I Classici
Profumi di un tempo che fu: 'Un po' di febbre' di Sandro Penna.
Scrive il poeta a fine libro: Questa silloge di racconti e foglietti sparsi, che da tempo giacevano in un angolo di casa mia, i pochi amici richiedevano con amorevole sollecitudine alla mia pigrizia, vincendo infine le ritrosie a pubblicare ed anche semplicemente a ripercorrere volti e momenti di una vita che mi apparteneva. Poi mi son detto che, se non altro, queste pagine attestano un rapporto febbrile con la realtà e con il mio lavoro di poeta e le ho sistemate, non secondo un ordine cronologico, poco rilevante, ma una progressiva chiarificazione; per il lettore ovviamente e non per me.
Le violenze del tempo nella letteratura di Giovanni Arpino: 'Un delitto d'onore'.
Al premio Strega del 1964 L'ombra delle colline e al breve ma intensissimo La suora giovane abbiamo preferito, tra la consistente produzione di Arpino, Un delitto d'onore.
Essenzialmente per due motivi: il primo riguarda la tematica del romanzo, appunto il delitto d'onore che, eliminato dalla nostra giurisprudenza solo nell'agosto del 1981, quando già la legge sul divorzio e quello sull'aborto erano capisaldi della storia sociale del nostro paese
Giuseppe Mazzaglia e l'ossessione per i quarti di carne: 'Principi generali'.
Sorprende, parzialmente, che le edizioni ISBN, nella collana Novecento italiano, ripubblichino Giuseppe Mazzaglia. La parzialità non sta nell'offerta, ma nella riscoperta.
Sì perché lo scrittore catanese, nel nostro panorama letterario, è un oggetto non identificato, una sorta di ufo che ha volteggiato nei nostri cieli (solo quattro libri) ma non è mai atterrato tra i comuni mortali. Eppure delle ossessioni di quest'ultimi ne è cinta la testa: e se si scoprono le carte e se si confessa che è il sesso a farla da padrone, meglio ancora, la fisima per il femminile gigantesco e felliniano
Il falso neorealismo di uno spirito inquieto: 'Un gatto attraversa la strada' di Giovanni Comisso.
Mi sono sempre chiesto il perché del premio Strega del 1955 ad un libro come questo: una sorta di scommessa con la vita, ma lontano dalle urgenze autobiografiche tipiche della prosa di Comisso.
Perché se da un lato vi è una visione, come detto nel titolo, falsamente neorealista (e spiegheremo perché) dall'altro c'è anche un distacco più che evidente dai lacci della propria esperienza.
C'è una bellissima definizione di Piovene di questo libro e dell'arte di Comisso di trattare i personaggi: Il suo modo di avvicinarli è totalmente anarchico e il suo senso dell'umanità è stradale.
L'ananché di un povero disgraziato: 'Novella storica' di Vittorio Sermonti.
Di storico c'è l'impianto: e permettetemi la battuta, quello sportivo e quello linguistico. Sportivo perché il giovine Sermonti (neppur tanto, trentasettenne nel 1966, anno di uscita del libro) ambienta la vicenda nella Roma olimpica del '60 e di conseguenza nelle strutture atte alle imprese degli atleti. Dice della gara il protagonista (pure del sottotitolo: 'su come Pierrot Badini sparasse le sue ultime cartucce'): Avrebbe pensato l'Olimpiade essere una universale partusa, all'occasione della quale l'umanità tutta quanta è, nei suoi meglio specimina esemplata, corporalmente si mescola s'impasta si squatra e si tira,
Attenti a Chiara. Non è solo il cantor della provincia: 'Il cappotto di astrakan' ne è la riprova!
L'uniformità di contenuti non è, nonostante tutto, la miglior chiave di lettura per comprendere Piero Chiara. Serpeggia anche nei suoi estimatori, sempre e costanti nel tempo, questo concetto essenziale, che è riducibile ad una calcolata opzione per il marginale, ad un'insistente attenzione per la quotidianità, ad una predilezione per il 'canone' comico e ad una innata tendenza per il provincialismo e per i tratti ad esso riconducibile: trasgressione, insinuazione e pettegolezzo. Tanto che i più attenti lettori di cose nostrane (pochissimi!) al richiamar di Chiara accoppiano Facco de Lagarda
Un tributo: Emanuele Artom. I diari.
Nel giorno della memoria si dimentica spesso Emanuele Artom. Forse perché ebreo sì, ma partigiano. Meglio ancora: nella suddivisione a compartimenti del dolore o si appartiene ad una categoria o ad un'altra. Sarebbe ricordata la sua figura, a imperituro ricordo, se fosse stato deportato (rischio a cui andò incontro spesso) e finito in un campo di concentramento. Morì invece, perché sfinito dalla sevizie e dalle violenze a cui fu sottoposto sin dal giorno della sua cattura il 26 marzo del '44, il sette di aprile dello stesso anno.
Opera memorabile e proto fantozziana: "Misteri dei ministeri" di Augusto Frassineti.
Mescolanza al fulmicotone di Villaggio, Campanile, Malerba, Cavazzoni (ma non aspettatevi che inserisca Benni, lo detesto), ma la prima edizione di questo capolavoro risale al 1952 (Guanda) e fu solo l'inizio di un percorso che si concluse con l'edizione da noi considerata e che ebbe risonanza adeguata e giusta grazie anche alle note di seconda e terza di copertina di Calvino. Che diceva: (Frassineti) prende di petto il nodo più doloroso che impastoia la vita italiana, il male più incancrenito da cui nessun cambiamento di regime o d'istituti è riuscito a liberarci: l'assurdità burocratica.
Il Caligola di Camus
Caligola un giorno disse che i senatori erano tutti asini, e tempo qualche ora tutta Roma seppe che aveva nominato senatore un asino: Caligola era nato per creare leggende e diventare un mito, e Camus, con il suo occhio lungo di uomo abituato al deserto e alle riflessioni che sconfinano, dietro il suo mito scorse coscienziosamente quello del Dioniso nicciano. Lo scrittore svilupperà questa riflessione mitologica nel corso di un travagliato lavoro di riscrittura che, dal 1937 al 1958, lo porterà a redigere tre diverse versioni della sua opera teatrale.
L'universo 'glaciale' di Alice Ceresa: 'Bambine'.
Nelle bocche degli stolti, di questi tristi tempi, sciabordano parole come 'rispetto della vita', 'famiglia', 'Dio', 'religione' (e per i più nostalgici 'patria'): per placare le loro ire da erinni basterebbe confutare l'ipotesi (ma son certezze) che sugli imprevedibili comodini di siffatta umanità nulla è più prevedibile dell'assenza di confronto culturale e quindi di un buon libro.
Perché, ci si chiederà? Perché la buona letteratura ha sempre raccontato la famiglia, ma quasi sempre dal lato di una decostruzione dell'istituzione stessa: mica per sfizio, solo per realismo non esente poi da buoni sentimenti e a volte lieto fine.
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