Cinema e Musica
I rumori del mondo nella calma di Cristina Donà: 'Torno a casa a piedi'.
Anche lei ha avuto un figlio, ma non ci ha scassato le palle come la Nannini: non si è fatta fotografare col pancione, non ha negato la paternità, e non ha fatto un disco sulla bellezza della nascita perché si sa, anzi tutto il mondo sa, che prima di lei miliardi di donne hanno fatto la stessa cosa con discrezione e senza sbandierarlo ai quattro venti.
Certo, anche la Donà s'è sentita coinvolta dall'evento, ma l'accenno è pacato e più lucido: 'Bimbo dal sonno leggero' più che sulla meraviglia del creato e del creare, è una saggia considerazione sulla durezza della vita.
Attenti all'underground romano. È pieno di talenti introversi, come i Dolcevena.
Non li sentirete in radio purtroppo. Il loro disco, il terzo album in studio, Etymology, è auto-prodotto. Magari lo trovate su internet (http://www.myspace.com/dolcevena), lo comprate su I Tunes. Vale la pena. Il loro è un rock grezzo, viscerale, psichedelico e la voce di Simone rende i pezzi tremendamente romantici, a volte strazianti. È quel tratto che, nell'underground romano, li caratterizza fortemente. I brani di questo nuovo album dei Dolcevena sono, in linea con il precedente The looking glass self,
Lagna o classe? Mica facile con 'Horses and high heels' di Marianne Faithfull.
Titolo provocatorio perché madama Marianna non merita epiteti lamentosi: la voce, così screziata e vissuta, è ancora un monumento all'espressività (vista poi com'è brava come attrice?) e pure le canzoni che sceglie (o che compone) non sono mai né piagnistei né tanto meno spia di banalità... però qualcosa va detto.
Easy come easy go, il precedente lavoro, c'era sembrato un'ancora di salvataggio
Il fascino acquoreo di Giuseppe Righini: 'In apnea'.
C'è scritto sul retro dell'elegante cd: Selezionato dal premio Tenco e dal Mei (Meeting degli indipendenti). Si sa, noi siamo orchi e paura non abbiamo e quindi insinuiamo: ma siamo davvero sicuri che il premio Tenco sia sinonimo di qualità a tutto tondo? Spesso e volentieri la manifestazione è una lagna indigeribile di cantautorato vecchio e trito (per poi ritrovarci a Sanremo un Vecchioni, eroe del Tenco, vecchio e trito e appunto lagnoso e dover leggere che quest'anno c'è stata una rivoluzione in merito...)
Come in letteratura, il talento par essere dappertutto: 'Seasons of my soul' della Rumer è carino, ma dov'è la dote?
Non ci si dica che siamo noiosi e ripetitivi, ma anche per Rumer il discorso è quello che si sta facendo, su queste colonne, da un po' di tempo ormai. E riassumiamo sintetizzando in due principali domande: perché mai sembrerebbe (e non lo è) che la produzione indipendente sia più creativa di quella multinazionale? (Anche se non è questo il caso, vista la label multimilionaria della cantante) Perché mai, in questo secolo di cloni e di uggia, escono milioni di dischi e molti sembrano essere capolavori?
Anna Calvi: qualche fantasma rock, ma il discorso sempre quello è!
Dicevasi tempo fa e ponevacisi domanda non pellegrina (sempre tempo fa, ma non molto): ma la musica indipendente quanto vale? Ma ha anche senso porsi una domanda del genere? Ma i dischi che invadono le classifiche possono essere valutati serenamente al di là della spinta pubblicitaria? Gli eroi del rock, in un'epoca come questa, quanto sono credibili e spendibili? Jim Morrison era più 'vergine' di Robbie Williams? E Daniel Johnston quanto è più 'alternativo' di Ligabue?
Perché il discorso, a proposito di Anna Calvi, sempre quello è.
Con un colpo di classe, Thom Yorke trasforma i Radiohead ancora più a sua immagine. È lui 'The king of limbs'.
Vi ricordate The Eraser? Era l'album solista di Thom Yorke, leader e cantante dei Radiohead, uscito qualche anno fa prima del penultimo album della band dell'Oxfordshire, In Raimbows, targato 2007. Era un album ipnotico, mid-tempo, drum'n'bass, sincopato. Non una gran riuscita ma la sua voce spiccava in maniera più insolita e almeno tre brani erano delle perle che facevano intravedere il loro scintillante valore. A quattro anni di distanza da In Raimbows, i Radiohead tornano a pubblicare (prima di tutto, come già per l'altro, on line)
'Nella terra dei pinguini' il disco più pattipravesco della 'divina'.
A Sanremo ha fatto pena (come pena fece nel 2009 con 'E io verrò un giorno là). Ci si chiede: come può un'artista con quasi quarant'anni di carriera alle spalle cantare a quel modo? Passi l'abbassamento di voce, ma l'intonazione? Nella seconda serata ha sbagliato completamente l'entrata della strofa successiva al ritornello: quasi agghiacciante. Considerando che da giovane ha studiato conservatorio, le cose son due: o era fatta o ha dimenticato le nozioni più spicce di musica e canto.
La regina del rockabilly è tornata, pazza e geniale: 'The party ain't over' di Wanda Jackson.
C'è una pubblicità della Citroen in cui un sorridente John Lennon invita gli ascoltatori a mettere da parte la nostalgia per gli anni sessanta e settanta, e vivere nel presente. Non ci voleva certo il povero beatle a sentenziare una sesquipedale sciocchezza. Ma in alcuni casi il passato, attraverso una riverniciatura azzeccata, può risplendere ed avere la stessa allure; quando poi riesce addirittura a dare uno scossone alla noia, siamo di fronte non ad un'operazione nostalgica, ma ad un vero e proprio colpo di genio.
L'immarcescibile psichedelia elettro rock dei Mogwai partorisce un album perfetto. Toccante.
Sarà che la musica forse mi accende dei facili entusiasmi. Più della letteratura. (Infatti più che lo scrittore avrei voluto fare la rockstar). Ma sentire il settimo album in studio degli scozzesi Mogwai ed emozionarmi ancora è qualcosa che mi tocca, mi fa star bene, mi esalta, mi ridà speranza nella musica. Hardware will never die, but you will (titolo eccezionale), è un disco d'atmosfera, ipnotico. Meno arrabbiato rispetto, che so, a uno Young Team o Come on die young.
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