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Il Paradiso degli Orchi
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Cinema e Musica

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Massimiliano Di Mino

Il dub dei Popuciàband naviga in rete e contempla la tempesta

Consultando Il dizionario del Diavolo dello scrittore e rivoluzionario Ambrose Bierce alla voce indipendente possiamo trovare la definizione: "individuo malato di dignità e dedito al vizio dell'indipendenza ovvero uno dei più preziosi tesori dell'immaginazione", e se il diavolo, è cosa nota, è sempre stato dedito alla musica, quella dei Popucià band è diabolicamente indipendente, dignitosa e immaginifica. Il loro ultimo album pop 2.0 è un concept magistralmente congeniato dal gruppo attraverso l'utilizzo di internet

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Adriano Angelini

Se il folk catalano rifà (benissimo) il verso a Faber.

Prendete un cantautore catalano. Fatelo cantare in catalano. Fategli strimpellare delle ballate folk acustiche venate di rock elettronico. A un tratto, vi accorgete che vi ricorda qualcuno. Vi basta un secondo per capire. Vi basta l'attacco del pezzo iniziale di questo splendido album El Nus e rimanete sbalorditi. La voce è come quella di Fabrizio De Andrè. La cosa stupefacente è che la lingua catalana è terribilmente simile, almeno nella fonia, al genovese di Creuza De Ma. A quel punto ti viene il dubbio che tu non stia ascoltando un album inedito del Faber che magari questo qui ha rubato da qualche parte. Invece no.

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Alfredo Ronci

Il suo giorno è cominciato in sé. Morganicomio di Morgan.

Ma quale intelligenza?
Quale premura e urgenza c'è a non avere stima di sè?
Faccio di tutto per impedire il mio successo stesso
perchè son contro me stesso.
Perchè ogni vincitore per natura deve dominare
e per forza comandare
e non può nessuno subire
e io mai ti potrei ferire...

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Alfredo Ronci

Ma che ti vuoi orchestrare? L'esperimento parzialmente noioso di Peter Gabriel.

Si è detto di tutto: e vuoi che a qualcuno interessi quel che ha da dire il Paradiso? Ma noi ci proviamo. Su Scratch my back l'ultima 'fatica' di Peter Gabriel e disco di cover si è discusso pure a sproposito. Qualche nostalgico dei Genesis si è industriato a crear l'alibi della fatica. Altri, forse morsi dal morbo berlusconiano del 'lassateme lavora'' ha ipotizzato che le pressioni a cui sono sottoposti certi artisti non fanno bene a nessuno (che? Pressioni? Ma se son dieci anni che l'uomo non fa un disco!).

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Adriano Angelini

Le vibrazioni di Four Tet sono la prova che in questa vita si può essere felici.

A contendere ai Massive Attack la palma di miglior disco dell'anno concorrerà sicuramente Four Tet. Di nuovo musica elettronica. Stavolta adagiata su tappeti sonori di un'immensità evocativa che tende a infinito (come direbbero i professori di matematica, o era algebra?). Kiern Hebden ci regala tracce gioviali, trascinanti (Sing), lo fa con un minimalismo sonoro e vocale (come nella sincopata ma incantevole Angel echoes). Sì, echi d'angelo profusi a volontà. Beat incalzanti in cui si incastrano leggeri tocchi dance (Love Cry).

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Alex Pietrogiacomi

La rivoluzione futurista di un 'power trio': 'Soli nel buio' degli Sweepers.

Già nel nome, questo power trio si porta un'onomatopea che incita ad una rivoluzione veloce, rapida, impropriamente direi "futurista". Sweepers. Suona facendo chiudere le labbra e facendo scorrere l'aria sulla lingua. Così si ascolta questo disco, con l'aria che sfronda l'ascoltatore.
Seconda prova, dopo l'omonimo del 2005, Soli nel buio, colpisce per la grande maturità e l'intelligenza musicale dimostrata dal trio composto da Tiziano Tarli (voci, chitarra, organi, violino e theremin e autore di libri come Beat Italiano e La felicità costa un gettone)

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Alfredo Ronci

Il fascino etereo ed essenziale di Sade. 'Soldier of love'.

Quando nel lontano 1984 uscì Diamond Life più di qualcuno gridò al miracolo (meno quelli che dal canto pop s'aspettano comunque sfracelli): la voce suadente di una ragazza di origine nigeriana, accompagnata dal suo fido sassofonista, colpì l'immaginazione di molti, portando però alcuni recensori ad avventati paragoni con Billie Holiday.
Tutt'altro discorso e tutt'altra anima. Sade dimostrò comunque di non essere una meteora, ma già dal secondo lavoro, Promise, parte della magia svanì

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Adriano Angelini

La terra di Heligo è dark e lisergica. E' il ritorno dei Massive Attack.

Dove sia Heligoland non sapevamo, pare sia un isola dell'arcipelago tedesco. Da Bristol, città natale del duo elettronico più famoso del mondo, da lì si potrebbe finire in Africa passando per i sotterranei del pianeta. Ciò che sappiamo è che dopo sette anni i Massive Attack, finalmente, hanno ridato alle stampe un loro album. Heligoland, appunto. L'attesa intorno a Del Naja e Marshall era tanta, febbrile, in realtà ci stavamo spazientendo. Il risultato è, ai primi ascolti, soddisfacente. C'è tutto quello che ci si aspettava, sicuramente c'è qualcosa in meno. Se ci sarà qualcosa in più sarà il tempo a dirlo.

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Alex Pietrogiacomi

Papillon, fuga latina

Un mix piacevolmente bizzarro di jazz, latin e racconti in diverse lingue. Nel bizzarro si trova soltanto la sorpresa di avere un percorso lastricato da sorprese continue e ingenue freschezze musicali. Un disco da non prendere sotto gamba e un'artista che alla lunga può regalare inaspettati exploit nazionali Cecilia colpisce per la bella pasta vocale e la sua suadente grana che esce fuori nei brani in un buon crescendo, soprattutto quelli cantati in portoghese.
Ma non si ferma qui, perché se all'inizio si potrebbe pensare di essere di fronte a un tentativo di avere una Rosalia De Souza nostrana

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Alfredo Ronci

Noi vogliamo bene a Morgan

Noi vogliamo bene a Morgan perché crede di vivere in un paese libero.
Noi vogliamo bene a Morgan che ignora che in Italia vi sia una cappa di becero moralismo.
Noi vogliamo bene a Morgan che ignora che questo è un paese che appartiene a Santa Romana Chiesa.
Noi vogliamo bene a Morgan che non sa che questo è un paese di destra (e che non sa bene cosa faccia la sinistra).
Noi vogliamo bene a Morgan che non ignora le brutture della vita

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