Cinema e Musica

Sorpresa! Ancora anni'80, ma stavolta con gli originali Cars di Ric Ocasek.
Secondo me sono in pochi quelli che non conoscono la canzone "Drive", una delle hit anni '80 più suonate di sempre, tutt'oggi in programmazione regolare su tantissime radio. Fu uno dei pezzi più romantici e di genere di tutto il decennio. Era farina del sacco di Ric Ocasek e compagni (Greg Hawkes, Eliot Easton, David Robinson), in arte Cars, la rock (pop) band americana di Boston che nel 1984 raggiunse una fama planetaria con l'album Heartbeat City.

Sono davvero i nipotini degli anni sessanta: Mini Mansions.
La questione non è di oggi. E nemmeno di ieri. Ma sarebbe? In pratica che tutto quello che c'era da dire in musica è stato già ampiamente espresso (e non solo in musica). Viviamo di conseguenza nella speranza di una fioca luce, di un raggio improvviso, di uno squarcio di sereno, di un'inaspettata esplosione di colori. E qualche artista fuori dagli ingranaggi del potere asfissiante.
Solite pippe, che spesso passano ai lettori per nostalgie da vetero-hippie (!), se non tristezze da uomo malinconico.

Joseph Arthur. 'The graduation ceremony': che noia mortale!
- Dottore ho assolutamente bisogno di lei!
- Cosa c'è che non va?
- Tutto. Sto male di nuovo.
- Ma sta seguendo la terapia?
- Alla perfezione.
- E dunque?
- Fondamentalmente mi sento instabile.
- Quante gocce prende di Lorazepan?

Il pop rock melodico dei Death Cab for Cutie, tra disimpegno e voglia di cambiare.
Onda Rock, col suo solito piglio snob, ci dice che il gruppo ormai ha perso tutto quello che aveva acquisito nei sei album precedenti. Ci dice che non va bene che hanno fatto un pezzo per la colonna sonora di Twilight, ci dice che va malissimo il fatto che li abbia prodotti Alan Moulder (Arctic Monkeys e White Lies). Sarà. A me questo settimo album in studio dei Death Cab for Cutie, Codes and keys piace, eccome. Siamo in terreni già sentiti, certo. 'Codes and keys' (Travis?) e 'Some boys' non spiccano per originalità, eppure si fanno canticchiare, coinvolgono.

Solo un disco per non morire: 'Generation indigo' di Poly Styrene
Della morte di Poly Styrene ne hanno parlato davvero in pochi. Ne hanno fatto cenno quei giornali che credono ancora nell'azione salvifica della musica e che hanno un rapporto diretto con gli artisti ed eventi meno mercificati della piazza. Eppure lei era stata l'eroina di un grido punk generazionale, insieme al gruppo degli X Ray Spex, che aveva attraversato il mondo ('Germ free adolescence') e anni dopo aveva tentato la carta della fascinazione con un album soffice ed onirico Translucence, che aveva spiazzato chi si aspettava il fuoco della distruzione o quanto meno il grido ribelle di un'anima in pena.

La ragazza scherza col fuoco: 'Lifelines' di Andrea Corr.
Quel che diciamo nel titolo è verissimo: la ragazza sta scherzando col fuoco e non sappiamo fino a che punto se ne renda conto. E si sa, se scherzi prima o poi ti rimangono i segni. E ci dispiacerebbe: lei è tanto bellina – lo dimostra il primo piano in copertina – e ha anche l'atteggiamento da femmina un po' fatale... peccato quella voce di cotone.
Intendiamoci: nulla da obiettare sulla voce – ognuno ha quello che madre natura regala – ma ho sempre pensato che ogni impostazione necessiti un repertorio

Gli Alieni sono cattivi, e in combutta coi governi, parola di "6 giorni sulla Terra"
L'idea è semplicemente straordinaria. La riuscita, almeno in parte, non all'altezza delle aspettative. Va comunque premiato il coraggio, soprattutto perché il cinema italiano ritorna a perlustrare quei campi, come la fantascienza, da cui era ormai assente ingiustificato da anni (tutti presi com'erano questi registi "autori" a sfracellarci le budella coi film impegnati sul sociale, sul disagio giovanile, sulla real politik del nulla e sulla sciatta commediola zelig).

Il fascino dell'immediatezza: 'Ukulele songs' di Eddie Vedder.
Che palle il critico. Non gliene va bene mai una. Figuriamoci poi con un disco così poco studiato ed 'incompiuto'. Perché hai voglia a dire, Ukulele songs è un'opera incompiuta, ma non perché non sia finita, ma perché la sua apparente imperfezione nasconde invece l'amore per le cose, e in questo caso, per la musica.
E' un disco settimino no? E su i figliocci prematuri c'è sempre da discutere, nel migliore dei casi, se non addirittura 'tremare' per la possibilità che non riesca a sopravvivere.

L'elogio dell'immagine: 'Claire Denis film score 1996-2009' dei Tindersticks.
La domanda è lecita: cosa può un film senza musica? E ancora: quanti compositori hanno 'sposato' registi? La prima ci sembra ovvia, ma non esente da ulteriori interpretazioni. L'altra dipende anche e soprattutto dal grado di conoscenza delle cinematografie. Ma è indubbio che se pensiamo a Rota ci viene in mente Fellini, se pensiamo a John Williams lo colleghiamo a Spielberg, se ci soffermiamo su Anghelopoulos non possiamo non ricordare Heleni Karaindrou, e se omaggiamo Bertolucci il pensiero va a Sakamoto.

Un dylaniano poco dylaniano: 'We live on Cliffs' di Adam Haworth Stephens.
Ci mancavano pure i settant'anni di Dylan (se volete divertirvi con qualche curiosità o suggerimento sull'uomo cercate il pezzo che ha scritto Bertoncelli su del rock.it). Non per altro: se i tuoi beniamini ormai veleggiano tutti oltre i settanta appunto qualcosa vorrà pur dire. E sulla nostra strada se ne incontrano sempre più spesso.
Ma non siamo nostalgici (anche se l'attualità insiste ancora sui Doors, perché è in uscita When you're strange, il documentario sulla band californiana che esce a 40 anni dalla morte di Morrison),
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