Cinema e Musica

Natacha Atlas, la nuova Oum Kalthoum? 'Mounqaliba' l'opera ultima.
Qualcuno potrebbe dire che bestemmiamo e gli arabi più conservatori potrebbero giurare che nulla può essere avvicinato a Oum Kalthoum, la più grande cantante egiziana del secolo scorso. Ma tra le due, a parte il momento storico, intercorre una linea comune: innanzi tutto l'amore per le altre culture (la Atlas è nata a Bruxelles, quindi belga, di lingua francofona, la Kalthoum, grazie all'interessamento del poeta Ahmed Rami, studiò per anni la letteratura francese)

L'eterna vita del lord della dance stilosa, Bryan Ferry
L'ultimo album l'aveva pubblicato alla fine del 2006. Un lavoro di cover di Bob Dylan rivisitate con il suo tipico dandysmo vampiresco. A quattro anni di distanza, è uscito il tredicesimo album di questo straordinario e poliedrico musicista inglese (ma non londinese), Bryan Ferry, già leader della storica band dei Roxy Music. Titolo molto molto dandy, Olympia. L'album parte in maniera folgorante con il singolo You can dance.

Quando l'indie, assai spesso, è soporifero: 'Philarmonics' di Agnes Obel.
E' una vecchia questione: ma la musica indipendente quanto vale? Ma ha anche senso porsi una domanda del genere? Ma i dischi che invadono le classifiche possono essere valutati serenamente al di là della spinta pubblicitaria? Gli eroi del rock, in un'epoca come questa, quanto sono credibili e spendibili? Jim Morrison era più 'vergine' di Robbie Williams? E Daniel Johnston quanto è più 'alternativo' di Ligabue?
Potremmo farci notte a rispondere. Ritorno alla prima questione: e qui mi sento di dire che l'indie è attendibile se defilato da un'innata propensione alla sperimentazione a sé stante.

Oh quante cose fa fare l'amore: 'Fidelity' di JP. Chrissie & The Fairground Boys.
Intanto capiamoci con le sigle: JP sta per JP Jones (che non è quello dei Led Zeppelin), cantautore gallese che hai voglia a dire che ha la voce rauca da crooner, ma a me ricorda i singulti burinozzi di Bon Jovi. Chrissie sta per Chrissie Hynde , l'ex leader dei Pretenders, fascinosissima singer che meriterebbe l'eternità solo per aver scritto una canzone come 'I'll stand by you' la quale ha dato la possibilità a Patty Labelle, in occasione di un tributo alle Destiny's Child, di trasformarla in un sanguinoso gospel. The Fairground Boys è un quartetto rock che accompagna degnamente i due.

Cappelli piumati, porsche e ora perfino elicotteri. A voi il solito, grandioso, Jamiroquai.
Sarà che quando l'ascolto mi sento sempre in vacanza. Al mare, in spiaggia, in luoghi bellissimi e incontaminati. Sarà che la carica energetica che riescono a infondere i suoi ritmi funky (qualcuno direbbe acid jazz) sono ancora inimitabili (e inimitati). Così, anche per questo settimo album in studio di Jason K in arte Jamiroquai, registrato in parte nel suo studio di casa nel Buckinghamshire, in parte nell'Oxfordshire e in parte in Tailandia, mi ritrovo a parlare di un gioiellino, un disco che rimarrà un classico della sua produzione e del genere.

Repertorio immortale, interprete prodigiosa: 'Canzone napulitana' di Lina Sastri.
Non è la prima volta che la Sastri, attrice intensa, si dedica alla canzone napulitana: e i risultati sono sempre stati altrettanto intensi. Stavolta con l'aiuto di Vincenzo Mollica (gli si può dire tutto, che le sue critiche musicali sono solo marchette, ma l'uomo ha una sensibilità fuori del comune. Come quando curò la collana di cd musicali dedicati ai nostri più grandi attori) che le cuce addosso un dvd delle sue apparizioni televisive e, con un gruppo selezionato di musicisti di talento finissimo che l'accompagna in un disco memorabile, la Sastri, al suo meglio, ci regala una perla di inestimabile valore.

Il rumorista con la voce di agnello: 'The noise' di Neil Young
Nonostante tutto è sempre stato un punto di riferimento, e ci mancavano pure i punks (plurale) a dire che Nello Giovane era ancora una fiamma che ardeva e che la ruggine non dorme mai.
Lui però ne ha fatte di tutti i colori: abbastanza coerente nelle prime due decadi di attività (tanto che qualche critico in vena di malignità – e si sa che a malignare si fa male, ma si dice spesso la verità – affermò che se si mettevano in fila tutte le canzoni composte dal nostro, a mala pena si riusciva ad assemblare un unico disco, tanto si assomigliavano), dalla fine degli anni ottanta ha cominciato ad agitarsi.

È nata una stella, Jo Hamilton, ma in Italia non se ne sono accorti
Altro che Bjork (qualcuno ha osato paragonarcela). Qui siamo in presenza di una nuova Annie Lennox. Soave e sublime. Un'artista sontuosa dal punto vista vocale, originale e trascinante, intensa e leggera da quello musicale. Jo Hamilton, d'origini scozzesi ma residente a Birmingham, è uscita a settembre con un sorprendente album d'esordio e ha cominciato a girare su internet con una pagina web (questa http://johamiltongown.bandcamp.com/)

Quando l'indie incontra la tradizione: 'You are not alone' di Mavis Staples.
Diciamocela tutta: se non sopportate le negrone che si rivolgono in continuazione a Dio e che sembrano sempre illuminate dalla luce divina come lo erano i Blues Brother nel film, beh lasciate stare. Qua di Gesù Cristi, di Signori, di folgorazioni sulla via di damasco ce ne sono a iosa e alla fine mettono alla frusta pure l'ascoltatore più devoto.
Ma lei è Mavis Staples e chi le produce l'album è Jeff Tweady dei Wilco

Timothy, un talento nei talenti dell'underground romano. "Some page quarters" suona american indie d'autore.
E' bello poter parlare in maniera positiva della musica italiana. Soprattutto quando è romana e viene eseguita in lingua inglese, soprattutto quando si lega alla grande tradizione del rock d'autore, a metà fra le classical ballads dei cantautori americani e l'indie degli anni novanta. Timothy, al secolo Tiziano Russo, bassista di quella grandiosa band romana che sono i Dolcevena, sforma il suo primo lavoro individuale, interamente auto-prodotto, auto-distribuito e auto-realizzato, con una raffinatissima veste grafica in cartonato bianco.
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