Racconti
Termiti
Chissà, forse un giorno la mia voce arriverà su quella strada senza tempo, senza spazio. Forse sarà lì domani, forse fra cent'anni. Ma sono sicuro che, una volta arrivata, avrà incontrato ciò che avrei voluto incontrasse. O meglio, la persona che avrei voluto incontrasse. Sì, perchè su quella strada senza tempo si muove un uomo.
Uno sconosciuto.
Un senzatetto.
Un vagabondo.
Un clochard.
Pachiderma
Sono le 6 e 58 di mattina. Fuori piove. E' ancora buio, ma non per molto. Il sole sta iniziando a colorare il cielo di giallo intenso. Un giallo intenso che però è sporcato dai nembi scuri che sovrastano ogni cosa. Il vento muove i rami degli alberi che di tanto in tanto toccano i vetri della mia finestra. Io sono a letto. Occhi spalancati. Mal di testa. Saliva pastosa e alito di fogna.
Non sono riuscito a dormire. Non sono riuscito a dormire neanche questa notte. Niente. Non dormo mai. Solo un paio d'ore, forse, quando capita.
Il tramite
Si accese una sigaretta, e subito la allontanò dalla bocca tenendola tra le due dita. Gli piaceva osservare il primo filo di fumo che, come un colpo silenzioso di tosse, si leva dalla brace illuminata.
"Che cazzo di freddo..."
Un freddo che si infilava coi suoi rigagnoli dappertutto, come il fumo. Restò per un attimo a immaginare la bava sottile che lasciava la sigaretta e iniziava a spaccare il gelo della stanza, come una manciata di liquido caldo gettata in un secchio ghiacciato.
Una camicia nuova di zecca.
Quando, nel bel mezzo del bar affollato, l'uomo in camicia a scacchi gialli e viola sbraitò al suo amico con faccia truce: "Ho ammazzato cinque vacche la settimana passata!", Giacomo Berilli, psicologo della Cattolica, rifletté sul fatto che il contadino ruspante se ne fregava totalmente della sensibilità altrui. Giannina Picchi, maestra elementare, corresse mentalmente la frase con una matita blu: osservò che avrebbe potuto usare "ucciso" al posto di "ammazzato", "mucche" al posto di "vacche", e, a voler essere pignoli, "la settimana scorsa" invece di "passata".
Per ingurgitare pezzi di me
Potevo percorrere con le dita la distanza, il confine pallido, ma profondo, che avevamo scavato tra i nostri corpi rigidi. Non c'era più il tocco lieve del calore quotidiano. Freddo, sentivamo gli arti intorpiditi e duri. Se mi avessero reciso le dita non avrei provato dolore. Ciò che importava adesso era scegliere. Resistere o partire? Chiudere gli occhi o cercare? Estranee, ci difendevamo con ostinazione dal desiderio. Non sentivamo le nostre voci, avevo persino dimenticato la forma perfetta dei suoi seni. Non m'importava percorrere i ricordi. Ero decisa a sopravvivere scordandomi di noi. La sofferenza era il mio unico nutrimento. Come avremmo potuto imparare a cedere il tormento in cambio della felicità?
Punti di vista.
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Camminavano lentamente spalla a spalla, come se avessero voluto proteggersi l'un l'altro dalla pioggia e dal vento che gli piombavano addosso in continuazione. Le strade erano deserte e tutta la città era avvolta da una cupo grigiore tipico delle piogge invernali, e l'uomo biondo pensò che forse il mondo era finito.
Fuori scena
Veramente ho sempre avuto un'affinità per la tragedia, per le situazioni complesse e drammatiche, quelle nelle quali tendi ad essere molto più che uno spettatore partecipe, e diventi piuttosto un protagonista dei tormenti umani dei parenti, degli amici, persino dei vicini di casa.
Proprio per questo il dramma mi appartiene. Anche da piccolo mi muovevo a mio agio tra le lamentele della nonna che non era mai soddisfatta della propria evacuazione quotidiana,
Nel parco
Cielo terso, aria di quiete, i fiori sul balcone: gialli, viola, colorati come un carnevale. Gli uccelli che trillano volteggiando sopra i tetti, il sole che torna a splendere, Maggio. Il mese perfetto, a metà strada tra il troppo dell'estate e il nulla dell'inverno; il mese della rinascita, delle serate all'aperto, dei vestiti leggeri, della voglia di risvegliarsi dopo il lungo letargo. Maggio è un invito, una promessa, un nuovo inizio sempre migliore, sempre carico di speranza; è il mio mese preferito.
Il missionario della scrittura
Un po' di tempo fa, in una cittadina del sud della Francia viveva uno scrittore sfortunato che si chiamava Frank Iodice. Era alto due metri e quaranta, aveva i capelli viola, che era il colore che si portava di più in quell'epoca, e aveva un paio di gambe tutte muscoli e nervi che facevano impazzire le commesse della sua città. Frank aveva coltivato fin da bambino un sogno un po' matto, quello di scrivere la storia della sua vita e farla leggere ai cittadini dell'intera Francia.
Gieffe
Un mondo a strisce di cobalto, io ho visto.
Luci accese negli specchi, io ho visto.
Ora poso i piedi sulla moquettes celeste di questa casa così fisicamente irraggiungibile, così sezionata, un modello 3D spezzato in caleidoscopici cortometraggi lunghissimi...
Sono qui. E sento il vostro silenzio.
Il silenzio incredulo e morboso di milioni di persone.
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