anni, portati splendidamente. Quando parla di jazz e del suo passato professionale gli si illuminano gli occhi e quel che dice appare proprio un debito prolungamento di sé.
Ha deciso – non sappiamo però chi l'abbia spinto – di esordire letterariamente a questa veneranda età (capiamoci: si intenda con ciò esordio narrativo, perché il Mauro, nel corso della sua lunga carriera ha pubblicato molti saggi sul jazz appunto, sui neri d'America e ovviamente sul blues) con un romanzetto sulla storia d'amore tra Miles Davis e la diva dell'esistenzialismo Juliette Greco.
Non me ne voglia l'autore, che io stimo ed apprezzo anche nelle sue "performances" pubbliche, ma di romanzo non c'è proprio nulla. Walter Mauro appartiene a quella categoria di giornalisti che è spesso preso dal fuoco sacro della passione e grazie a questo riversa nella scrittura un ardore, un amore che è matrimonio perfetto tra la sua arte e quella che ama. Ma la vicenda che ci racconta assomiglia ad un cronaca appassionata di un tempo e di una évocation irraggiungibili.
Le prima quaranta pagine (il libro ne conta poco più di centoventi) sono un riassunto di quella vera e propria rivoluzione che il movimento afroamericano apportò alla musica. E vi è un elenco delle personalità più emergenti e geniali - inanellato davvero come perle dal valore inestimabile – che sfuggono nello stesso momento ad una classificazione del genere: erano semplicemente anime colte nel momento di massima lucidità espressiva. Dunque Diz (Dizzie Gillespie), Trane (John Coltrane) The Duke (Duke Ellington), Lady D (Billie Holiday), lo stesso Miles Davis, Sara Vaughan. Fa da contraltare a questa magnificenza l'altro elenco, le personalità della cultura francese che, sopravvissute, per forza e per ideologia, al misfatto di Vichy e quindi ad un'occupazione nazista immorale, ricostruiscono col loro appeal e con la loro forza di persuasione un intero mondo che si credeva a pezzi: Jean Paul Sartre (detto Paulu), Simone de Beauvoir (le Castor), Boris Vian, Marguerite Duras, Edith Piaf.
Insomma, in questo clima magmatico e "ricolmo" di personalità straordinarie s'innesta questa storia d'amore che proprio perché "stretta" dalla ferrea cinta di avvenimenti e movimenti essenziali, non decolla nella sua essenza narrativa e di finzione.
Mauro la soffoca nel rituale dell'illuminazione storica. In un contesto così prodigioso ed irripetibile, i dettagli del passato prevalgono sul tentativo di isolare una singola vicenda. Che sia stata poi magica ed inconsueta (i neri in America lottavano ancora non solo per i diritti ma, in alcuni stati, per la sopravvivenza) noi non lo mettiamo in dubbio.
Non ci convince l'atmosfera da reportage giornalistico. E anche gli attori principali resi immortali da un linguaggio a volte esageratamente lezioso e iperbolico (Miles: una divinità egizia, sprigionava "Black beauty; Juliette: statua greca, corpo scultoreo, angelo bianco) alla fine risultano "troppo". Forse falsi.
Un peccato: avremmo preferito una rappresentazione meno "storica" per far posto ad una dimensione più funzionale all'arte della finzione. E forse qui che differenzia lo scrittore dallo scrittore-giornalista.
di Alfredo Ronci
Ha deciso – non sappiamo però chi l'abbia spinto – di esordire letterariamente a questa veneranda età (capiamoci: si intenda con ciò esordio narrativo, perché il Mauro, nel corso della sua lunga carriera ha pubblicato molti saggi sul jazz appunto, sui neri d'America e ovviamente sul blues) con un romanzetto sulla storia d'amore tra Miles Davis e la diva dell'esistenzialismo Juliette Greco.
Non me ne voglia l'autore, che io stimo ed apprezzo anche nelle sue "performances" pubbliche, ma di romanzo non c'è proprio nulla. Walter Mauro appartiene a quella categoria di giornalisti che è spesso preso dal fuoco sacro della passione e grazie a questo riversa nella scrittura un ardore, un amore che è matrimonio perfetto tra la sua arte e quella che ama. Ma la vicenda che ci racconta assomiglia ad un cronaca appassionata di un tempo e di una évocation irraggiungibili.
Le prima quaranta pagine (il libro ne conta poco più di centoventi) sono un riassunto di quella vera e propria rivoluzione che il movimento afroamericano apportò alla musica. E vi è un elenco delle personalità più emergenti e geniali - inanellato davvero come perle dal valore inestimabile – che sfuggono nello stesso momento ad una classificazione del genere: erano semplicemente anime colte nel momento di massima lucidità espressiva. Dunque Diz (Dizzie Gillespie), Trane (John Coltrane) The Duke (Duke Ellington), Lady D (Billie Holiday), lo stesso Miles Davis, Sara Vaughan. Fa da contraltare a questa magnificenza l'altro elenco, le personalità della cultura francese che, sopravvissute, per forza e per ideologia, al misfatto di Vichy e quindi ad un'occupazione nazista immorale, ricostruiscono col loro appeal e con la loro forza di persuasione un intero mondo che si credeva a pezzi: Jean Paul Sartre (detto Paulu), Simone de Beauvoir (le Castor), Boris Vian, Marguerite Duras, Edith Piaf.
Insomma, in questo clima magmatico e "ricolmo" di personalità straordinarie s'innesta questa storia d'amore che proprio perché "stretta" dalla ferrea cinta di avvenimenti e movimenti essenziali, non decolla nella sua essenza narrativa e di finzione.
Mauro la soffoca nel rituale dell'illuminazione storica. In un contesto così prodigioso ed irripetibile, i dettagli del passato prevalgono sul tentativo di isolare una singola vicenda. Che sia stata poi magica ed inconsueta (i neri in America lottavano ancora non solo per i diritti ma, in alcuni stati, per la sopravvivenza) noi non lo mettiamo in dubbio.
Non ci convince l'atmosfera da reportage giornalistico. E anche gli attori principali resi immortali da un linguaggio a volte esageratamente lezioso e iperbolico (Miles: una divinità egizia, sprigionava "Black beauty; Juliette: statua greca, corpo scultoreo, angelo bianco) alla fine risultano "troppo". Forse falsi.
Un peccato: avremmo preferito una rappresentazione meno "storica" per far posto ad una dimensione più funzionale all'arte della finzione. E forse qui che differenzia lo scrittore dallo scrittore-giornalista.
di Alfredo Ronci
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Walter Mauro
La letteratura è un cortile
Giulio Perrone editore, Pag. 150 Euro 11,00Perché tutto sommato di inciuci si tratta. Dice lo stesso Mauro per tentar di dare un senso al titolo: Io considero Calvino il più grande scrittore del Novecento, ma la letteratura è un cortile, nel senso dei pettegolezzi, dell'odio, del rancore, dei dispettucci tra letterati (tra questi bambini non cresciuti che battono i piedini dall'età della ragione alla morte), e Calvino, lo scrittore diverso da tutti, sembrava invece uguale a tutti nel frequentare uno dei vizi danteschi più riprovevoli, il sentimento dell'invidia.
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