RECENSIONI
Andrea Camilleri
Il nipote del Negus
Sellerio, Pag. 271 Euro 13,00
Non si usi Camilleri come fosse una rubrica: da portare, consultare e perché chi ne è privo è cheap. E chi invece lo 'sfoggia' e lo sfoglia, molto chic. Lo scrittore siciliano è autore di gusto, ma non nazional-popolare, nonostante lo straordinario successo. Di più: attua, e figuriamoci se sono il primo a dirlo, una perfetta sintesi di linguaggio, ma mai giocando sull'uso popolare dello stesso, perché questo valga innanzi tutto come elemento distintivo.
Prendiamo Il nipote del Negus, penultima sua fatica (ma crediamo che fatichi a scrivere come si stancava Simenon...) perché l'ultima è quella 'cosa' scritta (ahimé!) col Lucarelli nazionale sempre più imbolsito: quadro netto e feroce di un periodo e a dir dello stesso autore, nelle note conclusive, clima di autentica stupidità generale, tra farsa e tragedia, che segnò soprattutto un'epoca.
Di fascismo si tratta, dell'anno '29, quello dei Patti Lateranensi, ma ancor lontani dall'assillo imperiale e delle leggi razziali (si sa che Camilleri è persona straordinariamente sagace e spiritosa, e non vorrei che quelle parole, nello specifico, valessero come ulteriore burla, nel senso che se epoca ilaro-tragica fu il ventennio, figuriamoci quest'altro ventennio che siamo costretti a subire nell'ignoranza più asinina, tra mignotte e lauree honoris causa a decerebrati federalisti) e dell'arrivo di un Principe etiope, nipote appunto del Negus Ailé Sellassié, che ne combina di 'copte' e di crude.
Romanzo spassoso che strappa il sorriso e a volte il riso: e nella de-risione di un'intera classe politica, della sua rappresentazione 'teatrale', sta l'attualità, ne son sicuro.
Ricorda per certi versi un vecchio film Anni ruggenti, di Luigi Zampa, a sua volta già debitore di Gogol e delle sue ossessioni burocratiche, dove un brillante Nino Manfredi, giovane assicuratore, viene scambiato per un gerarca in incognito.
Per carità, nel romanzo di Camilleri non ci sono scambi di persona ed il divertimento non è da varieté: semmai diverte il compromesso politico, succedaneo di altri espedienti, sesquipedali idiozie e meschinità, tutto ciò organizzato splendidamente come già collaudato con La concessione del telefono, dove lo scrittore siciliano costruiva anche qui, una vicenda attraverso documenti, ritagli di giornali, lettere e persino 'frammenti di parlate'.
Si diceva che si ride e con gusto, perché la nazional popolarità è fine quanto mai: nella ricerca di archivio (pare che sia esistito davvero un nipote del Negus che abbia frequentato, come il protagonista del romanzo, la Regia Scuola Mineraria) e nella scansione 'storica' che regala al lettore (succede anche con Andrea Vitali ed la sua era 'fascista' da carro di Tespi) atmosfere che sembrano davvero vere e tangibili.
E non desistiamo dall'idea che il passato sia lo speculo del presente: perché hai voglia a dire, ma l'umana minutaglia de Il nipote del Negus ricorda l'attuale chincaglieria di basso regime, coi suoi sproloquii, con le sue abiezioni e con la marmaglia di collaboratori-servi. E poi del 'Capo': poiché riteniamo sia S.E. Benito Mussolini, in ogni suo atto o pensiero, direttamente ispirato dalla Divina Provvidenza. Non ebbe infatti così a definirlo il Santo Padre?
Certo che sì, e s'avverte la 'sostanza' storica del Camilleri, oltre che la sua attualità. Aridanghete!
di Alfredo Ronci
Prendiamo Il nipote del Negus, penultima sua fatica (ma crediamo che fatichi a scrivere come si stancava Simenon...) perché l'ultima è quella 'cosa' scritta (ahimé!) col Lucarelli nazionale sempre più imbolsito: quadro netto e feroce di un periodo e a dir dello stesso autore, nelle note conclusive, clima di autentica stupidità generale, tra farsa e tragedia, che segnò soprattutto un'epoca.
Di fascismo si tratta, dell'anno '29, quello dei Patti Lateranensi, ma ancor lontani dall'assillo imperiale e delle leggi razziali (si sa che Camilleri è persona straordinariamente sagace e spiritosa, e non vorrei che quelle parole, nello specifico, valessero come ulteriore burla, nel senso che se epoca ilaro-tragica fu il ventennio, figuriamoci quest'altro ventennio che siamo costretti a subire nell'ignoranza più asinina, tra mignotte e lauree honoris causa a decerebrati federalisti) e dell'arrivo di un Principe etiope, nipote appunto del Negus Ailé Sellassié, che ne combina di 'copte' e di crude.
Romanzo spassoso che strappa il sorriso e a volte il riso: e nella de-risione di un'intera classe politica, della sua rappresentazione 'teatrale', sta l'attualità, ne son sicuro.
Ricorda per certi versi un vecchio film Anni ruggenti, di Luigi Zampa, a sua volta già debitore di Gogol e delle sue ossessioni burocratiche, dove un brillante Nino Manfredi, giovane assicuratore, viene scambiato per un gerarca in incognito.
Per carità, nel romanzo di Camilleri non ci sono scambi di persona ed il divertimento non è da varieté: semmai diverte il compromesso politico, succedaneo di altri espedienti, sesquipedali idiozie e meschinità, tutto ciò organizzato splendidamente come già collaudato con La concessione del telefono, dove lo scrittore siciliano costruiva anche qui, una vicenda attraverso documenti, ritagli di giornali, lettere e persino 'frammenti di parlate'.
Si diceva che si ride e con gusto, perché la nazional popolarità è fine quanto mai: nella ricerca di archivio (pare che sia esistito davvero un nipote del Negus che abbia frequentato, come il protagonista del romanzo, la Regia Scuola Mineraria) e nella scansione 'storica' che regala al lettore (succede anche con Andrea Vitali ed la sua era 'fascista' da carro di Tespi) atmosfere che sembrano davvero vere e tangibili.
E non desistiamo dall'idea che il passato sia lo speculo del presente: perché hai voglia a dire, ma l'umana minutaglia de Il nipote del Negus ricorda l'attuale chincaglieria di basso regime, coi suoi sproloquii, con le sue abiezioni e con la marmaglia di collaboratori-servi. E poi del 'Capo': poiché riteniamo sia S.E. Benito Mussolini, in ogni suo atto o pensiero, direttamente ispirato dalla Divina Provvidenza. Non ebbe infatti così a definirlo il Santo Padre?
Certo che sì, e s'avverte la 'sostanza' storica del Camilleri, oltre che la sua attualità. Aridanghete!
di Alfredo Ronci
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