RECENSIONI
Alcide Pierantozzi
Unoindiviso
Halley Editrice, Pag.171 Euro 12,00
To: Isambard Kingdom Brunel
69/6, Great Western Rd., BG 68, 63 STOREY'S END (GB)
Caro Isa,
ma sei incontentabile! Capisco che vuoi far pratica d' italiano - forse spinto dalla tua cara mamma, che tanto ha penato, nei tuoi primi quindici anni, per farti acquisire padronanza della sua lingua. Tuttavia, non è passato neanche un mese dal mio ultimo invio, che comprendeva (tra le altre cose) qualche dvd con film e corti di Ciprì e Maresco: e nella tua che m'è giunta tre giorni addietro, mi scrivi che te li sei spolpati - come peraltro gli ultimi Baricco, Picca,Veronesi, Nesi, Ammanniti, Siti, Brizzi e Buzzi. Caspita! Ma non hai altro da fare, a parte leggere e vedere film da cinemateca? Il figlio del mio dirimpettaio del quinto piano ha la tua età, e va ai rave, s'impasticca e si scopa le "calate". Che figura ci si fa? Sì, si può sempre ricordare che hai un amante nigeriano di trentadue anni, col quale passi i finesettimana discutendo delle monarchie assolutistiche settecentesche dopo che ti si è inchiappettato, ma queste cose non fanno punteggio - meno che per l'ispanico regista di Krampack.
Comunque, e per risponderti: no, in Italia non stiamo messi proprio malissimo. Tuttavia sono d'accordo con te: quando gli artisti di un paese - mi citi i due cineasti palermitani, Aldo Nove, Luttazzi, i "cannibali" riediti da Einaudi, per dar forza alle tue conclusioni - trovano, come soluzione espressiva, addentrarsi in un paesaggio di rovine, sangue e merda, allora bisogna ammettere che c'è qualcosa che non va. Certo, si può sostenere che chi si esprime in una lingua periferica sia proclive più di altri ad assumere modi e mode esterne, in particolare dei paesi trionfanti e porcarécci (splatter&gore, "pulp fictions" e killbìlli, hannibalthecannibal-ismi:ma vedi come àvoli i decadenti e gli scapigliati d'inizio XX sec.); e però, il duo panormìta, autoctono in maniere e materie, sconfessa tale ipotesi (almeno nel cosmopolitismo): e contenuti e forme degli altri (di 9 e Lutt. soprattutto) prendono una specificità italicàna tanto determinata da far ritenere che, se influenza vi fu, essa agì come catalisi di sintesi preesistenti. Cioè che l'immondizia nostrale rivelata dagli Autori non avesse nome ed espressione: trovatili nella fioritura (del male) estera, coagulò.
Un esempio è il Pierantozzi (detto così, pare un comico tv) che t'invio: in quarta di copertina lo si consiglia a un pubblico adulto, ed in effetti il materiale e l'immaginario che il ventunenne Autore (a quindici anni recensiva letteratura e filosofia - all'epoca sua la giovane Giovanna Bemporad era, coetanea, traduttrice di Omero - ed ora è studente di cose filosofiche in Milano Cattolica) mette in scena non è per palati sensibili. A cominciare dal protagonista uno e bino (il "soggetto multiplo" degli avanguardisti fatto carne): trattasi d'un di quei gemelli siamesi uniti dal tronco in giù, e scempi a partire dall'ombelico, com'una Y. Esso/i lavora(no) in una sauna, e ti prego di credere che tali luoghi non sono serre di bocciuoli preziosi: inoltre, l'opera dell'artista è dedicata all'anima di quel poeta di cui ti parlai a lungo l'ultima volta che ci vedemmo - che fu anche regista, e di quel Porcile e di quel Salò-Sade che ti mostrai (sperando che mia cugina Grazia tua madre non l'abbia a sapere, e spero di esser stato chiaro!) -, e dal quale brani e motivi il Nostro ripiglia, quando mette in gioco cannibalismi, copro- e sessofagìe. Ma, solo questo fosse, il romanzo sarebbe di un abile e cruento manierista: c'è invece una linea del testo che fa appunto pensare che il "grand-guignol" da lui messo in scena abbia diverso valore e senso - che sia anche riuscito artisticamente, è da discutere. Prova ne è che ad un tratto il bicàpite protagonista s'applica a un monologo che, non fosse lui (in)diviso, sarebbe interiore (intendi: fra sé e sé, tra le due metà che di solito un individuo tiene intere parlando a sé stesso, e nascoste al mondo nella sua mente): nel discorso, esso/i analizza/no le ragioni per cui i cattolici possano sposarsi. E' ovvio che sia il gioco del rovescio: gli argomenti son quelli che ado(p)rano i papisti per vietare a terzi (ai gay, di base) di contrattare un'unione. Ed è anche ovvio che i due-in-uno li applichino, nel mo(n)do rovesciato, agli apostolici romani: come è ovvio che il trattamento mediatico e l'ethos dei protagonisti e dei ghiotti del caso di Cogne - i cui brandelli scelti l'Autore espone - abbiano una carica oscena e putrida che è gemella siamese delle infamità narrate nel testo - solo che queste siamo abituati a nominarle puramente per tali e dunque a riconoscerne esistenza e concretezza, e quelle della pubblica (im)moralità no.
Vedi dunque, Isa, che l'antica arte per la quale a nuora si parla perché suocera intenda, non è morta: però il difetto di questo, come d'altri testi simili, è proprio che l'allegoria è più che scoperta: "il trucco c'è, si vede, e non frega niente a nessuno" (Altan). Che tutto sia sotto i nostri occhi, va bene: che ogni oggetto sia come immerso nella luce di un faro, è troppo. Questo credo potrei consigliare al giovane Autore, e a te che scrittore (ricco) vorresti divenire - e che ho imparato a mie spese: a non metter troppi cartelli indicatori. E pure direi che rimarcare in più luoghi (vedi le pag. 44 e 60) che dei ventenni siano dei "ragazzini", veicola una spiacevole idea, dopo tante arditezze spregiudicate: un'idea di temporanea supinazione - come si sa in anatomia - allo spirito del tempo.
Ti lascio, a goderti i libri, le cassette e i dvd che troverai nel mio pacco. Invitandoti ad avere quella pazienza che è corollario della dote espressa in un motto inglese che tanto amava un grande (anche scrittore) italiano: "ripeness is all". Tuo.
di Marco Lanzòl
69/6, Great Western Rd., BG 68, 63 STOREY'S END (GB)
Caro Isa,
ma sei incontentabile! Capisco che vuoi far pratica d' italiano - forse spinto dalla tua cara mamma, che tanto ha penato, nei tuoi primi quindici anni, per farti acquisire padronanza della sua lingua. Tuttavia, non è passato neanche un mese dal mio ultimo invio, che comprendeva (tra le altre cose) qualche dvd con film e corti di Ciprì e Maresco: e nella tua che m'è giunta tre giorni addietro, mi scrivi che te li sei spolpati - come peraltro gli ultimi Baricco, Picca,Veronesi, Nesi, Ammanniti, Siti, Brizzi e Buzzi. Caspita! Ma non hai altro da fare, a parte leggere e vedere film da cinemateca? Il figlio del mio dirimpettaio del quinto piano ha la tua età, e va ai rave, s'impasticca e si scopa le "calate". Che figura ci si fa? Sì, si può sempre ricordare che hai un amante nigeriano di trentadue anni, col quale passi i finesettimana discutendo delle monarchie assolutistiche settecentesche dopo che ti si è inchiappettato, ma queste cose non fanno punteggio - meno che per l'ispanico regista di Krampack.
Comunque, e per risponderti: no, in Italia non stiamo messi proprio malissimo. Tuttavia sono d'accordo con te: quando gli artisti di un paese - mi citi i due cineasti palermitani, Aldo Nove, Luttazzi, i "cannibali" riediti da Einaudi, per dar forza alle tue conclusioni - trovano, come soluzione espressiva, addentrarsi in un paesaggio di rovine, sangue e merda, allora bisogna ammettere che c'è qualcosa che non va. Certo, si può sostenere che chi si esprime in una lingua periferica sia proclive più di altri ad assumere modi e mode esterne, in particolare dei paesi trionfanti e porcarécci (splatter&gore, "pulp fictions" e killbìlli, hannibalthecannibal-ismi:ma vedi come àvoli i decadenti e gli scapigliati d'inizio XX sec.); e però, il duo panormìta, autoctono in maniere e materie, sconfessa tale ipotesi (almeno nel cosmopolitismo): e contenuti e forme degli altri (di 9 e Lutt. soprattutto) prendono una specificità italicàna tanto determinata da far ritenere che, se influenza vi fu, essa agì come catalisi di sintesi preesistenti. Cioè che l'immondizia nostrale rivelata dagli Autori non avesse nome ed espressione: trovatili nella fioritura (del male) estera, coagulò.
Un esempio è il Pierantozzi (detto così, pare un comico tv) che t'invio: in quarta di copertina lo si consiglia a un pubblico adulto, ed in effetti il materiale e l'immaginario che il ventunenne Autore (a quindici anni recensiva letteratura e filosofia - all'epoca sua la giovane Giovanna Bemporad era, coetanea, traduttrice di Omero - ed ora è studente di cose filosofiche in Milano Cattolica) mette in scena non è per palati sensibili. A cominciare dal protagonista uno e bino (il "soggetto multiplo" degli avanguardisti fatto carne): trattasi d'un di quei gemelli siamesi uniti dal tronco in giù, e scempi a partire dall'ombelico, com'una Y. Esso/i lavora(no) in una sauna, e ti prego di credere che tali luoghi non sono serre di bocciuoli preziosi: inoltre, l'opera dell'artista è dedicata all'anima di quel poeta di cui ti parlai a lungo l'ultima volta che ci vedemmo - che fu anche regista, e di quel Porcile e di quel Salò-Sade che ti mostrai (sperando che mia cugina Grazia tua madre non l'abbia a sapere, e spero di esser stato chiaro!) -, e dal quale brani e motivi il Nostro ripiglia, quando mette in gioco cannibalismi, copro- e sessofagìe. Ma, solo questo fosse, il romanzo sarebbe di un abile e cruento manierista: c'è invece una linea del testo che fa appunto pensare che il "grand-guignol" da lui messo in scena abbia diverso valore e senso - che sia anche riuscito artisticamente, è da discutere. Prova ne è che ad un tratto il bicàpite protagonista s'applica a un monologo che, non fosse lui (in)diviso, sarebbe interiore (intendi: fra sé e sé, tra le due metà che di solito un individuo tiene intere parlando a sé stesso, e nascoste al mondo nella sua mente): nel discorso, esso/i analizza/no le ragioni per cui i cattolici possano sposarsi. E' ovvio che sia il gioco del rovescio: gli argomenti son quelli che ado(p)rano i papisti per vietare a terzi (ai gay, di base) di contrattare un'unione. Ed è anche ovvio che i due-in-uno li applichino, nel mo(n)do rovesciato, agli apostolici romani: come è ovvio che il trattamento mediatico e l'ethos dei protagonisti e dei ghiotti del caso di Cogne - i cui brandelli scelti l'Autore espone - abbiano una carica oscena e putrida che è gemella siamese delle infamità narrate nel testo - solo che queste siamo abituati a nominarle puramente per tali e dunque a riconoscerne esistenza e concretezza, e quelle della pubblica (im)moralità no.
Vedi dunque, Isa, che l'antica arte per la quale a nuora si parla perché suocera intenda, non è morta: però il difetto di questo, come d'altri testi simili, è proprio che l'allegoria è più che scoperta: "il trucco c'è, si vede, e non frega niente a nessuno" (Altan). Che tutto sia sotto i nostri occhi, va bene: che ogni oggetto sia come immerso nella luce di un faro, è troppo. Questo credo potrei consigliare al giovane Autore, e a te che scrittore (ricco) vorresti divenire - e che ho imparato a mie spese: a non metter troppi cartelli indicatori. E pure direi che rimarcare in più luoghi (vedi le pag. 44 e 60) che dei ventenni siano dei "ragazzini", veicola una spiacevole idea, dopo tante arditezze spregiudicate: un'idea di temporanea supinazione - come si sa in anatomia - allo spirito del tempo.
Ti lascio, a goderti i libri, le cassette e i dvd che troverai nel mio pacco. Invitandoti ad avere quella pazienza che è corollario della dote espressa in un motto inglese che tanto amava un grande (anche scrittore) italiano: "ripeness is all". Tuo.
di Marco Lanzòl
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