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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

W.G.Sebald

Secondo natura

Adelphi, Pag. 104 Euro 14,00
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Il 14 dicembre del 2001 un incidente stradale ci privava di uno degli scrittori più incisivi e 'rivoluzionari' del novecento. W.G. Sebald aveva appena pubblicato Austerlitz che Adephi, per fortuna, presentò in Italia poco dopo il triste evento. Libro che, per una sorta di strano destino, era un rendiconto, attraverso una tecnica narrativa straordinaria, della propria esistenza e della ricerca delle proprie radici: ogni cognizione del dolore ed ogni dettaglio convergevano verso l'acquisizione di un sé più profondo e compiuto. Tecnica appunto avvincente come un romanzo giallo, ma 'disposta' secondo dettami classici e inconfondibili: e l'aggiunta di foto, nella consuetudine di Sebald, arricchiva la struttura dandole una verosimiglianza più pregnante.

Curiosamente sempre Adelphi si 'ricorda' di pubblicare, ora, l'opera prima Secondo natura che qualcuno ha erroneamente definito un libro di poesie (vedere su Wikipedia, che sbaglia anche l'anno di uscita che non è il 1998, come indicato, ma il 1988) e che invece è piccola anticipazione delle meraviglie che sarebbe uscite successivamente.

Secondo natura è strutturato in tre parti: la prima è dedicata alla tragica vita del pittore Matthaeus Grünewald (non era forse un pittore Max Feber, compagno di lunghe conversazioni serali di Sebald a Manchester e protagonista, insieme ad altri tre, de Gli emigrati?), l'autore della splendida pala d'altare di Isenheim e del Cristo deriso. Attraverso una lingua che sì visivamente può ricordare un componimento poetico, ma ha la scioltezza e l'esplicita nettezza di una narrativa senza indebite sospensioni, cerca di ricostruire una vicenda (Poco si sa della vita di Matthaeus Grünewald da Aschaffenburg. Il primo resoconto sull'artista nella Teutsche Academie di Joachim von Sandrart datato al 1675, esordisce osservando che l'autore non conosce uomo al mondo capace di fornire, su mano tanto encomiabile, testimonianza scritta ovvero orale) attraverso pochissimi segni, ma sufficienti per individuare una dolorosa esistenza fatta di incertezze (...perché il pittore, in seguito vissuto da recluso e semiclandestino, si sottrasse egli stesso al riconoscimento della comunità e anche perché, stando ai suoi quadri, aveva un occhio più sensibile agli uomini) e di situazione al limite della condizione clinica, come la presenza di un misterioso doppio nella vita di Grünewald nella terrificante descrizione di opere tra le quali, appunto, la pala d'altare di Isenheim.

La seconda parte di Secondo natura tratta del viaggio dell'esploratore e medico settecentesco G.W.Steller (curioso come le iniziali siano le stesse, ma invertite, dello stesso Sebald) alla scoperta, con Vitus Bering, dello stretto marino fra i ghiacciai della Siberia e dell'Alaska. Ecco come l'autore descrive le prime impressioni che ricevettero gli esploratori di quelle nuove terre: Un cielo nero incombeva ora sul mare, e i picchi sfrangiati dell'Alaska, coperti di neve, si esibivano, questo parve a Steller il termine adatto, nelle sfumature del rosa e del viola. Vitus Bering, che per tutto il viaggio era rimasto disteso nella sua cuccetta, fissando il soffitto di travi, salì per la prima volta sul ponte richiamato dalle incessanti grida di giubilo dell'equipaggio e, in preda al più cupo scoramento, contemplò quello spettacolo.

Ma è soprattutto la terza parte di Secondo natura che ci convince dell'esistenza di un sottilo filo conduttore che ha sempre legato tutte le opere di Sebald: di una rapida autobiografia (Fin dove bisogna retrocedere per incontrare l'inizio? Forse sino a quella mattina del 9 gennaio 1905), di una nascita sotto le bombe, in un mattino di primavera, delle peripezie della sua famiglia e dei vagabondaggi in Europa.

Tornano, in questo semplice e breve spaccato, davvero tutti gli elementi che hanno fatto grande la letteratura di Sebald. La guerra (Nella notte del 28 582 aerei sferrarono un attacco su Norimberga. La mamma, che l'indomani voleva tornare a casa nell'Allgäu, non arrivò col treno oltre Fürth. Di là vide Norimberga in fiamme...). Come non confrontarlo con l'agghiacciante realtà di Storia naturale della distruzione (Nossack racconta che, tornando ad Amburgo pochi giorni dopo l'attacco, ha visto una donna lavare accuratamente i vetri in una casa 'rimasta isolata ed intatta in mezzo al deserto delle macerie... Credevamo fosse impazzita) in cui l'autore affronta il problema, tutto tedesco, della rimozione del problema dei bombardamenti subiti dalle città del Terzo Reich.

Un altro elemento imprescindibile dell'arte di Sebald è la sensazione di straniamento del cittadino, dell'uomo, di fronte alla tragedie (A lungo vagai allora per i Campi Elisi, coperti di stoppie, guardando attonito l'opera della distruzione, il nero dei mulini e dei canali navigabili) e che si avverte chiaramente in quest'opera 'giovanile (relativamente giovanile, dal momento che uscì nel 1988 quando l'autore aveva già 44 anni), ma soprattutto ne Gli emigrati, monumento dello spaesamento e del vagabondaggio di un'intera comunità: quella ebraica.

La lettura di Sebald è un incontro con un autore lucido: attraverso una manciata di romanzi ha tentato la carta della ri-costruzione di un'identità (individuale e collettiva) che solo un cieco o un ingenuo può pensare troppo personalistica. Una lezione straordinaria in questo periodo (soprattutto italiano) di regionalismo, di dialetti e anche di falso e retorico internazionalismo.





di Alfredo Ronci


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