I Classici

Un attrazione fatale 'di regime': 'Il deserto del sesso' di Leonida Rèpaci.
Il libro ha una sua ambizione: di dire le cose del sesso come sono, senza ambagi, senza la solita ipocrisia che le vorrebbe soltanto accennate, per poter muovere, su un terreno di complicità allusiva, la fantasia.
Così scriveva lo stesso Rèpaci nell'introduzione alla presente edizione, a ribardir anche l'eccezionalità dell'evento: perché Il deserto del sesso fu opera prima processata per immoralità e successivamente assolta con formula piena dalla Magistratura di Milano, ma di più (perché le diatribe legali non hanno nulla a che vedere con le potenzialità letterarie di un libro)

Lo scrittore della morte e delle ossessioni: Dario Bellezza e 'L'amore felice'.
Devo essere sincero: non ho mai amato Bellezza né come poeta né come scrittore, riconoscendo tuttavia l'alta tessitura del 'fraseggio'. Motivi di questa incomprensione forse la stessa per cui Busi, negli ultimi anni di vita del poeta romano, vi si scagliava contro anche con inusitata autorità.
Ne aveva ben donde: contro la gioiosa macchina da guerra sessuale dell'autore di Sodomie in corpo 11, Bellezza contrapponeva un'omosessualità vissuta allo stesso modo pericolosamente, ma come vista e 'sentita' attraverso il buco della serratura.

Come una casa solida durante un terremoto: 'Una lunga pazzia' di Antonio Barolini.
In prima edizione nel 1962 Una lunga pazzia rappresentò una sfida: il neorealismo era ormai discorso chiuso. Qualcuno lo decretò morto dopo i fatti d'Ungheria che rappresentarono una sorta di 'diktat' alla voglia di utopia, mentre l'anno successivo si prestò alla nascita di un movimento che avrebbe messo in discussione il romanzo come forma assoluta d'espressione ed i suoi padri putativi.
Fu provocazione, protesta, o solo espressione di un'arte ormai consolidata quella di Antonio Barolini nel pubblicare una storia che ricordava Verga, il verismo in genere se non addirittura la sbandata appendicista?

Una piccola grande storia d'inganno: 'La suora giovane' di Giovanni Arpino.
Mi è capitato, recentemente, di verificare la grandezza de La suora giovane con un mio collega avanti con gli anni. Quando ha saputo che ne avrei parlato s'è compiaciuto, ha sorriso e poi ha cominciato a raccontar la trama come se avesse chiuso il libro minuti prima: lo aveva letto da giovane e rimasto folgorato.
Ormai è un dato di fatto che il romanzo di Arpino sia considerato, dai più, come l'opera più riuscita e toccante dell'intera sua produzione, una storia che per la sua semplicità e per la commistione di elementi sociali e di magnetismo rappresenta anche una chiave di volta per rappresentare un paese nella sua fase massima di ricostruzione.

Gli anni grigi di uno scrittore per caso: 'La gioventù perduta' di Beniamino Dal Fabbro.
Vero, Beniamino Dal Fabbro fu scrittore quasi per caso. I suoi esordi lo videro poeta e solo il confronto con una giovinezza mai risolta e per certi versi misteriosa lo portò a scrivere il libro in questione.
Curiosamente lo scrittore bellunese è famoso per altri accadimenti: negli anni cinquanta divenne critico musicale per testate importanti (una delle sue innumerevoli attività: fu anche pittore, oltre che poeta e scrittore, esperto di letteratura francese e traduttore) e nel '59 fu trascinato in tribunale per un processo di diffamazione intentato dalla Callas.

Che donna e che tragedia: 'L'Orchidea' di Sem Benelli.
Ruggero Zangrandi che, col suo imponente Il lungo viaggio attraverso il fascismo, enumerò vizi e virtù dell'intellettualismo sotto il regime, non aveva una grande considerazione di Sem Benelli, e s'infastidì soprattutto quando il commediografo, pur valendosi dell'etichetta di antifascista, aderì con entusiasmo alla politica mussoliniana contro le inique sanzioni.
Sem Benelli non era un vero e proprio oppositore al fascismo: semmai era un intellettuale che con intelligenza aveva intuito la forza del nuovo secolo e con essa gli stimoli che ne derivavano.

Novella di guerriglia e dell'orrore: 'Lupa in convento' di Giorgio Scerbanenco.
Scriveva Oreste del Buono nell'introduzione: Un giorno, non molti anni dopo la guerra, quando lavoravo alla Rizzoli di piazza Carlo Erba n.ro 6, la vera Rizzoli del vero Angelo Rizzoli, Giorgio Scerbanenco entrò nella mia stanza e depositò sulla scrivania un mucchietto di fogli in carta gialla.
"Guarda un poco che te ne pare. Non è il mio genere, non so dove pubblicarla, 'sta roba'...
Era veramente 'roba' fuori del comune e per tanti motivi.
Rintracciamoli.

Un tragitto che vale una vita: 'Viaggio di fortuna' di Francesco Flora.
Un libriccino sepolto ormai nella polvere del tempo: bellissimo perché lucido nella sua sostanza ideologica e soprattutto perché essenziale.
Scrive l'autore nella prefazione: Queste pagine, svolgendo rapidi appunti, - stenografia di vicende e pensieri più che di spiegate parole -, furono scritte dal 18 al 25 settembre del 1943.
Dunque giorni terribili per il nostro paese, dove la poca preparazione per l'improvviso armistizio e lo smarrimento, soprattutto dei militari, aumentò vertiginosamente la paura del domani.

Due anime nella tempesta: 'Gabbie' di Fabrizio Puccinelli e Giovanni Mariotti.
Del sottotitolo rimane un dubbio: quel "romanzo" (virgolettato) di due compagni di banco. Ma Mariotti, uno dei due autori spiega subito l'arcano: ha raccolto inediti di Puccinelli (da non trascurare il suo Il supplente per Franco Maria Ricci) e li ha assemblati dando loro una 'forma (Non credo che Fabrizio approverebbe tutti i miei interventi...). In più vi ha aggiunto di suo, una breve, ma intensa, autobiografia a mozzichi: l'infanzia a Lucca e subito la fuga a Roma. E poi il ritorno.

Le ossessioni di una generazione: 'Il parafossile' di Giorgio Celli,
Spesso mi chiedo cosa voglia dire 'classico' nella letteratura. Mica facile rispondere, al di là della riduzione semplicistica della questione. Sì certo: bellezza stilistica, anticipazione, rappresentazione della realtà vissuta, capacità di attrazione, lucidità e il suo contrario (dannazione), onestà intellettuale. Ma può un classico essere tale anche nella mal riuscita intenzionalità? Cioè può esserlo anche se è parto settimino, incompleto e pure inautentico?
Lo crediamo solo nel caso in cui possa offrire un tentativo nuovo di esporsi da parte dell'autore.
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